Teste di Moro, simbolo d’amore e macabro avvertimento
Da secoli le “teste di Moro” sono uno dei simboli più conosciuti della Sicilia. Presenti in numerosi appartamenti come arredamento e facilmente reperibili nei negozi delle strade siciliane, nascondono una storia affascinante e macabra.
La leggenda è ambientata nella Sicilia araba, sotto dominazione islamica (poco prima dell’arrivo dei Normanni). Nel quartiere arabo “Al Hàlisah”, oggi Kalsa, viveva una giovane e bellissima donna molto riservata. La ragazza infatti non era solita uscire, e passava le giornate dedicandosi alla cura delle sue piante, che rendevano il suo balcone tra i più belli del quartiere.
Un giorno passò per la strada un giovane moro di nobili origini, che attratto dal profumo dei fiori, notò la giovane intenta ad annaffiare le piante, e se ne innamorò perdutamente. Come era un tempo usanza consolidata, il ragazzo si recò subito alla sua porta, e con particolare ardore le dichiarò i suoi sentimenti. La bella fanciulla, colpita dal gesto, non poté che ricambiare, e passarono la notte insieme, all’insegna della passione.
Il principe, però, aveva omesso un piccolo particolare: il giorno dopo sarebbe ripartito verso la sua terra, dove ad attenderlo aveva una moglie e dei figli. Quando lo confessò alla donna, lei impazzì di gelosia.
Non poteva perdere l’uomo della sua vita. Così, nel cuore della notte, una volta addormentato, tagliò la testa al suo amato e ne fece un vaso dove piantò del basilico, pianta che in Sicilia simboleggia l’amore ricambiato, ma anche conosciuta come “la pianta del re” (dal greco «basileus»). Giorno dopo giorno annaffiava la pianta con le sue lacrime dolorose, forse di pentimento, forse di solitudine: fatto sta che il basilico che ne crebbe era incredibilmente forte e rigoglioso, tanto da attirare l’invidia di tutto il vicinato che pensò bene di commissionare ai vasai del quartiere dei vasi in terracotta a forma di testa, appunto, di moro.

Cosa è rimasto di quella storia
Ad oggi è usuale vedere entrambe le teste dei due amanti (di terracotta, di ceramica, di porcellana) in vendita, riproposti come “modello di amore eterno” certamente discutibile, ma anche come “simpatico” monito verso il proprio coniuge. Certo è che il fascino noir delle teste di Moro non passa inosservato, e gli artigiani e i creativi siciliani si impegnano al massimo nel celebrarne la bellezza, decorandoli con piante, frutta, gioielli e le immancabili corone.
Perfino Dolce & Gabbana, di cui è noto l’amore per la Sicilia, concretizzato nei numerosi progetti ispirati all’isola, hanno realizzato per la collezione primavera/estate 2013, proposta alla settimana della moda di Milano, degli orecchini raffiguranti proprio le teste di Moro.

Nonostante i colori delle teste siano variabili, spesso a discrezione della mano che li crea, vi sono ancora numerosi dubbi sul colore maggiormente fedele alla tradizione storica della leggenda. Il termine “mori” (o Mauri) era infatti inizialmente utilizzato per indicare i Berberi e altri popoli dell’attuale nord africa. Successivamente, nel periodo della Reconquista spagnola, i mori divennero tutti i musulmani in Europa. Con l’arrivo del rinascimento, il termine venne esteso indistintamente a qualsiasi persona con la pelle nera.
Il principe protagonista della storia è contestualizzato nell’Emirato di Sicilia, dove la popolazione islamica era composta da diversi popoli, quali Arabi, Berberi, Spagnoli, Egizi, Siri, Persiani. Risulta quindi complesso, essendo un periodo storico in cui pesava più una differenza ideologica che razziale (che persiste purtroppo ai giorni nostri), definire il colore della pelle di un personaggio della tradizione folkloristica siciliana. Fortunatamente, che siano bianche, nere, arcobaleno, in ceramica o in terracotta, le teste di Moro restano uno dei simboli più belli e affascinanti della tradizione siciliana.