Indipendenza vaccinale: asset strategico o propaganda?
Lo sviluppo di un vaccino di stato per il contrasto di Sars-cov-2 è così fondamentale? Ne abbiamo parlato con la prof.ssa Acela Diaz della Universidad de La Habana, Cuba.
La campagna vaccinale contro il Covid-19, a un anno dello scoppio della pandemia, sta entrando nel vivo in – quasi – tutto il mondo. Con essa si sono intensificati gli slogan propagandistici. Abbiamo già parlato qui di come, ad esempio, la Repubblica Popolare Cinese abbia usato a suo vantaggio la questione vaccinale, per ribaltare la narrazione sul “virus cinese” e ricostruire la propria immagine agli occhi del mondo: la propaganda politica non ha contraddistinto solo la campagna vaccinale cinese.
Salvini che apre al vaccino russo Sputnik, o l’ennesimo episodio dell’eterna faida mediorientale tra Israele e palestinesi ai tempi del Covid, sono soltanto due tra gli ultimi episodi che hanno animato il dibattito pubblico degli ultimi mesi. La produzione e distribuzione di vaccini finisce per ricordare la corsa alla luna in piena guerra fredda: carichi vaccinali decorati con bandiere russe e cinesi ingombrano magazzini di paesi tradizionalmente molto lontani da queste potenze.
Allo stato attuale delle cose, sono i paesi più poveri a pagarne lo scotto: se Israele ha già inoculato almeno una dose di vaccino al 50% della sua popolazione, è di qualche giorno fa la notizia dell’arrivo delle prime simboliche dosi da parte del WHO ai paesi africani. In uno stato di emergenza simile, che tende a polarizzare ulteriormente situazioni critiche preesistenti, raggiungere una propria indipendenza vaccinale con una linea di produzione nazionale potrebbe risultare una scelta strategica.
L’Italia in questo senso è tra le nazioni che stanno lavorando per dotarsi di un “vaccino di stato”: il vaccino italiano di Reithera in collaborazione con l’Istituto Spallanzani di Roma sembra muoversi in questa direzione. Non pochi dubbi e perplessità ha sollevato la sua produzione, dal momento che si basa sull’impiego di adenovirus, che potrebbero risultare invisibili al nostro sistema immunitario qualora si dovesse ricorrere a delle vaccinazioni annuali, di fatto rendendo l’intera linea vaccinale inutile nel giro di qualche anno.
Volendosi dotare di una linea vaccinale, perché non pensare di investire nella tecnologia a mRNA? Il professor Giorgio Gilestro, docente all’Imperial College London, molto sensibile ed attento alla questione vaccinale sui social, ha espresso perplessità sull’opportunità di sviluppare una linea vaccinale ad adenovirus, mettendo inoltre in guardia dalle insidie di un diffuso sovranismo vaccinale.
Dando un’occhiata alla lista stilata dal New York Times dei vaccini per Covid-19, quello del “vaccino di stato” non sembra essere un trend molto diffuso: la Corea del Sud, l’autarchica cugina del Nord, il Giappone, e i giganti asiatici non risultano una sorpresa nella lista del quotidiano americano. Con i suoi quattro vaccini, è il piccolo stato caraibico di Cuba a saltare all’occhio.
A tal riguardo, a dicembre, è salita agli onori della cronaca – con articoli su diversi giornali, da quelli più a quelli meno mainstream – la storia di un ricercatore italiano, il dott. Fabrizio Chiodo, che ha collaborato con la Universidad de la Habana ed è molto sensibile alla questione cubana. I toni da “Davide contro Golia” con cui è stata raccontata l’esperienza cubana calzano a pennello con la piccola isola caraibica, che dal canto suo non cerca di nascondere la sua attività propagandistica.
L’invio di medici caraibici in aiuto al sistema sanitario lombardo del febbraio scorso, il nome del prodotto di punta della produzione vaccinale – Soberana (Sovranità) – hanno un’accezione soprattutto politica e propagandistica e, in quanto tali, prestano il fianco ad attacchi politici che non si son fatti attendere e sono arrivati anche da figure che abbiamo imparato ad apprezzare negli ultimi mesi, per il lavoro di divulgazione fatto sul virus.
Abbiamo incontrato (a distanza!) la dott.ssa Acela Diaz, docente alla facoltà di Biologia della Universidad de la Habana, coinvolta nel sistema di tracciamento dei tamponi ad Havana, per cercare di fare un pò di chiarezza sulla questione, tentando di mettere da parte, per quanto possibile, la componente politica della narrazione su Soberana.
Prima di tutto, grazie per la sua disponibilità, è un piacere per noi intervistarla. La situazione cubana ha destato moltissima curiosità nell’opinione pubblica internazionale e in particolare in quella italiana. In qualità di testimone diretto, cosa può dirci della situazione attuale nel paese? Come si è evoluta dallo scoppio della pandemia ad oggi?
L’aspetto più problematico per Cuba, ad oggi, è quello economico. Cuba è un paese turistico e chiudendo tutte le strutture di questo tipo la crisi economica si è notevolmente aggravata. A differenza dei paesi europei, dove il turismo nazionale è stato in qualche modo incoraggiato, qui la maggior parte dei cubani non dispone di risorse finanziarie sufficienti per sostenere l’industria del turismo. Questo ha ripercussioni drammatiche sulla filiera alimentare. Anche il settore dell’abbigliamento soffre ma rappresenta decisamente un problema secondario.
