Il «soffitto di cristallo» da infrangere per far fronte al gender gap

Segregazione settoriale, gender pay gap, disuguaglianze e spreco di risorse umane. Queste e molte altre le conseguenze del soffitto di cristallo. Servono secoli per abbattere le disuguaglianze lavorative che frenano l’empowerment femminile?


L’espressione deriva dall’inglese glass (vetro) e ceiling (soffitto) e indica quell’insieme di barriere sociali, psicologiche e culturali, all’apparenza invisibili ma reali, ostacolanti il raggiungimento della parità dei diritti e la realizzazione lavorativa delle donne.  Questo fenomeno porta con sé ingiustizie sociali e spreco di risorse umane oltre che, inevitabilmente, risvolti economici negativi.

Il report “Women in the Workplace” realizzato da McKinsey & Company – in riferimento agli Stati Uniti nel 2020 – ci mostra come per ogni 100 uomini, solo 85 donne vengono promosse a ruoli apicali mentre molte di loro mantengono posizioni «entry-level». L’Economist, in una classifica elaborata nell’anno corrente, mostra come tenendo conto di 29 Paesi industrializzati, solo quelli nordici si rivelano per le lavoratrici luoghi lavorativamente ospitali. L’Italia, in questa classifica, si piazza tredicesima; fanno seguito Ungheria, Spagna, e Stati Uniti. Agli ultimi posti Giappone e Corea del Sud. 

Le conseguenze del soffitto di cristallo sono molteplici e interessano più livelli: oltre a mettere a repentaglio l’empowerment femminile, determinano il rallentamento nell’avanzamento di carriera verso ruoli di top management. La questione si fa complessa a tal punto da parlare non tanto di soffitto di cristallo ma di «labirinto di vetro», un percorso ancor più accidentato che ostacola il compimento di percorsi di carriera lineari. Sulla stessa falsariga sono il glass cliff, il “precipizio di vetro”, che contempla la possibile recessione lavorativa a gradini inferiori, e il glass doors, ovvero le disparità salariali e contrattuali per i due sessi da parte delle aziende in fase di accesso. 

Il problema della discriminazione è determinato da fattori differenti che possono essere aziendali e determinano l’identità dell’azienda stessa e la gestione delle sue risorse. Fra queste la segregazione settoriale per cui le donne sono rappresentate meglio in settori a basso reddito come quello assistenziale e scolastico. L’ambito STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), invece, sembra prerogativa degli uomini, con percentuali intorno all’80 per cento, mentre le donne restano svantaggiate. 

La disparità salariale, tecnicamente detta gender pay gap, tocca più livelli: un caso eclatante è quello delle amministratrici delegate che – parlando di donne italiane – sono meno del 10 per cento, con una differenza retributiva del 23 per cento rispetto ai colleghi uomini. Inoltre, in generale, molte lavoratrici svolgono mansioni inferiori al loro percorso di studi. 

Ma i motivi delle disuguaglianze sono rinvenibili anche in fattori ambientali e di genere che riescono a condizionare il clima lavorativo. C’è la difficoltà a conciliare il lavoro con la famiglia; molte lavoratrici si trovano a dover gestire un carico di lavoro ingente, considerando quello retribuito e non. Eppure, le donne in età compresa fra i 25 e 54 anni con figli piccoli sono il 57 per cento, mentre la percentuale maschile che abbraccia lo stesso periodo anagrafico supera l’89 per cento. E questo tipo di disuguaglianze non riguardano solo l’Italia ma l’intera Europa, con un divario occupazionale medio dell’11,7 per cento e con picchi nei Paesi del sud. 

Il periodo pandemico mostra invece un quadro dell’Italia variegato: secondo la classifica stilata dal World Economic Forum, il Bel Paese guadagna 13 posizioni, passando dal 76° al 63° posto su un totale di 156 paesi. La spinta viene proprio dalla politica del Governo Conte che ha coinvolto una buona percentuale di donne per la creazione della rosa di governo. 

soffitto di cristallo world economic forum

Cambio di rotta, e anche radicale, sotto il profilo economico: 249 mila lavoratrici sono rimaste a casa mettendo in crisi il benessere e il reddito di molte di loro, motivo per cui il nostro Paese è “maglia nera” in Europa. La pandemia non ha fatto altro che incrinare una situazione già nota tanto che per non sentir parlare più di she-cession – la condizione di “recessione” che coinvolge le donne – dovremo attendere il decorrere di 267,6 anni, secondo le stime del World Economic Forum.

Le soluzioni per la “rottura” del soffitto di cristallo esistono, ma serve tanta progettualità e tanto impegno nel coinvolgere ogni attore presente sul mercato, così che ognuno faccia la sua parte nella lotta ai pregiudizi per promuovere una leadership aziendale che vada di pari passo con la gender diversity. Per infrangere il soffitto di cristallo serve una cultura del lavoro più inclusiva.


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