Violenza economica, la faccia poco nota della violenza di genere
Come riconoscere e prevenire un fenomeno ancora troppo sottovalutato, quello della violenza economica. Ne abbiamo parlato con Michela Calculli, blogger professionista e content creator.
Quando si parla di violenza di genere la prima cosa a cui istintivamente si pensa è la violenza fisica o, tutt’al più, quella psicologica, ignorando invece l’esistenza di una forma di violenza ancora più subdola e apparentemente invisibile ma dalle conseguenze ugualmente drammatiche: quella economica. Secondo la definizione fornita dall’European Institute for Gender Equality, per violenza economica si intendono «quegli atti di controllo e monitoraggio del comportamento di una persona in termini di utilizzo e distribuzione di denaro, nonché la minaccia costante di negarle risorse economiche».
Si tratta, in particolare, di una forma di violenza il cui riconoscimento sul piano formale è piuttosto recente. È stata infatti riconosciuta come forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione contro le donne solo nel 2011 con l’approvazione della Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, meglio nota come Convenzione d’Istanbul.
Abbiamo discusso della natura del fenomeno – e di come l’educazione finanziaria possa essere lo strumento più idoneo a prevenirlo – con Michela Calculli, blogger professionista e content creator che, da dieci anni, sui suoi canali social (Instagram, Blog, Linkedin) si impegna a divulgare con contenuti chiari e semplici temi complessi in materia di economia, finanza e fisco. Nel nostro primo incontro con Michela Calculli, ci ha colpito l’instancabile passione con cui da anni denuncia la violenza economica e si fa promotrice di eventi di alfabetizzazione finanziaria.
La dottoressa Calculli ci racconta che a muoverla non è stata soltanto la sua esperienza professionale sul campo quanto una presa di coscienza sull’importanza dell’educazione finanziaria, che può davvero fare la differenza nel momento in cui entra a far parte del nostro bagaglio culturale.
In particolare, la spinta decisiva è arrivata dopo aver vissuto molto da vicino un caso di violenza economica. «Realizzare che un’amica non disponesse nemmeno di pochi euro necessari ad acquistare una merenda o un medicinale per i figli “perché lui mi ha tolto il bancomat, dice che di soldi non ne capisco niente!”, è stata la scintilla, il momento in cui per me tutto è cambiato e mi sono resa conto che divulgare la cultura finanziaria sarebbe diventata una delle mie attività principali».
Riconoscere la violenza economica per prevenirla
Ciò che rende particolarmente subdola la violenza economica è la difficoltà da parte di chi ne è vittima di riconoscerla immediatamente. Spesso, infatti, la donna vittima riesce ad acquisire tale consapevolezza solo dopo tanti anni o, ancora peggio, non riesce a dare un nome alla condizione di sopraffazione che vive. È questo il motivo per cui la violenza economica è tra le forme meno denunciate di violenza domestica.
Secondo uno studio Istat condotto nel 2020, tra le donne che hanno intrapreso un percorso di uscita dalla violenza a ridosso della pandemia, l’89% di queste ha segnalato di aver subito violenza psicologica, il 67% violenza fisica e solo il 38% violenza economica. Una così bassa percentuale non è, dunque, indicativa della reale portata del fenomeno che, al contrario, si considera in crescita.
Come ci spiega Michela, «bisogna essere consapevoli che la violenza economica può manifestarsi talmente per gradi che la vittima ci si ritrova invischiata quasi senza rendersene conto. Può iniziare con un “non ti preoccupare, resta a casa con il bambino, il mio stipendio è sufficiente”, magari detto a una madre già molto fragile e manipolabile nel post-partum. Oppure con l’invito ad avere un conto cointestato ma del quale la donna perde progressivamente il controllo o l’accesso, per giungere poi a situazioni in cui la donna non ha nessuna disponibilità finanziaria, nemmeno per la spesa quotidiana “perché tanto posso farla io quando rientro dal lavoro”. Insomma, può manifestarsi anche attraverso atteggiamenti in apparenza amorevoli e di cura della partner che, però, di fatto rappresentano un isolamento finanziario più o meno totale».
L’isolamento finanziario non è, di certo, l’unica conseguenza della violenza economica. La vittima tende gradualmente ad isolarsi dalla famiglia, dagli amici e dai colleghi con gravi ripercussioni anche sulla sfera psicologica, causando umiliazione, vergogna, perdita di fiducia in sé stessa e nelle proprie capacità. Non di rado, infatti, la violenza economica ricorre in associazione alla violenza psicologica.
