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Vaccini anti Covid, Biden e la geopolitica dei brevetti

L’annuncio dell’amministrazione Biden sulla disponibilità degli Stati Uniti a sospendere i brevetti sui vaccini anti Covid è comprensibile solo da una prospettiva geopolitica.


Dopo le recenti dichiarazioni da parte dell’amministrazione Biden, la discussione degli ultimi mesi sull’opportunità di sospendere o meno i brevetti sui vaccini è entrata nel vivo. A margine degli incontri al WTO di due settimane fa, il Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti Katherine Tai ha infatti annunciato: «Questi tempi e circostanze straordinari richiedono misure straordinarie. Gli Stati Uniti supportano la rinuncia alla protezione della proprietà intellettuale sui vaccini contro il covid-19 per contribuire a porre fine alla pandemia e parteciperemo attivamente ai negoziati del WTO per realizzarla».

La dichiarazione di Tai, tra le massime rappresentanti del governo Biden, segna un cambio di rotta rispetto alle precedenti posizioni degli Stati Uniti. La proposta di India e Sudafrica presentata a ottobre – in cui si chiedeva ai paesi membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio di sospendere i brevetti su vaccini, farmaci e diagnostica – aveva incontrato l’opposizione dell’Unione Europea, del Regno Unito, del Giappone e, per l’appunto, degli Stati Uniti. Adesso il quadro potrebbe cambiare.

Le reazioni politiche all’annuncio dell’amministrazione Biden – favorevole alla sospensione dei brevetti sui vaccini, non sui farmaci né sulla diagnostica – hanno causato un certo imbarazzo all’interno dell’Unione Europea e (neanche a dirlo) un coro di rifiuto unanime da parte dell’industria farmaceutica.

Mentre il parere delle multinazionali del farmaco era pressoché scontato, le giravolte dei paesi membri e delle istituzioni dell’Unione non lo erano. Prima della svolta di Biden, tutti erano contrari alla sospensione dei brevetti, dalla presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen al commissario all’industria Thierry Breton. 

Dopo l’annuncio sull’inversione di rotta, tutti “pronti a discutere” in modo “efficace e pragmatico”. Tuttavia, dopo la chiusura di Angela Merkel seguita all’iniziale apertura al dialogo, la sospensione dei brevetti è diventata una “strada non percorribile” per tutti i leader europei, riuniti a Porto – con Merkel unico capo di stato assente, collegata in videoconferenza. 

Il significato politico di questa giravolta è chiaro. Angela Merkel non ha presenziato al summit in Portogallo dopo che l’accordo tra Unione Europea e Cina è stato congelato. Mentre la Germania è il paese che più degli altri aveva puntato su questo accordo, gli Stati Uniti sono quelli che più di altri hanno ottenuto un vantaggio dalla sospensione dei negoziati, in seguito alla decisione della Commissione europea di non richiederne la ratifica né al Parlamento Europeo né agli stati membri dell’Unione.

Se dunque l’Unione Europea sembra intenzionata a riallacciare una volta per tutte i nodi della sua alleanza con gli Stati Uniti – messa in discussione da quattro anni di presidenza Trump –  allo stesso tempo sembra costretta a fare dei distinguo, mettendo l’interesse dell’Unione al di sopra delle divisioni tra gli stati membri. Tradotto: in Europa comanda ancora Merkel, almeno fino a quando il suo mandato non sarà terminato e nella misura in cui un’altra persona (più filo-americana) non prenderà il suo posto.

Accanto alle questioni strettamente legate al posizionamento geopolitico, ci sono le ragioni economiche. Come detto poc’anzi, l’annuncio di Biden non è stato accolto bene dai colossi dell’industria farmaceutica, che hanno registrato perdite notevoli sul prezzo delle loro azioni. Al di là del fatto scontato per cui la sospensione dei brevetti comporterebbe una riduzione dei profitti per le cause farmaceutiche, la preoccupazione ufficiale delle multinazionali del farmaco – condivisa dal governo tedesco – è che la sospensione dei brevetti potrebbe minare l’incentivo a investire e innovare.

