Caporalato, almeno 10 mila braccianti senza diritti in Italia

L’ultimo rapporto del Ministero del Lavoro e Anci ci restituisce una drammatica fotografia dei lavoratori migranti nella filiera agroalimentare e dei fenomeni di caporalato.


Sarebbero almeno 10 mila i lavoratori agricoli invisibili e senza diritti che vivono in condizioni precarie in insediamenti informali lungo tutto il territorio nazionale, e vulnerabili al caporalato. È questa la fotografia fornita dall’ultimo rapporto “Le condizioni abitative dei migranti che lavorano nel settore agroalimentare”, pubblicato lo scorso 19 luglio dal Ministero del Lavoro e dall’Anci nel quadro del Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020-2022.

Lo sfruttamento ingloba svariati fenomeni e dimensioni della produzione agricola italiana. Prima di tutto, l’emergenza abitativa che il rapporto ci restituisce rispetto alla presenza di migliaia di migranti in “insediamenti informali” ha un collegamento diretto con la vulnerabilità dei lavoratori agricoli, e con il radicamento del caporalato, che punta ad aumentare i suoi margini di profitto alle spese dei loro diritti fondamentali.

Inoltre, ci restituisce un panorama dei lavoratori agricoli e delle loro condizioni sociali, lavorative ed economiche, al netto dei punti comuni a numerose regioni italiane, molto frammentato rispetto all’accesso ai servizi di assistenza di base, di natura socio-sanitaria o servizi di integrazione dei migranti. 

Il rapporto del Ministero del Lavoro e dell’Anci

Il rapporto contiene i risultati di un’indagine condotta tra ottobre 2021 e gennaio 2022 sui lavoratori migranti, sia stagionali che stabili, con la partecipazione di 3.851 amministrazioni. Attraverso la somministrazione di questionari, sono stati chiesti dati su presenza, insediamenti e servizi rispetto ai lavoratori migranti nell’agroalimentare.

L’indagine ha coinvolto circa la metà dei Comuni italiani, ed è proprio la copertura a livello nazionale e l’ampiezza della restituzione che la rendono senza precedenti. Oltre ai dati sulle abitazioni dei lavoratori, sono stati anche censiti i servizi, che in alcuni contesti mancano del tutto.

I dati sugli insediamenti formali e informali

Sono 608 i Comuni dove è stata rilevata la presenza di lavoratori stranieri nel settore agroalimentare. Tra essi, 38 Comuni hanno riportato la presenza di 150 insediamenti informali o spontanei non autorizzati (casolari, palazzi occupati, campi improvvisati, tende, roulotte etc.), incluse segnalazioni che vanno dai “micro-insediamenti” con poche presenze, alle migliaia di migranti nei “ghetti” più noti alle cronache sul caporalato da molti anni.

La maggior parte degli insediamenti informali è presente nei territori comunali da diversi anni: 11 tra quelli mappati esistono da più di 20 anni, 7 da oltre 10 anni e 16 da più di 7 anni. In essi sono praticamente assenti i servizi essenziali, tra cui fornitura di acqua, ed è lì che almeno 10mila persone vivono in aree geograficamente remote (lontane decine di chilometri dal luogo di lavoro). Una situazione di vulnerabilità che favorisce episodi di caporalato, segnalati nel 25,8 per cento dei casi all’interno degli insediamenti informali.

Di contro, negli insediamenti formali sono presenti, nel 70 per cento dei casi, servizi di mediazione culturale e  assistenza sociale: una situazione di disparità rispetto agli insediamenti informali, che si riflette anche sugli episodi di caporalato, con un dato su questi ultimi che si abbassa al 10,4 per cento, meno della metà degli episodi negli insediamenti informali.

I dati geografici e le regioni coinvolte

Il Sud è l’area dove complessivamente si registra il numero più alto di Comuni che ha riportato la presenza di lavoratori migranti, sia di lunga durata che stagionali. 

Tuttavia, dati sulle strutture alloggiative formali restituiscono che è il Piemonte la regione con il più alto numero di Comuni che dichiarano la presenza di migranti occupati nell’agroalimentare (il 18 per cento), con al secondo posto la Sicilia (12,6 per cento delle amministrazioni) e poi la Puglia (9,9 per cento).

Un fenomeno che senza eccezioni coinvolge tutta la penisola. Come evidenzia il rapporto, «pur considerando differenze e peculiarità, possiamo indubbiamente constatare che questa realtà, spesso ricondotta esclusivamente ad alcuni territori, interessi in verità tutto il territorio italiano e che per tale ragione sia necessario, per pianificare interventi strategici, continuare a porre attenzione alla dimensione nazionale e complessiva del fenomeno».

Diritti calpestati e “almeno” migliaia di invisibili

«Questo Rapporto non è la semplice mappatura di come i migranti vivono e lavorano nei nostri campi, ma restituisce in maniera più ampia il modo in cui sui nostri territori, oggi, riconosciamo o neghiamo dignità a quelle vite e a quel lavoro», scrivono nella prefazione del Rapporto il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, e il presidente dell’ANCI, Antonio Decaro.

Almeno” 10 mila. “Almeno” come parola chiave da cui si comprende che la situazione reale può sicuramente essere ben più grave di quella emersa dall’indagine. Ciò rafforzato dal fatto che numerosi Comuni hanno manifestato grandi difficoltà nel mappare la presenza dei migranti nei loro territori, e degli insediamenti presenti.

Negli insediamenti informali, vere e proprie baraccopoli, sono assenti servizi di assistenza socio-sanitaria, supporto legale, rappresentanza sindacale, integrazione socio-lavorativa: è qui che il cancro del caporalato vive e riproduce logiche ben radicate che già esistono da decenni nel nostro Paese.

Un’invisibilità che molti da anni provano ad assurgere ad emergenza nazionale, prioritaria in uno Stato che dovrebbe tutelare i diritti di tutte le persone presenti nel suo territorio. Uno di loro è Aboubakar Soumahoro, portavoce del Movimento degli Invisibili che si è incatenato davanti a Montecitorio all’inizio di luglio per gridare come in Italia ogni giorno migliaia di persone non tutelate vengono schiavizzate nei campi. Urge ripensare alla filiera della produzione agricola, al fine di tutelare migliaia di esseri umani che nessuno vede, nessuno ascolta, ma dal cui lavoro sottopagato e privo di diritti, però, si ottengono i prodotti che ogni giorno troviamo sulle nostre tavole.


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