LOL, oltre il programma: l’importanza della risata

Il fenomeno LOL continua a imperversare sui social: tra una risata e l’altra diventiamo consapevoli di quanto possa essere difficile privarsi di qualcosa di normale.


Ormai da settimane il mondo della televisione e del web è stato scosso da quello che potremmo definire “fenomeno LOL”, il programma a sei episodi di Amazon Prime presentato da Fedez e Mara Maionchi che ha visto protagonisti dieci comici italiani su una scena priva di pubblico per sei ore. Scopo del gioco: riuscire a non ridere alle battute dei colleghi (e anche alle proprie), senza isolarsi (troppo facile, altrimenti), ma piuttosto interagendo e creando apposite gag per cercare di eliminare gli avversari facendoli, appunto, ridere.

LOL ha portato in scena un ipotetico mondo distopico in cui è vietata una delle cose più naturali al mondo: ridere. Ma non è vietato solo ridere di gusto, con quella risata fragorosa, chiassosa, prepotente: non è permesso neanche sorridere, o lasciarsi sfuggire qualche smorfia che nasconda una risata soffocata.

Più facile a dirsi che a farsi, perché proprio nel momento in cui ci viene detto di non fare qualcosa, improvvisamente ci rendiamo conto di quanto quella cosa faccia parte di noi, e soprattutto quanta difficoltà riscontriamo nell’evitare di farla.

Ciò che è del tutto normale, scontato, diventa un divieto imposto dall’alto e il disagio che si percepisce è palpabile: la regola del non ridere, unica e sola del gioco, ci piomba addosso nella sua cruda semplicità e ci rende consapevoli di quante volte effettivamente ridiamo, sorridiamo, sghignazziamo, senza farci assolutamente caso.

Ridere, emozione primordiale

Ridere è un’emozione innata, che potremmo definire primordiale: ridono i neonati, i bambini, inizialmente senza sapere il motivo, poi dai 3-4 anni in modo più consapevole per esprimere gioia, felicità, divertimento, in ogni caso benessere.

Si ride da soli, ma molto di più in compagnia: la probabilità di ridere è del 30 per cento in più se si è insieme ad altre persone; diventa un modo per sintonizzare e sincronizzare le nostre emozioni con quelle degli altri; si ride per essere accettati dal gruppo, per far vedere che si è capita una battuta, che si è sulla stessa lunghezza d’onda, per ricevere consensi dagli altri; chi ride con noi viene automaticamente considerato dal nostro cervello un nostro “alleato”.

Tutti i popoli ridono, non esistono culture dove non si ride mai: in alcune si ride più in privato e meno in pubblico, ma la risata è un’emozione che accomuna tutti gli esseri viventi, anche gli animali, tipo gli scimpanzè e i gorilla.

Risata spontanea, di pancia, risata forzata, studiata, risata di imbarazzo, risata di assenso: mille sfaccettature di un gesto semplice che mette in moto una piccola iniezione di endorfina che riduce lo stress perché riempie e svuota i polmoni, ossigena il sangue e riduce gli ormoni dello stress come adrenalina e cortisolo.

La risata nei millenni

Se è vero che tutti ridono, è altrettanto vero che pochi sanno far ridere. Da millenni filosofi e studiosi si sono interrogati su questo fenomeno, la risata, e anche sul senso dell’umorismo. Addirittura si risale a Ippocrate e Galeno che già nell’antica Grecia si accorsero dei benefici che questo comportamento causava al corpo, dando un senso di liberazione e rilassatezza; e come non citare Aristotele che nella Poetica e nella Retorica sosterrà fermamente l’innocuità del riso, attribuendogli una funzione sociale, di coesione e di equilibrio tra gli uomini (sebbene qualcuno ci sia rimasto secco, quando ha provato a leggere gli scritti del filosofo greco sulla commedia e sul riso, per citare Il nome della rosa).

Il senso dell’umorismo è qualcosa che ha sempre affascinato pensatori e intellettuali. C’è stato persino chi ha tentato di elaborare una teoria dell’umorismo; Kant riteneva che ciò che ci muove al riso deve essere “assurdo”: noi ridiamo perché ci aspettiamo qualcosa che si risolve in altro, e il riso sarebbe una distensione seguita da un’iniziale tensione, come un sollievo di sicurezza ritrovata dopo una sensazione di timore. Per Schopenhauer, invece, il riso deriverebbe dal conflitto tra ragione e intuizione, nel senso che il conoscere astratto non riuscirebbe a far presa sulla realtà: un’incongruenza tra un concetto e gli oggetti reali pensati mediante quel concetto si risolverebbe nella risata.

Tralasciando le disquisizioni filosofiche, ci si è spesso interrogati su cosa effettivamente faccia ridere: i doppi sensi, gli equivoci, le ambiguità, i controsensi, semplicemente azioni o frasi avulse da contesti e per questo inaspettate.

lol risata

Perché LOL è piaciuto così tanto?

Se è vero che non si riescono a elaborare teorie sul riso o sull’umorismo che possano valere in senso assoluto in tutti i contesti, dovremmo limitarci ad accettare il fatto che ridere fa parte di noi.

Così come fa parte dell’uomo abbracciarsi, stare in gruppo, mostrare affetto, gesticolare: in una parola, socializzare. Del resto, l’uomo è un «animale sociale» che tende ad aggregarsi con altri individui; un animale sociale a cui, ormai da più di un anno, viene negata (o comunque limitata) qualunque forma di socialità. Gesti prima considerati “normali”, adesso sono disprezzati, vietati, stigmatizzati, guardati con timore e per questo evitati.

Ed è proprio quello che accade dentro LOL: un comportamento “normale” (quale è ridere) trasformato, ovviamente per gioco, in qualcosa di negativo. Ed è in quel momento che ci si accorge della bellezza della normalità, ma soprattutto della difficoltà di farne a meno: le maratone di Frank Matano in giro per lo studio, gli occhi sgranati di Lillo, le urla di Katia Follesa (con la sua “risata interna”), Michela Giraud che si preme il braccio per distrarsi davanti alle performance di Elio sono diventati la personificazione della nostra innata capacità di ridere, e dell’impossibilità di rinunciarvi.

Senza voler addentrarci in argomentazioni troppo profonde, possiamo dire che LOL è piaciuto così tanto probabilmente perché ci ha dato quella leggerezza frivola di cui avevamo bisogno, in un momento in cui tutto sembra essere più pesante di prima: è stato un altro spunto di riflessione sull’importanza della normalità, che tanto aspettiamo e agogniamo. Adesso però attendiamo la seconda stagione che verrà rilasciata questo autunno.

In copertina Galiziane alla finestra, Bartolomé Esteban Perez Murillo


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