Open to meraviglia, virtual influencer e stereotipi, ma per quale tipo di pubblico?
Ha fatto molto discutere la nuova campagna Open to meraviglia per rilanciare il turismo in Italia e che si è avvalsa dell’utilizzo della Venere di Botticelli nelle vesti di una virtual influencer stereotipata, banale e a tratti ridicola.
Il 20 aprile scorso è stata presentata la campagna Open to meraviglia per promuovere il turismo in Italia e valorizzare le bellezze artistiche, paesaggistiche, culinarie della nostra terra a 360 gradi. Promotori della campagna sono stati la ministra del Turismo Daniela Santanchè, il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani, il ministro dello Sport e Giovani Andrea Abodi e l’amministratrice delegata di Enit Ivana Jelinic. Fin qui nulla di strano. Cos’è, dunque, che ha suscitato così tanto scalpore (e non solo)?
Utilizzo di una virtual influencer
Gli ideatori della campagna si sono serviti di una virtual influencer molto particolare: la Venere di Botticelli, la quale per l’occasione è stata minuziosamente photoshoppata, filtrata, levigata, così da avvicinarla maggiormente ai canoni moderni: un filo di eyeliner, una limatura al naso, fianchi rimpiccioliti, un tocco di blush sulle gote troppo pallide ed ecco che il capolavoro rinascimentale assume un aspetto quasi caricaturale e a dir poco imbarazzante.
La Venere viene rappresentata seduta a mangiare una pizza, nell’atto di farsi un selfie, o su una bicicletta davanti al Colosseo, diventando espressione di una serie di luoghi comuni e stereotipi che accompagnano il nostro Paese da sempre e che, evidentemente, si è restii ad abbandonare. Il classico “pizza e mandolino”, un evergreen che sta bene su tutto, come il nero. Ma facciamo un passo indietro: cosa si intende per virtual influencer?
Chi (o cosa) sono i virtual influencer
Per virtual influencer si intendono dei personaggi inesistenti, delle creature digitali ideate al computer: nonostante ciò, hanno milioni di follower, trattano tematiche care alla generazioneZ o GenZ (cambiamento climatico, body positivity, diversità, ecc), spesso vengono utilizzate da marchi famosi come testimonial (Gucci, Prada, Calvin Klein si sono avvalsi di Miquela Sousa, ad esempio). E hanno tutte una caratteristica distintiva: non esistono.
Anche l’Italia si sta aprendo al mondo dei virtual influencer come testimonia l’arrivo di Zaira, una meta-umana con caschetto che guarda serie tv (recentemente ha finito la visione di Mare fuori, e le è anche piaciuto molto), fa yoga (e consiglia a tutti di farlo), prende la metro, chiede pareri sull’outfit da indossare, o su “cosa fare in un weekend milanese”, o sul prossimo libro da leggere. Insomma, Zaira fa tutto quello che farebbe una vera influencer, solo che lei non esiste.
Il vantaggio da parte delle grandi aziende di lavorare con queste creature digitali è evidente e anche intuibile: maggiore controllo, poiché si eliminano eventuali condotte inadeguate o cadute di stile che invece potrebbero capitare con testimonial “veri”; disponibilità immediata e continua; per non parlare del fatto di non aver bisogno di parrucchieri, truccatori, estetisti.
L’inquietante interesse per i virtual influencer
Ma perché, invece, una persona comune decide di seguire una creatura che non esiste, magari leggendo pure i suoi consigli, o commentando le sue foto (commenti che, ovviamente, non leggerà mai)? Le risposte sono molteplici e non è questa la sede per indagare gli aspetti psicologici e socio antropologici che spingono la GenZ (e non solo) ad appassionarsi a questi avatar: ciò che è certo è che a livello di marketing, i virtual influencer hanno più successo dei loro colleghi umani, perché non destano sentimenti negativi come l’invidia o la competitività tossica, e suscitano meno fastidio nell’utente nella promozione di prodotti (abbigliamento, accessori, e simili).
Per anni i veri influencer non hanno fatto altro che proporre modelli di vita irraggiungibili, fatti di perfezione e felicità irreali, creando frustrazione e insoddisfazione nella gente comune, che adesso preferisce delle creature virtuali: perché la vita che vedono sui social sarà pure felice, ma almeno sono consapevoli del fatto che è un mondo inventato, che non esiste, e ciò li porta ad accettare più facilmente la loro “normalità”.
Luoghi comuni e stereotipi
Ma torniamo alla nostra Venere, mortificata e martoriata da una campagna mal gestita, nata per valorizzare le bellezze indiscusse di un Paese meraviglioso, e che ha invece ottenuto l’effetto opposto.
Perché non siamo in grado di sfruttare al meglio le innumerevoli risorse artistiche, culturali che il mondo intero ci invidia e finiamo sempre per buttarci nei cliché e negli stereotipi? I fotomontaggi della Venere vestita col giubbotto di jeans o la maglietta a righe mancano di profondità, sia in senso letterale che metaforico: immagini piatte, con una risoluzione pessima, vuote e banali come il messaggio finale che l’intera campagna suggerisce.
E in ultimo, il video promozionale, oggetto di polemiche poiché contenente alcune immagini girate in Slovenia e non in Italia, oltre che una serie di immagini stock gratuite o scaricabili a poco prezzo, è stato rimosso qualche giorno fa dalla pagina ufficiale del Governo: che si siano resi conto della presenza di troppe gaffe, imperfezioni, strafalcioni, imprecisioni?
Ammettiamo che sia apprezzabile il tentativo di stare al passo coi tempi e cercare di far avvicinare le generazioni più giovani a quello che è il patrimonio nostrano, spesso bistrattato a favore di mete estere europee o extra europee (ricordiamo il selfie di Chiara Ferragni agli Uffizi che fece crescere in modo esponenziale le visite al museo); ed è chiaro che per “parlare ai giovani” bisogna utilizzare il loro linguaggio, entrare nelle loro abitudini, nei loro modi di comunicare e di divertirsi. Tutto questo, però, dovrebbe essere fatto senza cadere nel ridicolo (o come direbbe la GenZ, nel cringe), altrimenti si ottiene l’effetto contrario: giovani che ridicolizzano i vecchi che tentano goffamente di fare i giovani, fallendo miseramente.
Armando Testa ha detto la sua
Ma chi è la mente che sta dietro questo disastro? Il Gruppo Armando Testa, società colosso nella comunicazione pubblicitaria, si è affrettato a “spiegare” la campagna in questione, mostrando soddisfazione nel “dibattito culturale” che si è sollevato intorno alla Venere influencer. Anche se, più che di dibattito culturale, si dovrebbe parlare di un disappunto e di critiche generali arrivate unanimemente da ogni parte.
Ma soprattutto: davvero nel 2023 dobbiamo ancora appellarci al trucchetto del “bene o male purché se ne parli”? Old but gold direbbe qualcuno, un escamotage furbo per uscire da una situazione scomoda, ma decisamente troppo semplicistico come tentativo per giustificare uno scivolone di questa portata. E tralasciamo pure l’altro motivo di profonda indignazione, cioè i 9 milioni di euro investiti in questa campagna, che serviranno per la promozione della stessa in tutto il mondo: del resto, parlare di soldi risulta di cattivo gusto, non sta bene. Ad ogni modo, si sa che il problema dell’Italia sono proprio gli italiani: ma questo, probabilmente, è il primo stereotipo da cui dovremmo liberarci.