corte costituzionale tedesca

Area Schengen, com’è cambiata la libera circolazione dopo la pandemia

A livello europeo, fra le principali misure adottate per limitare la diffusione della pandemia c’è la sospensione dell’Accordo Schengen. Ripercorriamo la sua storia.


L’Accordo di Schengen – firmato nel giugno del 1985 da Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi – mira all’eliminazione progressiva dei controlli alle frontiere e a introdurre la libertà di circolazione per tutti i cittadini dei Paesi aderenti all’accordo. Nel 1995 è entrata in vigore la Convenzione di Schengen, che si affianca all’Accordo e definisce lo spazio di libera circolazione. 

L’Accordo, la Convenzione e gli atti giuridici a questi connessi definiscono l’acquis di Schengen, recepito nella legislazione comunitaria a partire dal 1999, con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam. La libera circolazione si presenta, oggi, non solo come un diritto acquisito, ma anche come un parametro da dover rispettare per aderire all’Unione Europea (UE). E infatti, i Paesi candidati, ai fini dell’ammissione, devono accettare integralmente l’acquis di Schengen. 

L’effettiva eliminazione dei controlli avviene con decisione unanime assunta dal Consiglio dell’UE, in seguito ad una valutazione operata dalla Commissione europea e da esperti appartenenti al Paese candidato. Lo spazio Schengen comprende, oggi, 22 Stati: Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein, cui si aggiungono tutti i Paesi dell’Unione, ad eccezione della Bulgaria, di Cipro, della Croazia, dell’Irlanda e della Romania.

L’attraversamento delle frontiere senza la necessaria sottoposizione agli ordinari controlli è uno dei benefici concreti che la stipula di questo Accordo ha garantito ai cittadini dei Paesi aderenti all’area. A questo, si affianca il rafforzamento della sicurezza degli Stati aderenti all’Accordo di Schengen, giacché, alla frontiera esterna comune, è stato previsto un irrigidimento dei criteri impiegati per i controlli relativi ai cittadini provenienti dai Paesi extra Schengen, cui si affianca una maggiore cooperazione tra le forze dell’ordine degli Stati firmatari. 

Se è vero che la legislazione relativa allo spazio Schengen è espressamente rivolta a tutti i cittadini degli Stati aderenti all’Accordo e alla successiva Convenzione, nella prassi i destinatari della normativa sono più ampi e coincidono con tutti i soggetti che, indipendentemente dalla propria nazionalità, si trovano all’interno dei confini dell’area e decidono di spostarsi nell’ambito di quello spazio.

In questa chiave, dunque, si spiega la ragione del rafforzamento alle frontiere esterne: concedere ad un soggetto di uno Stato extra Schengen di accedere all’area di cooperazione transnazionale significa non solo consentirgli di avere accesso nel territorio del proprio Stato, presso cui il controllo è concretamente effettuato, ma anche conferirgli la libertà di circolare liberamente negli altri Paesi aderenti all’Accordo, senza dover effettuare ulteriori controlli alle frontiere interne. 

Com’è noto, è fatta salva la facoltà per le autorità operanti in aree transfrontaliere di effettuare controlli a campione che, non configurandosi quali sistematiche operazioni di monitoraggio, fanno salvi gli obblighi convenuti nella pattuizione internazionale e, anzi, ancorché non tipizzati, potrebbero assumere la veste di operazioni congiunte di controllo e sicurezza comune.

La legislazione Schengen prevede espressamente che uno Stato possa, in via eccezionale, ripristinare il controllo alle frontiere, nelle ipotesi di grave minaccia per l’ordine pubblico o per la sicurezza interna, ovvero in caso di mancato o insufficiente funzionamento dei controlli alle frontiere esterne, inizialmente per un massimo di trenta giorni. La procedura prevede che il Paese debba notificare la propria intenzione agli altri Stati aderenti all’Accordo, al Parlamento europeo e alla Commissione europea. 

Nel contesto dell’attuale pandemia, la libertà di circolazione ha subito delle notevoli restrizioni. E, infatti, il 17 marzo 2020 è stata convenuta la prima sospensione dell’Accordo: blindata la zona per i cittadini, vi sono state delle ragionevoli deroghe per i ricercatori e il personale sanitario, nonché per gli spostamenti derivanti da comprovate esigenze lavorative. 

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A quella sospensione, peraltro, si era giunti con non poca difficoltà: al riguardo, si ricordi che l’Austria, la Danimarca, l’Estonia, la Germania, la Lituania, la Norvegia, la Polonia, la Repubblica Ceca, la Svizzera e l’Ungheria avevano già notificato l’intenzione di sospendere l’Accordo alla Commissione europea, e Francia e Spagna, ancor più repentinamente, avevano già provveduto de facto ad introdurre dei controlli sistematici. 

Nuovamente, giorno 8 aprile 2020 la Commissione ha chiesto una proroga delle restrizioni dei viaggi da applicare sino al 15 maggio, rinnovata fino al termine del 15 giugno.

Durante il periodo estivo, i diritti concernenti la libera circolazione si sono nuovamente ampliati, in concomitanza con la riduzione dei contagi da Covid-19. Ad oggi, il DPCM del 14 gennaio 2021 dispone che siano consentiti, salve le limitazioni previste su base regionale, gli spostamenti verso gli Stati aderenti all’Accordo di Schengen. 

Nel bilanciamento tra le esigenze di sanità pubblica e le libertà individuali connesse al diritto di circolazione, non vi è dubbio che, negli scorsi mesi, è stata accordata una priorità in favore delle prime sulle seconde. Eppure, in una fase storica in cui si è assistito ad un progressivo regresso delle pattuizioni convenute nell’Accordo di Schengen, un passo avanti è stato fatto. Lo scorso 31 dicembre 2020, difatti, è stata raggiunta un’intesa, tra Gran Bretagna e Spagna, sul futuro di Gibilterra. Dopo la Brexit, la colonia britannica resterà libera di aderire ad alcuni programmi UE, tra cui l’Accordo di Schengen. 

L’auspicio è che, scongiurato il rischio dell’attuale pandemia, gli Stati aderenti all’Accordo rinnovino la loro cooperazione, rilanciando i principi che avevano condotto alla stipula della pattuizione ormai 35 anni fa, in una piccola località lussemburghese dove, tutt’oggi, così si legge: «La soppressione delle frontiere interne all’UE è il marchio di riconoscimento che tutti i cittadini degli Stati membri appartengono allo stesso spazio e che sono portatori di un’identità comune».