Cuba è riuscita a mantenere degli ottimi numeri: pochissimi morti, pochi ospedalizzati e molte guarigioni. I dati aggiornati al 22 febbraio mostrano appena qualche centinaio di morti: come si spiegano simili numeri? In che modo la situazione politica e sociale cubana potrebbe aver influenzato i dati? Pensiamo a scelte amministrative, quali lockdown totale o parziale, distanziamento sociale e alle caratteristiche demografiche, quali la densità di popolazione o al fatto che l’età media della popolazione non supera i 40 anni.
Sicuramente le caratteristiche demografiche della popolazione hanno un peso non indifferente sugli effetti della pandemia a Cuba. Quello che però ha avuto un ruolo determinante nella lotta al virus è la diffusione capillare dei servizi di sanità pubblica a livello territoriale, e la popolazione, avendo libero accesso alle cure mediche, ne usufruisce liberamente.
In secondo luogo, sono state effettuate delle politiche di confinamento dei contatti sospettati di essere positivi, in centri di isolamento pubblici pensati per lo scopo, fino all’ottenimento dei risultati del test PCR (i tamponi). Inoltre, i trattamenti sanitari sono totalmente gratuiti, il che migliora sensibilmente i tassi di mortalità per la malattia.
Di recente il dibattito pubblico italiano si è spaccato sull’opportunità di produrre un vaccino di stato: non ci riferiamo esplicitamente a quello cubano quanto più al vaccino italiano di Reithera e dell’Istituto Spallanzani di Roma. Cosa ne pensa dell’opportunità di avere una linea di produzione nazionale indipendente di vaccino?
Non conosco la situazione italiana, ma posso parlare della situazione di Cuba: a mio avviso, per Cuba, il fatto di progettare i propri vaccini è legato alla peculiare realtà economica, data l’impossibilità per il governo di acquistare vaccini dal mondo sviluppato, dal momento che tutte le risorse sono state investite nella generazione di propri potenziali vaccini. D’altra parte, nel Paese esistevano in precedenza linee di ricerca che potevano essere facilmente collegate allo sviluppo di vaccini per SARS-Cov 2.
A tal proposito, di fatto la presenza di Cuba tra le nazioni produttrici di una propria linea di vaccino non dovrebbe stupire, dal momento che storicamente l’isola rappresenta un’eccellenza in ambito biotecnologico. Può dirci di più riguardo le linee di ricerca da lei citate?
Sì, in effetti, per progettare i potenziali vaccini Soberana 1 e 2 è stata utilizzata una piattaforma di produzione di vaccini già esistente nel paese, condivisa con il vaccino meningococcico, che è una linea di ricerca nata negli anni 80, e il vaccino contro l’epatite B.
Il nome Soberana (Sovranità) suona quanto meno propagandistico. Tra l’altro, la produzione del vaccino è in collaborazione con università e scienziati iraniani. Alla luce di ciò, cosa ne pensa della scelta del nome?
Il nome Soberana ha una sfumatura politica innegabile ed è dato dalla politicizzazione che esiste a Cuba di tutti gli aspetti della collettività, compresa la scienza. In realtà, la collaborazione con l’Iran non si è avuta per la formulazione dei vaccini ma nella fase 3 di sperimentazione, poiché è necessario testare il potenziale vaccino su popolazioni che presentano pool genetici diversi per valutarne la reale efficacia: è ciò che verrà effettuato in Iran.
Il tracker del New York Times che tiene traccia degli avanzamenti nello sviluppo dei vari vaccini a livello globale indica due diverse versioni di Soberana: secondo lei, quale potrebbe essere più efficace e perché? Quale è il vettore impiegato?
In realtà ci sono quattro vaccini in fase di test: ci sono infatti altri due potenziali vaccini che sono in fase 1 basati su Pichia Pastori (un lievito). Tra l’altro, uno di questi candidati è per applicazione intranasale. La principale differenza tra i due principali vaccini (i due Soberana) è data dal tipo di adiuvante utilizzato e dal programma di immunizzazione che seguono. Apparentemente, e questa è solo una mia considerazione, la prima versione del vaccino non sembra aver innescato un’adeguata risposta immunitaria da permettere l’impiego per la vaccinazione di massa.
Entrambi i vaccini sono formulati per riconoscere il peptide di fusione presente nella proteina S del capside virale e sono espressi nelle cellule CHO (Chinese hamster ovary, una particolare coltura cellulare impiegata per la produzione di proteine).
Ultima domanda: secondo lei, l’embargo può avere influito sull’attuale situazione sanitaria?
L’embargo ha sicuramente un peso non indifferente sulla vita a Cuba, anche se di fatto non lo considero la causa principale di molte delle difficoltà affrontate oggi: anzi, potrebbe aver rappresentato una spinta non indifferente per quanto riguarda gli investimenti governativi nel campo biotech.
Pingback: Indipendenza vaccinale: asset strategico o propaganda? – Redvince's Weblog