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Giorgia Meloni e i luoghi comuni contro i diritti delle donne

Meloni, sulla copertina del settimanale Grazia, ricorre ancora una volta ai luoghi comuni della destra per soffocare i diritti delle donne in vista dell’8 marzo


Si sa che l’8 marzo – Giornata internazionale della donna – da diversi anni a questa parte, porta con sé ambivalenze e innumerevoli significati, così come altrettante interpretazioni. 

Come tante altre ricorrenze e giornate internazionali, accade che venga strumentalizzata a livello commerciale – a chi non è capitato di imbattersi in promozioni e offerte imperdibili in negozi di articoli per la casa e la pulizia? – così come su quello politico. È il caso dell’intervista rilasciata dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni al settimanale Grazia

Una chiamata alle armi campeggia in prima pagina: “Ragazze, liberiamo il nostro potere”. Attraverso queste parole, per citare Maura Gancitano e Andrea Colamedici nel libro “La società della performance. Come uscire dalla caverna”, assistiamo ad uno degli atti più comuni della “politica della performance”: Meloni appare come un’eroina che lotta contro un potere insidioso, che viene percepita al contempo estremamente vicina ma inarrivabile per elettori ed elettrici che si riconoscono in queste parole, e attraverso queste definiscono emozioni finora senza nome.

L’articolo risulta essere un’escalation di luoghi comuni per difendere i diritti delle donne vere: “No al diritto unilaterale di proclamarsi donna”; “I bambini hanno il diritto di avere il massimo: una mamma e un papà”; “L’utero in affitto è la schiavitù del Terzo Millennio”; “Maschile e Femminile sono radicati nei corpi ed è un dato incontrovertibile”; “Le donne sono le prime vittime dell’ideologia gender”. Alle donne che ricorrono all’aborto direbbe “di darsi una possibilità di essere madre. Lo Stato aiuterà”.

Sarebbe estremamente proficuo avere il tempo e gli strumenti per dissezionare ognuna delle precedenti affermazioni, ma anche un’analisi più superficiale può aiutarci a comprendere quanto poco ci sia di vero in questi discorsi e quanto, al contrario di ciò che sostiene Meloni insieme ad Arcilesbica, queste parole possano continuare a perpetrare un’ideologia patriarcale che vuole le donne divise. 

Viene il dubbio – legittimo – che Giorgia Meloni non abbia nemmeno un’idea chiara degli argomenti da lei stessa citati, considerato che per sua stessa ammissione, non ha mai capito cosa sia il gender.

Poi, sull’incontrovertibilità del concetto di maschile e femminile, citiamo un breve passo dell’Enciclopedia Treccani, secondo cui «I ruoli maschili e femminili sono il prodotto di processi interattivi di costruzione e di interpretazione». I generi maschile e femminile vengono riconosciuti come culturalmente definiti, limitando la variabilità delle inclinazioni individuali. 

Inoltre, la comunità internazionale di sociologi e sociologhe condivide la teoria per cui i ruoli in generale siano costruiti e cambino nel tempo e nello spazio, differenziandoli dall’identità biologica, che comunque non implica il dover ricoprire un ruolo piuttosto che un altro. 

Per quanto riguarda l’avere una mamma e un papà come misura dell’“avere il massimo”, non è necessario essere studiosi della società per comprendere quanto poco ci sia di veritiero in tale affermazione. Se così fosse, la felicità di figli e figlie in famiglie monogenitoriali o omogenitoriali sarebbe forse da invalidare e non considerare reale?

Ciò che manca nelle parole di Meloni, riluttante di fronte a certe battaglie femministe – come trapela dal suo desiderio di mantenere l’appellativo “Signor Presidente del Consiglio” al maschile – è la possibilità di scelta e, soprattutto, di autodeterminazione. Qualora si nasca biologicamente donne, e si venga socializzate come tali, bisogna lasciarsi ingabbiare dalle leggi previste a livello sociale: donna, madre, cristiana. La femminilità sacra e intoccabile non lascia spazio a dubbi e incertezze, alla libertà di definirsi fuori da qualsiasi schema nel quale non ci si riconosca. 

Che paura fa una donna transessuale? Che paura fa una persona con utero che decide di abortire? Che paura fa una donna che vuole realmente rompere il famigerato “soffitto di cristallo”? Diventa una persona non più controllabile, consapevole del proprio valore, delle proprie capacità e possibilità.

Allora, ricordiamo prima di tutto il resto, che il femminismo promuove il diritto all’autodeterminazione di tutti e tutte: donne, uomini e persone che non si riconoscono in questa dualità di genere. Ogni scelta di vita è valida, purché sia libera e personale. 

Educare a prescindere dal genere, assecondando capacità e interessi personali, reclamare i propri diritti senza volerne sottrarre ad altri. Questo l’insegnamento di una delle figlie – e madri – del femminismo contemporaneo, Chimamanda Ngozi Adichie, che indica una direzione precisa: spiegare e imparare, in primis, il rispetto per l’altro. 


Immagine in copertina del Governo Italiano

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Sara Sucato

Siciliana, attivista per i diritti umani, mi piace definirmi "Life enthusiast". Sempre alla ricerca di qualcosa di cui parlare (e di qualcuno che mi ascolti).