Perché lo Stato Islamico sta perdendo la “guerra” in Occidente

Il ritorno del terrore islamista sulle strade europee ha nuovamente generato ombre e sospetti sulla sicurezza delle città del nostro Continente, in particolar modo di quei punti di aggregazione e concentrazione popolare.

Queste paure non devono far dimenticare la direzione fallimentare che la strategia del terrorismo jihadista sta percorrendo, anno dopo anno. È un dato di fatto che col passare degli anni sia diventato più difficile per lo Stato Islamico organizzare attacchi armati ben strutturati, così come è accertato quanto al-Qaeda abbia perso la sua “battaglia in Occidente” praticamente subito. La dimostrazione, quest’ultimo, di come possa avvenire l’implosione anche dello stesso terrorismo Isis, ancora in grado di uccidere ma sempre più in crisi.

Analizzando gli attentati più eclatanti messi in atto durante questi ultimi anni di intensa attività terroristica in Europa, si può notare come sia in netto declino la forza di fuoco dei “soldati islamisti”. Basti pensare all’attentato del 13 novembre 2015 a Parigi dove un commando di 9 terroristi, divisi in piccoli gruppi, colpì la città in punti diversi e dove morirono ben 132 persone sotto i colpi dei mitragliatori e anche a causa delle esplosioni delle cinture esplosive. Qui è l’utilità dei mitragliatori a risultare fondamentale: tre quarti dei morti sono stati uccisi dalle armi da fuoco, e non dalle esplosioni kamikaze come si potrebbe facilmente pensare. Solo il 22 marzo del 2016, nell’attacco di Bruxelles – il primo dopo una pausa di circa quattro mesi dalle morti francesi – gli attentatori uccisero 32 persone con un gruppo di quattro persone che non possedevano la potenza di fuoco dimostrata dai terroristi di Parigi.

Da qui la prima osservazione: l’Isis comincia ad avere serie difficoltà a procurare armi da fuoco ai propri combattenti in Occidente o, quanto meno, ai terroristi si palesano più ostacoli all’acquisto di armi dovuto all’aumento improvviso di controlli da parte delle autorità nazionali e internazionali. Seconda osservazione: le cinture esplosive sono solo una “ruota di scorta” per compiere attacchi ad alto potenziale di vittime; sono pistole e mitragliatrici gli oggetti principali di desiderio dei combattenti Isis che, dall’attacco di Parigi a quello Bruxelles, hanno dovuto fare uso delle cinture per uccidere in Occidente.

Il crollo delle capacità operative dello Stato Islamico in Occidente si concretizza con la totale evoluzione della strategia terroristica: avviene il cambio del mezzo. Infatti, proprio in seguito alle crescenti difficoltà a ottenere armi da fuoco sufficienti per un attacco organizzato, i cosiddetti “lupi solitari” trovano nuove soluzioni per causare il numero più ampio possibile di vittime. La svolta il 14 luglio 2016 a Nizza: 86 persone muoiono dopo l’attentato con un tir lanciato sulla folla in festa.

Sono state sostanzialmente ridotte a zero le capacità di fuoco degli islamisti in Europa. Un fatto, evidente, che lascia spazio ai singoli disorganizzati e sprovveduti. Dieci giorni dopo l’attentato di Nizza, Mohamed Deleel si fa saltare in aria morendo da solo ad Ansbach, attivando involontariamente il suo zaino esplosivo. Due giorni dopo, un altro ragazzo, un 19enne è protagonista di uno sgozzamento in Normandia. Tutti segnali – seguiti da altri numerosi attentati con le medesime dinamiche, dalle armi da taglio ai mezzi di trasporto usati come arieti – che la strategia è cambiata e che è in netto fallimento. Un esempio su tutti: l’accoltellatore di Londra del Westminster Bridge, uscito dal proprio suv con cui ha investito diversi passanti, brandisce un coltello da cucina. La decadenza di questo terrorismo sta tutta nel crollo della possibilità di possedere armi altamente distruttive, battaglia che le autorità di controllo nazionali stanno ampiamente vincendo.

Per tornare al presente, a Barcellona e all’attentato della Rambla: il commando numeroso – si pensa circa dieci persone – è sostanzialmente composto da gente inesperta, in possesso di finte cinture esplosive e senza armi da fuoco, quindi senza le competenze necessarie per maneggiare mitragliatrici e per costruire ordigni funzionanti ed efficaci. L’ennesima dimostrazione, quest’ultima, nonostante i 15 morti, che le forze di intelligence stanno agendo bene e in maniera molto stringente su molte attività che possono interessare i radicalizzati e i possibili attentatori jihadisti in Europa.

Una sconfitta militare a tutti gli effetti, non ancora completa, certo, ma che sta assumendo i tratti di una battaglia disperata condotta con tutto ciò che di fortuna possa capitare per provocare danni a cose, passanti e forze dell’ordine in Occidente. Una sconfitta altresì politica dell’Isis perché, così come accaduto con al-Qaeda, i musulmani d’Occidente hanno fortemente respinto il richiamo alla conquista dell’Europa con la forza e con le stragi – per come era stato annunciato da l’una e l’altra organizzazione terroristica – ed è così che il “programma” del terrorismo islamista non ha guadagnato il consenso sperato. Perché? Perché una strategia che si basa sulla richiesta di volontarie missioni suicide è una strategia che ha perso in partenza. Inoltre la sconfitta dell’Isis anche in terra d’Oriente sta ulteriormente scoraggiando la radicalizzazione e il fanatismo in Europa, perché un’organizzazione che subisce gravi contraccolpi, reagisce – ovvio e anche violentemente – ma va spegnendosi per l’enorme divario tra le due formazioni presenti in questa guerra.

Daniele Monteleone


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