Ikram Nazih, la giovane italo-marocchina condannata per un post su Facebook

Risale allo scorso 28 giugno la notizia della condanna di Ikram Nazih a 3 anni e mezzo di carcere per “offesa pubblica all’Islam”.


Continua la violazione della libertà d’espressione e di parola in Marocco, in contraddizione con le intenzioni di quest’ultimo di farsi promotore di un Islam più tollerante e moderato e di diffonderne i suoi principi nel mondo. Come già avvenuto in passato, anche questa volta ci sono tutti gli estremi per un nuovo caso diplomatico di cui l’Italia rappresenterebbe parte in causa. 

Protagonista o, per meglio dire, vittima della vicenda è Ikram Nazih, una giovane donna italo-marocchina accusata di “offesa all’Islam”. Il caso, di cui al momento si conosce ben poco, sta pian piano acquistando risonanza mediatica, con un’opinione pubblica sempre più disposta a far sentire la propria voce in difesa di Ikram nonostante la quasi totale e iniziale indifferenza delle forze politiche italiane. A tal fine tanti attivisti si stanno mobilitando allo scopo di esercitare pressione sui governi, italiano e marocchino, per ottenere la liberazione della giovane donna.

Chi è Ikram Nazih ed i motivi del suo arresto 

Ikram Nazih è una giovane studentessa di 23 anni con doppia cittadinanza italo-marocchina. È nata in Italia da genitori marocchini e ha trascorso la sua vita per lo più nella Brianza, trasferendosi solo di recente a Marsiglia, dove frequenterebbe la facoltà di giurisprudenza.

Il 20 giugno scorso, in occasione di un viaggio per visitare i parenti in Marocco, la sua vita è stata completamente stravolta. All’arrivo all’aeroporto di Casablanca, l’amara sorpresa. Infatti, la giovane è stata posta in stato di fermo con l’accusa di aver “offeso pubblicamente l’Islam”.

L’episodio risalirebbe a due anni prima, quando Ikram condivise sulla sua pagina Facebook una vignetta satirica avente a oggetto un versetto del Corano. Nonostante la ragazza avesse quasi immediatamente cancellato il post, l’episodio non è sfuggito a un’associazione religiosa che, prontamente, ha denunciato alle autorità marocchine di Rabat la giovane in qualità di autrice del post stesso. Tuttavia, Ikram, dalla prigione di Marrakech dov’è detenuta, nega di esserne l’autrice e piuttosto dichiara di averlo soltanto condiviso e quasi immediatamente rimosso. 

Purtroppo, il codice penale marocchino prevede ancora e punisce severamente il reato di “vilipendio della religione” per il quale sono previsti fino a 2 anni di prigione, estendibili a 5 in presenza dell’aggravante di “diffusione pubblica o a mezzo social”.  Per questa ragione, durante il processo in primo grado, Ikram è stata condannata quasi al massimo della pena, ovvero a 3 anni e mezzo, oltre al pagamento di una multa corrispondente a circa 4.800 euro.

Colpiscono, dunque, la severità della pena inflitta come a voler significare una pena esemplare per chi, anche solo minimamente, intende prendersi gioco della religione musulmana ma anche la celerità con cui la giovane donna sia stata sottoposta a processo, in soli otto giorni, e condannata, lasciando perfino la famiglia priva di informazioni adeguate e ignorando il fatto che la donna non avesse neppure un’adeguata padronanza della lingua araba e un’adeguata conoscenza dell’Islam.

La posizione della politica italiana

Da subito e da più parti è stata percepita la somiglianza del caso di Ikram Nazih con quanto successo a Patrick Zaki che, ormai in carcere dal 7 febbraio 2020, conta ben oltre 530 giorni di prigionia.

Di fronte al pericolo che la triste storia possa ripetersi, sorprende il quasi totale silenzio delle forze politiche italiane. Infatti, dal 20 giugno scorso, solo un esponente politico della Lega, l’onorevole Massimiliano Capitanio, sembra essersi mobilitato per stabilire un contatto con l’ambasciatore italiano in Marocco, Armando Barucco, e per chiedere l’immediato intervento dell’Italia ai fini della scarcerazione della giovane mediante la presentazione di un’interrogazione parlamentare.

D’altro canto, l’ambasciatore italiano ha sottolineato la delicatezza della situazione. Quest’ultimo, in contatto con la famiglia di Ikram, è costantemente impegnato nella ricerca e raccolta di informazioni. Mancano, infatti, informazioni ufficiali circa la situazione della prigionia di Ikram, la cui notizia di condanna è stata riportata sul sito del Ministero della Giustizia marocchino esclusivamente in lingua araba.

È doveroso sottolineare quanto sia complicata la situazione dal punto di vista diplomatico dal momento che la Convenzione dell’Aja del 1930 impone stringenti limiti all’intervento dello Stato Italiano. Quest’ultima, all’articolo 4, prevede infatti che «nelle ipotesi di doppia cittadinanza, è escluso che i due stati coinvolti possano attivare la protezione diplomatica l’uno contro l’altro».

Il Marocco e la libertà d’espressione

Il caso di Ikram si aggiunge alla fitta schiera di arresti e varie altre limitazioni delle libertà che coinvolgono quotidianamente giornalisti e attivisti per i loro post sui social, giovani donne, omosessuali e chiunque altro sfidi o semplicemente possa anche solo lontanamente criticare uno dei tre pilastri della società marocchina: religione, re e patria.

Si sta parlando di uno Stato che criminalizza ancora l’omosessualità con la previsione, all’articolo 489 del codice penale, di una pena fino a 3 anni da integrare con un’eventuale multa. 

Nel 2019, una sorte simile a quella di Ikram è spettata a un noto youtuber, Mohamed Sekkafi, il quale è stato arrestato dalla polizia di Casablanca con l’accusa di “oltraggio a un’istituzione ufficiale” per essersi preso gioco del re in un video e condannato a 4 anni di carcere, unitamente al pagamento di una multa di circa 4 mila dollari.

Dunque, una politica di tolleranza zero che sembra contravvenire alla svolta moderata che il Marocco si vanta di aver imboccato fin dai primi anni 2000, allorché decise di prendere le distanze dall’estremismo islamico e guidare il rinnovamento spirituale e materiale del territorio.


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