Il grande balzo all’indietro di Xi Jinping

Di Davide Renda – Sono 2.958 i voti favorevoli, due i contrari e tre gli astenuti. Con un plebiscito il Congresso nazionale del popolo cinese ha approvato una riforma costituzionale che permette al Presidente Xi Jinping di restare potenzialmente in carica per tutta la sua vita. Nel 1982 era stato Deng Xiaoping ad introdurre il tetto dei due mandati per evitare il concentramento dei poteri e il culto della personalità dopo l’esperienza maoista durata fino al 1976; proprio per tale motivo ciò che è successo è un grande balzo all’indietro che ricorda la Cina di Mao.

 Xi Jinping non è soltanto il segretario generale del partito comunista cinese, ma negli anni è riuscito ad accumulare cariche come comandante supremo del Comando congiunto dell’esercito, capo della Commissione militare centrale, presidente del Gruppo di controllo centrale per gli Affari esteri ed è la guida della Commissione per la Sicurezza nazionale, quella per le Riforme e di Finanze e Affari economici.

La Cina ha un nuovo imperatore. È stato lui stesso a proporre l’abrogazione del limite dei due mandati nello scorso autunno, sicuro del sostegno che avrebbe ricevuto, come dimostrato dall’applauso fragoroso di tutto il Congresso nazionale dopo la conferma dei voti favorevoli. Xi potrà rimanere al comando non solo fino al 2023, come prevedeva il suo mandato, ma oltre e se lo vorrà anche a vita.

Il paragone con Mao si limita ad essere valido sul piano dell’accentramento dei poteri, non certo sulla Cina che Mao ha comandato e che Xi si appresta a guidare nel prossimo futuro. La Cina di Mao era isolata e arretrata, mentre adesso è la prima potenza commerciale del mondo, e tra gli obiettivi di Xi c’è quello di renderla una «società modernamente prospera» agli inizi del prossimo decennio ed una nazione compiutamente moderna al pari degli USA entro il 2035.

Sul piano delle reazioni internazionali, nessun rumore, ma un silenzio assordante degli Stati Uniti e dei leader europei; che l’unica priorità sia solo riuscire a concludere qualche accordo milionario con gli investitori cinesi? È da notare che Donald Trump sembra quasi invidiare la nuova alba della Cina di Xi Jinping affermando con una battuta che «forse un giorno dovremo farlo anche noi», riferendosi ai suoi Stati Uniti. La simpatia reciproca tra i due presidenti non è una novità, dopo che il presidente cinese aveva accolto con tutti gli onori Trump nella sua visita di stato dello scorso novembre.

Di fronte alla riforma della costituzione si sono già levate le voci degli intellettuali che denunciano i pericoli dell’enorme potere in mano ad una sola persona; c’è chi paventa una nuova dittatura o l’inasprimento di essa, per chi considera che la Cina lo sia già.

I nemici di Xi all’interno della sua nazione non sono pochi, ed è proprio per tale ragione che secondo gli analisti il Presidente voglia proteggersi sempre di più. Sono numerosissime le famiglie dell’establishment che Xi Jinping ha allontanato dal potere nella sua lotta alla corruzione, e ci si chiede se staranno tutte a guardare. Dalla sua parte ha il miglioramento delle condizioni economiche e di vita di milioni di cinesi negli ultimi anni, e secondo i suoi piani per cementificare questo progresso era necessario assicurare la stabilità della sua presidenza. Il dilemma costante per interpretare la Cina odierna rimane questo: è possibile modernizzare il paese adottando un sistema politico sempre meno moderno?