Un ruolo determinante nella scarsa consapevolezza delle vittime è dato dalla cultura patriarcale ancora predominante, intrisa di pregiudizi e stereotipi per cui “l’uomo è l’unico in grado di gestire efficientemente il denaro”. Se poi si pensa a quelle donne che hanno vissuto in contesti familiari in cui siffatta condizione di violenza è stata interiorizzata come regola per il corretto funzionamento della vita familiare, si può ben comprendere quanto difficile possa essere riconoscerla e volersene liberare.
L’identikit della vittima
Tra le principali ragioni per cui le vittime tendono ad essere maggiormente donne vi sono la disoccupazione e il gender pay gap, fattori determinanti della dipendenza economica delle donne. «Noi donne lavoriamo meno e se lavoriamo, guadagniamo meno. Si tratta di due facili appigli per isolare finanziariamente una donna, soprattutto se madre. Se è necessario sacrificare uno stipendio in famiglia, quale si sceglie? Ovviamente il più basso che, tipicamente, è quello della donna».
Non è un mistero, infatti, che in Italia il lavoro di cura, per il quale non è riconosciuta alcuna retribuzione, continui a gravare sostanzialmente sulle donne (e la pandemia l’ha dimostrato), inducendole a prediligere forme di lavoro a tempo parziale o addirittura rinunciare al lavoro, così come non è un mistero che lo stipendio medio di una donna in Italia sia tra i più bassi in Europa e sia inferiore di 1/5 a quello dei colleghi uomini.
Tuttavia, è opportuno precisare che la violenza economica è un fenomeno trasversale in quanto, come le altre forme di violenza di genere, si manifesta in tutti i ceti sociali. Infatti, «la violenza economica si riscontra a tutti i livelli sociali, economici e culturali. Purtroppo, avere un patrimonio proprio e/o un titolo di studio superiore non tutela al 100% da situazioni del genere. Anzi, in questi casi il senso di vergogna può manifestarsi in maniera molto più forte, purtroppo!»
Misure di sostegno e di prevenzione
Alla luce di simili considerazioni, è evidente come l’unico modo per prevenire la violenza economica sia assicurarsi una propria indipendenza finanziaria, che vuol dire «fare di tutto per avere una propria autonomia e indipendenza finanziaria anche quando si è in coppia, non rinunciare al lavoro anche se nel corso del puerperio mi rendo conto che la tentazione sia fortissima (ci sono passata, due volte!) ma soprattutto, non perdere mai di vista il denaro, condividendo le informazioni e le decisioni finanziarie con il partner, interessarsi ai soldi, da dove arrivano e come vengono spesi».
In poche parole, essere consapevoli. È per tale ragione che l’educazione finanziaria, attraverso l’acquisizione di competenze economico-finanziarie di base, può essere lo strumento più idoneo per prevenire la violenza economica.
«Una buona educazione finanziaria accresce la consapevolezza sul denaro, agevola la sua gestione in maniera razionale e con competenza. Sarà, poi, difficile cedere su alcune scelte una volta assimilato che l’indipendenza finanziaria e la consapevolezza rispetto al denaro sono uno strumento per vivere serenamente, mezzi per avere relazioni felici e libere dal ricatto del bisogno.
Chi ha una buona educazione finanziaria difficilmente opera scelte dannose per sé nel presente e nel futuro». A tal fine, la scuola rappresenterebbe il canale migliore per veicolare conoscenze e competenze economico-finanziarie spendibili nella vita quotidiana. Purtroppo, ad eccezione di casi isolati di sperimentazione, l’educazione finanziaria non è ancora inserita tra gli insegnamenti obbligatori nella scuola italiana.
Sul piano normativo, il riconoscimento della violenza economica come autonoma forma di violenza è piuttosto recente in quanto risale alla ratifica dell’Italia della Convenzione di Istanbul nel 2014. Di recente, il governo Draghi ha varato una misura di sostegno economico alle vittime di violenza, il Reddito di Libertà, che sicuramente rappresenta «un primo passo verso il riconoscimento del problema ovvero quanto la violenza economica possa favorire la violenza di genere e intrappolare le donne in situazioni da cui è difficile uscire anche per una mancanza di risorse finanziarie».
La situazione di isolamento finanziario e sociale in cui viene a trovarsi la vittima di violenza innesca, infatti, un circolo vizioso deleterio di dipendenza che le rende impossibile interrompere la relazione.
Sebbene l’introduzione di una misura simile possa essere determinante nel far maturare alle donne vittime di violenza la decisione di allontanarsi dal contesto abusante, essa – come ci spiega Michela – ha una valenza meramente simbolica. A causa della scarsità delle risorse stanziate, è infatti destinata non essere risolutiva.
Immagine in copertina di Marco Verch Professional Photographer