La violenza ostetrica: i maltrattamenti subiti dalle donne in sala parto

Di Sabrina Landolina – Molte tacciono per vergogna, o per paura di essere colpevolizzate. Alcune, invece, dopo decenni trovano il coraggio di parlare degli abusi subiti durante il parto. E poi ci sono altre donne che dopo  le violenze subite in sala parto decidono di non avere altri figli, come sostiene la ricerca “Le donne e il parto”, realizzata da Doxa su iniziativa dell’Osservatorio sulla violenza ostetrica.

Per la prima volta in Italia sono stati diffusi i dati sulla violenza ostetrica. Una questione, fino a pochi anni fa quasi sconosciuta. Sono le storie, per anni sottaciute o inascoltate, di un milione di donne che dichiarano di aver subito, negli ultimi 14 anni maltrattamenti, insulti e altri tipi di violenza, mentre stavano per partorire il loro primo bambino.

L’inchiesta, condotta registrando anche le testimonianze di parenti e operatori sanitari, ha sollevato una problematica finora sommersa. Ogni anno, in Italia, poco più di 71 mila donne risultano vittime di episodi di violenza ostetrica. L’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce ed etichetta questi comportamenti «profondamente rappresentativi delle disuguaglianze di genere». Tali abusi racchiudono riprovevoli azioni: abusi fisici e verbali, procedure mediche coercitive, mancata tutela della privacy, il rifiuto di offrire una terapia analgesica, la trascuratezza nell’assistenza al parto e lo scarso peso riconosciuto alle donne nell’assunzione delle decisioni relative al parto.

Dal dossier, dunque, si appurano dati sconcertanti e disumani: quattro donne su dieci, tra quelle intervistate, hanno riferito come l’assistenza al parto sia stata lesiva della propria dignità e integrità psicofisica.

L’esperienza traumatica registrata più di frequente è stata l’episiotomia: ovvero l’incisione chirurgica con cui si dilata il canale vaginale per facilitare il parto. Una procedura che, rispetto alle lacerazioni naturali che spesso si verificano durante il parto, necessita di tempi più lunghi per il recupero, con rischi di infezioni ed emorragie, oltre a profonde ripercussioni sulla ripresa dell’attività sessuale.

A subirla, secondo l’indagine, è stata circa la metà delle donne senza peraltro che ci fosse, per la maggior parte dei casi, il consenso all’intervento; e di questo fenomeno si registra il maggior numero di casi al Sud e sulle isole. L’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma inoltre che: «L’episiotomia non deve essere effettuata di routine ma solo in caso di necessità, poiché non migliora gli esiti del parto vaginale».

Il ricorso esagerato al parto cesareo è un altro aspetto negativo, contrario alle linee-guida scientifiche. La medicalizzazione del momento conclusivo della gravidanza ha permesso di salvare migliaia di vite in quasi due secoli. Ma tale procedura, secondo la ricerca, risulta più spesso programmata su indicazione dei medici rispetto ai casi in cui vi si ricorre su richiesta della gestante o per condizioni urgenti.

Inoltre, molte mamme – circa il 67 per cento del campione intervistato – dichiarano di non essere state assistite adeguatamente al momento del parto e di essersi sentite escluse dalle decisioni che riguardavano loro e il figlio che stava per nascere.

Lo studio, e i dati diffusi sono stati commentati dalle associazioni di ginecologi e ostetrici italiani, i quali invitano alla riflessione, per evitare allarmismi controproducenti; affermano che ci sia il rischio di minare la fiducia delle donne italiane riposta nel proprio ginecologo e nelle strutture sanitarie. Alla luce di ciò, è nata sui social la campagna “#bastatacere: le madri hanno voce“, che si propone di informare e sensibilizzare, non solo le donne, di questo fenomeno.


2 commenti

I commenti sono chiusi