Processo Zaki, un rinvio che “sa di punizione”

Dopo 19 mesi di detenzione cautelare è iniziato il processo a Patrick Zaki, ma le prime due udienze sono state piene di ostacoli e ostruzionismi per l’imputato.


La seconda udienza del processo a Patrick Zaki nel tribunale di emergenza per la Sicurezza dello Stato di Al Mansoura, ottenuta dopo 19 mesi di custodia cautelare, è stata rinviata al 7 dicembre. 

Come affermato su Twitter dal portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, si tratta di «un rinvio lunghissimo, che sa di punizione. Quel giorno saranno trascorsi 22 mesi dall’arresto: 22 mesi di crudeltà e sofferenza inflitte a Patrick Zaki, ma anche di grande resistenza da parte sua».

Secondo l’accusa, lo studente egiziano dell’Università di Bologna ha diffuso notizie false in Egitto e all’estero scrivendo nel 2019 un articolo sui diritti della minoranza copta in Egitto pubblicato sul sito libanese Daraj, e per questo motivo rischia 25 anni di carcere.

Nell’articolo su cui si fonda l’intera accusa, dal titolo Displacement, Murder, and Narrowing: A Week’s Result in the Diaries of Egypt’s Copts (ovvero Spostamento, uccisione e restrizione: i diari di una settimana dei copti d’Egitto) Zaki descrive le discriminazioni e vessazioni che la comunità cristiana copta subisce in Egitto ogni giorno, prendendo spunto dalla propria esperienza personale e da testimonianze pubbliche e private.

Durante la prima udienza, tenutasi il 14 settembre, lo studente non ha negato di aver scritto l’articolo sui copti e ha respinto ogni accusa di reato in quanto ha solamente esercitato il diritto della libertà di espressione.

Stesso imputato ma cambiano le accuse

In realtà, un anno e mezzo fa, quando Zaki fu arrestato all’aeroporto del Cairo subito dopo l’atterraggio dell’aereo con cui tornava a casa dai parenti per le vacanze, i capi di imputazione contenuti nel mandato di arresto erano completamente diversi: Zaki, infatti, fu arrestato con l’accusa di minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione, diffusione di false notizie e propaganda per il terrorismo tramite alcuni suoi presunti post su Facebook, disconosciuti dall’accusato sin dal primo interrogatorio.

Un cambiamento lampo dei capi di imputazione che ha costretto la difesa a chiedere durante la prima udienza il primo rinvio, fissato per il 28 settembre.

Le sorprese per i legali di Zaki non sono mancate neanche durante la seconda udienza. Il 28 settembre l’accusa ha presentato un nuovo fascicolo contro l’imputato senza però aver fornito una copia ufficiale alla difesa costringendola così a richiedere un ulteriore rinvio. «Ci hanno presentato gli atti senza fornircene una copia» afferma Hoda Nasrallah, la legale di Patrick Zaki, «abbiamo alcuni punti in mente ma per fare le memorie è necessario avere i documenti in mano in modo da poterli utilizzare in ogni punto, e finora questo non è stato possibile».

Purtroppo anche la richiesta di rinvio presentata dalla difesa è diventata inconsapevolmente un’arma contro Patrick Zaki, in quanto la data della prossima udienza è stata fissata per il 7 dicembre, giorno in cui Zaki raggiungerà i 22 mesi di detenzione.

Le due udienze che si sono tenute a settembre, infatti, sono state fissate in un lasso di tempo molto breve. Questo, insieme alla presentazione di nuovi fascicoli da parte dell’accusa senza un’adeguata trasmissione della documentazione alla difesa, hanno reso più arduo il lavoro dei legali di Zaki.

Il rinvio dell’udienza a dicembre rientra proprio in questo meccanismo ostruzionista, poiché una legittima richiesta di rinvio per poter elaborare le memorie ha dato al tribunale la possibilità di tenere Zaki in custodia cautelare per altri due mesi, escludendo la possibilità di fissare la prossima udienza in tempi molto più brevi come è avvenuto per le prime due.

Le innumerevoli torture subite da Zaki

In quasi 20 mesi di detenzione preventiva, le torture e i trattamenti inumani e degradanti a cui Patrick Zaki è sottoposto sono innumerevoli. Tra queste, ricordiamo colpi alla schiena, allo stomaco e ripetute scosse elettriche; inoltre, vive nella sua cella in isolamento e al buio senza alcun contatto con i familiari e raramente gli è stato permesso di incontrare i propri legali.

Queste sono solo alcune delle testimonianze sui trattamenti subiti da Zaki e, in generale, dai detenuti delle carceri egiziane. Come già descritto in un precedente articolo, la gestione delle carceri egiziane ha destato negli anni molte preoccupazioni in quanto i detenuti sono sottoposti a condizioni disumane e insostenibili sia psicologicamente sia fisicamente, che provocano loro danni permanenti se non la morte.

I trattamenti inumani e degradanti che Patrick Zaki continua a subire all’interno della propria cella, dove si trova ormai da quasi due anni, rendono l’attesa della nuova udienza ancora più estenuante. A questa si aggiunge la preoccupazione relativa all’impossibilità di impugnare la sentenza dopo il verdetto, in quanto le sentenze emanate dal tribunale di emergenza per la Sicurezza dello Stato non prevedono processi in appello. La sua unica possibilità sarebbe chiedere la grazia al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.


Immagine in copertina di Egyptian Initiative for Personal Rights

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