Dopo un anno di detenzione Patrick Zaki non è ancora libero

In attesa dell’esito ufficiale dell’udienza, fonti giudiziarie affermano che verranno confermati altri 45 giorni di detenzione per lo studente dell’Università di Bologna Patrick Zaki.


È passato già un anno dal giorno in cui Patrick Zaki, lo studente egiziano del Master Women’s and Gender Studies dell’Università di Bologna, è stato arrestato mentre era di ritorno in Egitto per far visita alla sua famiglia. Patrick è stato trattenuto all’aeroporto del Cairo per 17 ore, durante le quali è stato minacciato, colpito allo stomaco, alla schiena e torturato con scosse elettriche, per poi essere trasferito nella sede della procura di Mansura. Il giorno dopo, l’8 febbraio 2020, viene ufficialmente convalidato il suo arresto con le accuse di minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento a manifestazione illegale, sovversione, diffusione di notizie false e propaganda per il terrorismo. In particolare, la magistratura egiziana basa le sue accuse su dieci presunti post su Facebook scritti da Zaki, per il quale rischia fino a 25 anni di carcere.

Le numerose udienze con il medesimo esito

Dall’inizio della sua detenzione preventiva fino a data da destinarsi, le udienze relative al suo processo e alla custodia cautelare sono state in totale cinque, di cui due il mese appena trascorso. L’ultima udienza, che si sarebbe dovuta tenere a metà marzo, è stata anticipata il 28 febbraio; l’anticipazione dell’udienza ha alimentato molte speranze dei familiari e degli attivisti, poiché nei giorni scorsi i legali avevano annunciato l’intenzione di presentare l’istanza di scarcerazione per Zaki attestando le condizioni di salute precarie del padre, ricoverato da domenica 21 febbraio.

Nonostante l’esito ufficiale dell’udienza non sia stato ancora pubblicato per questioni burocratiche, è stato già comunicato dalla pagina Facebook “Patrick Libero – الحرية لباتريك چورچ” che la detenzione di Zaki sarà confermata per altri 45 giorni, proprio come è accaduto nelle precedenti udienze. Questa notizia è stata confermata anche dall’avvocato Hoda Nasrallah e dall’EIPR, Egyptian initiative for personal rights – la think tank egiziana per la difesa dei diritti umani con la quale collaborava Zaki – che nell’ultimo anno ha subito diversi arresti, compresi i suoi vertici (rilasciati dopo un mese), accusati anche loro di organizzazione terroristica e di minare la sicurezza pubblica attraverso internet.

Le leggi egiziane sulla detenzione preventiva e le condizioni in carcere

Come già confermato all’inizio di febbraio, la procura generale del Cairo ha intenzione di applicare la legge egiziana secondo la quale è possibile prolungare la custodia cautelare fino a due anni, durante il quale la procura svolge le indagini. Dunque, Patrik potrebbe rimanere in carcere per circa un altro anno.

A questa ipotesi, che sembra ormai plausibile, si aggiunge il fatto che sono rare le visite concesse sia ai familiari che agli avvocati di Zaki. L’ultima visita concessa alla madre è stata proprio dopo la conclusione dell’ultima udienza, durante la quale Patrick ha potuto chiedere informazioni sulla salute del padre; la madre ha inoltre riferito che Zaki non viene mai informato dell’esito delle sue udienze e apprende che la sua detenzione è stata prolungata perché vengono scarcerati altri detenuti in attesa di esito.

I familiari, inoltre, non smettono di preoccuparsi delle condizioni in cui Zaki, è costretto a vivere: la gestione delle carceri egiziane, che già non gode di ottima fama, è drasticamente peggiorata durante la pandemia. Dal rapporto Amnesty relativo alle condizioni disumane in cui versano le prigioni egiziane si evince che i detenuti sono sottoposti a condizioni disumane e insostenibili sia psicologicamente sia fisicamente, violazioni interamente supportate dal governo di Al Sisi.

Sia l’avvocato che i familiari hanno spesso denunciato le condizioni degradanti in cui Zaki è costretto a vivere: negli ultimi mesi le sue condizioni di salute sono peggiorate poiché costretto a dormire a terra e, inoltre, gli vengono negate le cure mediche frequentemente richieste in quanto asmatico, dunque soggetto che rischia di contrarre altre patologie, tra cui il covid-19.

“Cautela” di Mauro Biani
Chi torna in Egitto viene arrestato

Patrick Zaki non è il primo studente egiziano iscritto in università estere a essere arrestato al suo ritorno in Egitto e purtroppo, non è l’ultimo. I primi di febbraio, infatti, un altro studente è stato arrestato: si tratta di Ahmed Samir Santawy Abdelhay Ali, dal 2019 studente della Central European University di Vienna. La famiglia ha riferito che Ahmed Samir è tornato in Egitto perché convocato per un colloquio dai funzionari dell’Agenzia nazionale della sicurezza, che hanno perquisito la casa dei genitori. Dopo essersi presentato nel commissariato del Cairo, Ahmed Samir risulta irraggiungibile e ancora oggi non sono chiari i capi di accusa.

L’organizzazione egiziana Association for Freedom of Thought and Expression (AFTE) ha sottolineato come gli arresti compiuti dalle autorità egiziane rappresentano «un esempio di un modello sistematico di abusi e intimidazioni da parte delle autorità egiziane contro i ricercatori e la ricerca scientifica».

Tra i sostenitori di questa posizione c’è anche il portavoce Amnesty Italia Riccardo Noury che, dopo aver sottolineato la spaventosa similitudine tra il caso di Patrick Zaki e quello di Ahmed Samir, ha affermato «a prima vista il caso sembra confermare che l’Egitto nutre una vera e propria ossessione per chi si trova all’estero e per il pericolo che può rappresentare. Chi torna in Egitto, viene arrestato» e aggiunge «ha tutta l’aria di essere una tattica per spaventare gli studenti egiziani all’estero e tenere separate le famiglie».


Immagine in copertina di Egyptian Initiative for Personal Rights

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