Il passo indietro “forzato” di Schulz tiene in piedi la Grosse Koalition tedesca
Di Mario Montalbano – «Mi dimetto con effetto immediato», così Martin Schulz, ieri, al termine del direttivo della Spd ha annunciato le proprie dimissioni dalla guida del partito.
Una scelta inevitabile viste le critiche ricevute da buona parte del partito nella gestione delle trattative per la Grosse Koalition con la Cdu di Angela Merkel. Le stesse che avevano portato Schulz a rinunciare tramite una dichiarazione scritta lo scorso 9 febbraio alla carica, tanto ricercata, di ministro degli Esteri del prossimo governo guidato dalla Cancelliera uscente. In quest’ultimo caso a pesare è stata, soprattutto, la presa di posizione dell’ala più giovane e radicale della Spd, che fin dai primi momenti della riapertura delle trattative con la Merkel ha sempre rinfacciato all’ex presidente del Parlamento europeo la promessa fatta lo scorso dicembre, secondo cui non sarebbe mai entrato in un eventuale nuovo governo di coalizione con i cristiani democratici.
L’intento di Schulz è quello chiaramente di salvare il salvabile, che ad oggi è comunque rappresentato dalla buona riuscita della Grosse Koalition, senza la quale il ritorno alle urne diventerebbe inevitabile. E con sé il rischio di un ulteriore débâcle per la Spd, come dimostrano i recenti sondaggi, peggiori persino rispetto al risultato negativo del voto di settembre. E dire che, al netto degli ostacoli capitati per strada, la Grosse Koalition è vicina alla sua definizione, dopo l’accordo trovato tra le parti in causa, Spd, Cdu e Csu, tanto sul programma quanto sulla ripartizione dei ministeri.
E qui, stranamente, ad esultare possono essere soprattutto gli stessi socialdemocratici, i quali anche grazie a Martin Schulz sono riusciti a raccogliere il massimo, ottenendo i ministeri di Finanze, Lavoro, Esteri, Giustizia, Ambiente e Famiglia. Un successo, frutto della attuale debolezza politica della Merkel, la quale messa spalle al muro, non ha potuto far altro che acconsentire alle richieste degli alleati, allargando anche le maglie su temi una volta tabù, come investimenti, istruzione, sicurezza e soprattutto solidarietà europea. Tutto questo, però, esponendosi alle pesanti critiche del proprio partito, la Cdu, che non ha visto di buon occhio le concessioni agli alleati al solo scopo di evitare le elezioni anticipate, che equivarrebbero di fatto alla sua definitiva dipartita politica.
Ma, al netto delle tensioni interne, il voto del partito della Cancelliera uscente a favore del governo di coalizione non sembra essere in discussione. A preoccupare nella strada che porta alla Grosse Koalition, semmai, è la situazione interna alla Spd. E in particolare il prossimo referendum interno previsto tra il 20 febbraio e il 2 marzo, che rappresenta di fatto l’ultimo ostacolo alla definitiva realizzazione del nuovo governo.
Martin Schulz con il suo duplice passo indietro spera di aver riportato un po’ di serenità in più in seno al partito. Ma, la porzione più giovane e radicale, supportata da chi è rimasto escluso, e deluso, nella ripartizione dei ministeri, continua a promettere battaglia, spingendo molte persone a iscriversi per poter aumentare i voti contrari. D’altronde, anche i numeri dello scorso congresso del 22 gennaio sono risultati risicati, con solo il 56% a favore della cosiddetta mozione Schulz. E ciò lascia pensare che la partita sia tutt’altro che conclusa.
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