Buongiorno dai social! Quanto di tutto questo ci rappresenta?

 

La signora del «Buongiorno da Mondello» sbarca su Instagram e acchiappa più di 170 mila followers: un caso non isolato che fa riflettere sui social e sulla società.


Ogni giorno, nel mondo, migliaia di persone, anzi milioni, creano un proprio account personale, una pagina, o un profilo, in qualche social network. Che sia Facebook, Instagram, LinkedIn, o il più recente TikTok, migliaia di utenti, soprattutto giovanissimi, condividono pezzi di vita quotidiana, commentano, criticano, mostrano, o più semplicemente fanno cose (“vedono gente, si muovono, conoscono”, come ci ricorda un film di morettiana memoria).

Fin qui, nulla di strano. Ma qualche giorno fa, l’Italia è stata scossa da un evento che, unito a una visione generale del fenomeno, ha fatto riflettere parecchio. La signora Angela, diventata virale con le frasi ormai celebri «Non ce n’è coviddi», «Buongiorno da Mondello», «Oggi a mare» si è creata un profilo Instagram che ha raggiunto in pochissimi giorni 177 mila followers (che probabilmente stanno continuando a crescere in questo momento).

Immediatamente si accende la rivolta sui social: utenti indignati si chiedono come sia possibile che una quantità così ingente di persone seguano la sua pagina (ma parlandone, non stanno in realtà dando visibilità alla pagina stessa?); vengono fatti paragoni con profili di scrittori, divulgatori che hanno un decimo dei followers della signora Angela, e anche meno; finiscono amicizie perché “Ho scoperto che segui la signora da Mondello, non voglio più avere niente a che fare con te”; viene addirittura lanciata una challenge a suon di “Segui l’Angela giusto”, incitando a seguire la pagina di Alberto Angela (che attualmente ha oltre 320 mila followers, motivo per cui il grande sorpasso è avvenuto).

Tralasciando l’aspetto scherzoso (ma neanche tanto) della vicenda, non si può fare a meno di notare che il caso della signora «Non ce n’è coviddi» non è affatto isolato e nasconde una riflessione ben diversa e più profonda.

È ormai innegabile che il mondo dei social abbia totalmente stravolto la realtà: si sta pericolosamente diffondendo l’idea, soprattutto tra i giovani, che basta uno smartphone e un po’ di fortuna per avere successo nel mondo virtuale, che anche senza fare assolutamente nulla, si può diventare famosi, anzi, virali, e avere quei quindici minuti di celebrità di cui parlava Andy Warhol.

C’è una ragazza su TikTok, tale “Bella Poarch”, che posta dei video dove si limita a produrre un sincro con un suono di sottofondo e ottiene milioni di visualizzazioni (siamo nell’ordine dei 20 milioni). Decine e decine di pagine di cosiddetto “trash” inondano ormai il web: abbiamo soltanto l’imbarazzo della scelta tra i nuovi tormentoni nascenti remixati ad arte, che prendono spesso spunto da affermazioni prive di fondamento. Quindi siamo davanti non soltanto alla fama facile senza fare assolutamente nulla ma anche a costo di diffondere messaggi erronei e sbagliati, che iniziano a risuonare nei nostri cervelli senza nemmeno rendercene conto (in fondo, il ritornello del «Non ce n’è coviddi» altro non è che espressione di un negazionismo pericoloso e inquietante, che ahinoi non si ferma alle piattaforme social).

La spettacolarizzazione del nulla: è proprio questo che i social stanno provocando, unito a un narcisismo che sta diventando quasi patologico e insensato. Si vive nella convinzione di essere tutto il giorno su un palcoscenico nella speranza di essere notati, con la voglia di uscire dall’anonimato per affermarsi in un mondo dove ormai tutto sembra permesso e irrimediabilmente compromesso. Anche suicidarsi in diretta, come nel caso di un ragazzo di 33 anni, Ronnie McNutt che si è sparato con un fucile in volto, con il video che ha cominciato a girare su TikTok (dove per fortuna molti utenti hanno avvisato di non aprirlo).

I social network, nati come veicolo per migliorare la comunicazione e accorciare le distanze, adesso vengono abusati e il loro utilizzo deviato e frainteso: personaggi che si elevano a modelli da seguire, spesso senza rendersi conto del peso che possono avere nelle menti giovani e ancora in formazione, come quelle di ragazzi adolescenti (ma non solo).

Ma per fortuna, c’è anche l’altra faccia della medaglia. Tante sono, infatti, le pagine di influencer che utilizzano la loro notorietà per denunciare delle situazioni pericolose (per citarne una, pensiamo alla battaglia della brillante e mai banale Camihawke verso chi si ostina a fare video col proprio smartphone mentre guida); o per valorizzare il nostro patrimonio artistico e culturale (ve la ricordate la foto di Chiara Ferragni agli Uffizi che ha fatto registrare un boom di visite virtuali e non al museo?); o ancora, per sensibilizzare gli utenti a comportamenti corretti durante e dopo la pandemia di Covid-19; o più semplicemente per diffondere informazioni veritiere, citando fonti accreditate, e ampliare le conoscenze di chi ascolta.

Non è da meno anche il movimento Body Positivity, ormai sostenuto da tutte le più importanti case di moda e non solo, che vuole diffondere l’idea di corpi “sani” piuttosto che “perfetti”, cercando di sconfiggere quelle idee malsane per cui ci sarebbero dei canoni da rispettare, spesso proibitivi e irraggiungibili. Il problema su cui indagare qui non è la signora Angela in sé, che il caso ha voluto fosse intervistata quella mattina in spiaggia, ma quali sono gli intenti che si celano dietro una fetta non indifferente di utenti che decidono di seguirla: voglia di evasione e leggerezza? Semplice curiosità? Rassegnazione e senso di impotenza? Bisogno di un idolo? La società si evolve, è sempre accaduto e guai se così non fosse: i modelli mutano, le idee cambiano, adesso con molta più facilità rispetto a cinquant’anni fa. Ma il concetto di base resta sempre uno: non è lo strumento in sé che non va, ma come lo si usa. E il rischio è proprio questo: perdere irrimediabilmente il contatto con la realtà, senza capacità di discernimento tra ciò che è reale e un semplice like sotto una foto.


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