Economia e Diritto

Robert Mundell, il padre dell’Area Valutaria Ottimale

Nella notte di domenica 4 aprile è venuto a mancare l’economista Robert Mundell, da molti considerato uno dei padri della moneta unica europea. 


La carriera e gli studi di Robert Mundell, professore alla Columbia University e all’Università di Chicago, raccontano di un economista brillante e di uno dei più profondi conoscitori dei meccanismi di funzionamento delle Aree Valutarie Ottimali (AVO) e delle integrazioni economiche e monetarie. La sua carriera ha raggiunto il culmine con il Premio Nobel ottenuto nel 1999 proprio per gli studi in materia economica e, in particolare, “per la sua analisi della politica fiscale e monetaria in presenza di diversi regimi di cambio e per la sua analisi delle aree valutarie ottimali”. 

La base teorica del suo lavoro può essere rinvenuta in un suo vecchio articolo, una pietra miliare per la comprensione dell’economia internazionale, pubblicata sull’American Economic Review nel 1961. Il titolo è chiaro circa il suo contenuto: “A Theory of Optimum Currency Areas”. Quelle semplici sette pagine hanno cambiato il corso degli studi sull’economia internazionale, aprendo una serie di filoni teorici e di analisi che hanno fatto la storia della moneta unica europea. 

Non è un caso che Robert Mundell venga considerato il “padre” dell’Euro: forse, più correttamente, andrebbe considerato il “padre” dello “Spazio Schengen” per via dell’impatto dei suoi studi in materia di mobilità dei fattori produttivi e, in particolare, dei lavoratori.

La sua analisi teorica si fonda sulla soluzione agli shock asimmetrici che possono colpire i Paesi. Fin dall’inizio, egli rende chiaro come un sistema di cambio flessibile sia la soluzione meno “costosa” in termini di deflazione e, quindi, di recessione e disoccupazione per risolverli. In mancanza, però, di un sistema di cambio flessibile, un buon surrogato è la mobilità dei fattori produttivi e, quindi, del lavoro e dei capitali. 

Per rendere più chiaro il suo pensiero, pensiamo a due Paesi A e B che vanno incontro a uno shock asimmetrico in cui A vede la propria economia in espansione e B in recessione. In un sistema di tassi flessibili, la situazione verrebbe riequilibrata attraverso la fluttuazione monetaria fra i due Paesi. Nel dettaglio, se il tasso di cambio è flessibile, la valuta di A si apprezza rispetto a quella di B e in questo modo si avvantaggiano le esportazioni di B e si penalizzano quelle di A. Così facendo, da un lato l’espansione in A viene frenata e, dall’altro, viene frenata anche la recessione in B. 

La situazione di shock verrebbe così risolta attraverso il tasso di cambio con un impatto limitato sulle società dei due Paesi. In assenza di cambio flessibile, l’equilibrio sarebbe ottenibile soltanto attraverso una deflazione nel Paese B e la crescita di inflazione nel Paese A. Questo processo sarebbe lungo e costoso in termini sociali ed è qualcosa a cui abbiamo assistito all’interno dell’Eurozona negli anni successivi alla “Grande Recessione”. 

Una soluzione che può mitigare l’impatto di queste politiche di riequilibrio è la libera circolazione del lavoro, attraverso cui i lavoratori disoccupati del Paese B possono spostarsi verso il Paese A, riequilibrando in questo modo lo shock asimmetrico. Anche di questo sistema di riequilibrio ne abbiamo in parte esperienza attraverso la migrazione tra meridione e settentrione nel nostro Paese.

In assenza di un sistema di cambi flessibili, della libera circolazione dei fattori produttivi e di una politica fiscale riequilibratrice, un sistema di cambi fissi o una moneta unica è insostenibile dal punto di vista sociale. Ecco perché possiamo considerare Robert Mundell più il padre dello Spazio Schengen che della moneta unica. 

robert mundell

Egli, però, con un approccio pragmatico, sottolinea anche i limiti che la libera circolazione dei fattori produttivi presenterebbe in Europa: non è un caso che, nel suo lavoro del 1961, citi un articolo del 1957 del Professor James Edward Meade, anche lui Premio Nobel per l’economia nel 1977, con Bertil Ohlin, “per i contributi pionieristici alla teoria del commercio internazionale e dei movimenti internazionali di capitali”. 

L’articolo citato è molto critico sulla possibilità di un’integrazione monetaria delle economie allora appartenenti alla neonata Comunità Economica Europea (CEE), a causa delle differenze culturali presenti fra gli Stati membri. Le differenze – che spesso sono state così tanto marcate –  hanno permesso solo in scarsa misura un reale riequilibrio attraverso la mobilità del lavoro.

Oltre che per i suoi lavori sul commercio internazionale e sull’integrazione economica e monetaria, Robert Mundell è ricordato per essere uno dei teorici della “supply-side economics”, una teoria macroeconomica alla base della Reaganomics degli anni ottanta. Sintetizzando, essa sostiene come ad una diminuzione della pressione fiscale, faccia seguito una espansione economica grazie a una migliore allocazione delle risorse. Alla base di questa teoria, si trova il lavoro di Arthur Laffer e il suo principale contributo: la curva di Laffer

Nel corso del tempo, gli assunti macroeconomici di questa teoria sono stati sempre più messi in discussione, in particolare per quelle componenti che sembrano rimandare alla legge di Say e alla presunta capacità di traino che un’espansione dell’offerta, ottenuta da una riduzione dell’imposizione fiscale, avrebbe sulla domanda.

Non vi è alcun dubbio che Robert Mundell abbia donato un contributo decisivo negli ultimi cinquant’anni sia alla teoria economica sia alle sue applicazioni pratiche. La scienza economica perde uno dei suoi giganti. 


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Francesco Paolo Marco Leti

Tesoriere di Eco Internazionale. Classe 1984, manager culturale, esperto in economia internazionale, storia dell’economia e storia del pensiero economico.