Chi sono i curdi?

Di Antinea PastaLa regione del Kurdistan è un vasto altipiano, circondato da montagne, che copre un’area di 450 kmq, suddiviso tra Turchia, Siria, Iraq e Iran, abitato sin dal secondo millennio dagli antichi medi e oggi dai loro discendenti, i curdi.

I curdi sono una popolazione di origine indo-europea, anticamente erano soprattutto dei nomadi allevatori e vivevano suddivisi in clan dominati da principi guerrieri. La loro religione era lo zoroastrismo ma vennero islamizzati intorno al VII secolo d.C.. Schiacciati da vicini ingombranti – gli imperi persiano, turco, arabo e russo – i curdi sono sopravvissuti alleandosi alternativamente ad uno di essi a spese degli altri. Stimati oggi intorno ai 30 milioni, costituiscono uno dei più grandi gruppi etnici privi di un’entità statale.

Per comprendere le vicissitudini di questo antico popolo possiamo partire da una data, il 10 luglio del 1920, durante la stipula del Trattato di Sévres, con il quale si regolava la pace tra le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale e i rappresentanti del vecchio l’Impero Ottomano. Con questo accordo si suggeriva la creazione di uno stato curdo indipendente, ma solo tre anni dopo, con il Trattato di Losanna, le potenze occidentali decisero la spartizione del Kurdistan tra tre stati: l’Iraq, sotto la guida britannica; la Turchia di Ataturk; e la Siria, sotto il controllo francese. Le zone che si trovavano in territorio persiano rimasero sotto l’egida dello Scià.

Il popolo curdo, che solo sotto l’Impero Ottomano aveva vissuto un periodo di relativa autonomia – interrotta poi dalla centralizzazione dello stato e le riforme attuate dagli ultimi sultani – dal momento della spartizione, sarà diviso in ben 5 nazioni diverse dando vita ad altrettante minoranze.  È sempre nel periodo ottomano che nascono i primi movimenti nazionalisti curdi che anelano alla creazione di un Kurdistan indipendente, e da allora questa volontà è sempre stata repressa dagli stati di cui sono minoranza, attraverso il tentativo di cancellazione dell’identità curda.

L’uso della lingua e dei costumi, lo sviluppo della cultura curda in tutte le sue espressioni, vengono impediti. Tale repressione porta alla nascita di gruppi nazionalisti di combattenti armati che, all’interno dello Stato di appartenenza, lottano per ottenere autonomia, ma senza coordinarsi con gli altri. Come sostiene David Pollock (Washington Institute for Near East Policy), «i curdi hanno scelto di abbandonare il progetto politico pan-curdo e ciascun gruppo combatte per il proprio interesse» (The Syrian Kurds: Whose Ally?, 29 marzo 2016).

Proprio a causa di questa diaspora e dei percorsi storici diversi intrapresi dalla varie minoranze curde è impossibile una trattazione univoca della questione curda. Ecco perché si è soliti suddividerne l’analisi a seconda dei diversi indipendentismi che combattono contro lo stato sovrano di appartenenza.

I curdi che occupano il sud-est dell’Anatolia rappresentano oltre il 10% della popolazione turca e, sin dall’avvento del kemalismo di Ataturk, si sviluppò nei loro confronti una politica di forte repressione che mirava alla cancellazione di ogni rivendicazione identitaria in nome del nazionalismo: ciò che conta è l’identità turca di tutti coloro che vivono all’interno dei confini statali. Le rivolte che scoppiarono furono molteplici nel corso degli anni e tutte vennero soffocate nel sangue, con l’uccisione di milioni di curdi.

L’assimilazione forzata imposta alla popolazione pareva aver sopito per un breve periodo le lotte identitarie, grazie anche ad un lento processo di democratizzazione del paese che allentò la repressione militare. Così negli anni ’80 nacquero i primi partiti legali curdi, primo fra tutti il Partito della democrazia del popolo, ma allo stesso tempo cominciò la lotta armata del Pkk, il Partito dei Lavoratori Curdi.

Il Pkk, guidato dal suo leader fondatore Abdullah Öcalan, è un partito di ispirazione marxista che si è sempre battuto per la rivoluzione e la creazione di un Kurdistan unito, fondato sulla dittatura del proletariato. Lo strumento con il quale si propone di raggiungere i propri obiettivi era la guerriglia attraverso il suo braccio armato, l’Hpg (Forze di difesa del popolo). Nel corso della sua storia il Pkk si è lasciato andare a violenze e attentati che hanno colpito direttamente anche la popolazione curda, permettendo facile gioco al governo turco di bollare il movimento come terroristico, esacerbando lo scontro e la repressione.

Nel 1998 il leader Ocalan, già scappato in Siria fu costretto a fuggire nuovamente prima a Mosca e poi in Italia, a Roma, e infine in Kenya dove venne venduto alla Turchia e condannato a morte nel 1999. Da allora il Pkk non ha mai ceduto il passo, combattendo anche attraverso attentati terroristici la propria causa e riacutizzando lo scontro con il governo turco nel 2015, dopo un processo di pacificazione iniziato nel 2012 ma ben presto fallito.

Nel più recente scenario politico turco va ricordato l’Hdp, il Partito Democratico del Popolo. Formazione di sinistra socialista al quale si uniscono le forze filo-curde. Alle elezioni del giugno del 2015 raggiunse uno storico risultato, superando l’altissima soglia di sbarramento del 10% e ottenendo 81 seggi, e anche nelle elezioni anticipate del novembre 2015, seppur con risultati inferiori (l’Akp ha riguadagnato la maggioranza assoluta), riuscì ad aggiudicarsi 59 seggi al parlamento turco.

L’Hdp è un partito moderato e non nazionalista e più volte ha condannato le violenze del Pkk, cercando così di porsi da mediatore tra le istanze di quest’ultimo e del Presidente Erdogan, nonostante ciò è stato spesso accusato dal governo di Ankara di appoggiare l’azione armata del Pkk.


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