«La protezione della proprietà intellettuale è una fonte di innovazione e deve rimanere tale anche in futuro. Il fattore limitante nella produzione di vaccini è la capacità di produzione e gli elevati standard di qualità, non i brevetti»: queste le parole di una portavoce del governo tedesco al quotidiano Sueddeutsche Zeitung.

Delle due l’una: o per Biden non è importante incentivare l’innovazione e gli investimenti, oppure le ragioni geopolitiche della Germania contano più delle motivazioni delle industrie farmaceutiche. Considerato il fatto che gli Stati Uniti sono il paese capitalista per eccellenza e che dai primi giorni della sua presidenza Biden ha puntato su economia, lavoro e investimenti pubblici, non ci vuole molto a capire cosa conta di più.

D’altronde, il fatto che Biden sembri allontanarsi dall’ortodossia neoliberista per cui i profitti e i monopoli privati vanno difesi sempre e comunque non deve mettere in ombra le ragioni geopolitiche degli Stati Uniti. L’annuncio di Biden non rappresenta infatti una svolta “socialista” ma sembra piuttosto una mossa per contrastare il tentativo della Cina di sostituirsi all’America nel ruolo di potenza egemone globale. 

I segnali da parte della Cina sono chiari: la nuova “via della seta”, il sostegno al multilateralismo quando gli Stati Uniti erano guidati dall’unilateralismo di Trump, non ultima la notizia del mese scorso della possibilità da parte dell’OMS di approvare i vaccini cinesi Sinopharm e Sinovac, diventata realtà il 7 maggio. Di fronte a tutto questo, il senso dell’annuncio di Biden diventa più chiaro: l’unica possibilità per gli Stati Uniti di conservare il proprio ruolo sullo scacchiere internazionale passa dal conflitto egemonico contro la Cina, su tutti i livelli – compreso quello sanitario.

C’è chi ha fatto notare che la sospensione dei brevetti richiederebbe tempi lunghissimi in virtù delle regole del WTO. Per farlo occorrerebbe infatti giungere a una decisione unanime da parte di tutti gli stati membri dell’organizzazione. 

In realtà, l’Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (TRIPS) prevede delle deroghe alla tutela dei brevetti: in virtù dell’articolo 31 del Trattato, ogni Stato può stabilire una licenza obbligatoria, ovvero può utilizzare il brevetto anche senza il consenso del soggetto che lo ha registrato. Il vero problema è che dietro quel soggetto c’è un altro Stato e che dunque la licenza obbligatoria può scatenare crisi diplomatiche, con possibili sanzioni ai danni di chi la decide. L’unanimità al WTO serve solo a scongiurare questo pericolo, limitando l’arbitrio degli Stati.

C’è poi chi sostiene che la sospensione dei brevetti non basta ad aumentare la produzione dei vaccini e che per farlo bisogna distribuire know-how e capitale umano. In fondo, c’è della verità nel parere delle industrie farmaceutiche. Sospendere i brevetti non basta ad aumentare la produzione a livello globale: piuttosto, è la condizione senza la quale qualsiasi rafforzamento della capacità produttiva nazionale e internazionale non potrebbe realizzarsi a pieno. 

Se gli Stati Uniti, per assurdo, decidessero di rafforzare le strutture produttive dei paesi più poveri anziché puntare sulla sospensione dei brevetti, i loro sforzi potrebbero essere vanificati dalle leggi del mercato: le multinazionali come Big Pharma potrebbero cioè ostacolare l’aumento della produzione di vaccini in virtù dei loro diritti di proprietà.

Per comprendere la scelta dell’amministrazione americana non serve dunque scomodare la storia delle innovazioni scientifiche né affermare che la capacità produttiva dei paesi del Sud esiste. I paragoni con i trattamenti contro l’HIV o la tubercolosi o con altri casi meno recenti in cui i brevetti sono stati un ostacolo – rispetto a una capacità produttiva preesistente – non reggono, né serve criticare l’assunto per cui gli scienziati (come tutti gli esseri umani) sono mossi da incentivi materiali. Piuttosto, occorre comprendere il nesso indissolubile tra competizione geopolitica e crescita economica.


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Francesco Puleo

Caporedattore. Scrivo da sempre, per mettere in ordine le idee e capire da che parte stare.