Navalny porta la Russia in piazza
Un bilancio sulla politica russa all’indomani delle manifestazioni di sabato indette dal noto blogger Alexei Navalny.
Sabato di proteste in Russia, con chiamate a raccolta in più di 110 città. Discordanti le stime del numero di manifestanti, 40.000 solo a Mosca secondo l’agenzia Reuters, 4.000 secondo le autorità locali. Documentati, invece, i fermi: 3618 alla sera di Domenica secondo Open Democracy. Gli arrestati sono accusati di violazioni al codice amministrativo, consistenti in (ciò che corrisponderebbe in Italia a) “manifestazione non autorizzata” e “interruzione di pubblico servizio”. Rischiano multe fino a 300 mila Rubli e detenzione da 15 a 30 giorni.
Le manifestazioni di sabato sono state indette martedì dal noto blogger Alexei Navalny, tramite un video pubblicato dalla fondazione anti-corruzione di cui è fondatore, la FBK. All’inizio del video si fa riferimento all’arresto di Navalny al momento del suo ritorno in patria dopo la degenza in Germania a causa dell’avvelenamento da novichok e si invita la gente a scendere in piazza alle 14 di sabato. A seguire, la breve argomentazione dello stesso Navalny, che spiega di essere tornato “a Mosca, a casa” per dimostrare al Cremlino di non aver paura – così come invita la gente a non averne, andando a manifestare.
Il video, oltre all’ormai famoso “Palazzo Putin” – un’incredibilmente sfarzosa residenza sul Mar Nero – illustra brevemente il modo in cui la rete di corruzione denunciata dalla FBK si sarebbe costituita a partire dagli anni ‘90. La pubblicazione, secondo quanto spiega Navalny, è stata preparata nel corso della sua permanenza in Germania, e vuol essere non solo un’inchiesta giornalistica ma anche un “ritratto psicologico” che cerchi di spiegare come un “ordinario ufficiale sovietico” si sia trasformato in un matto “ossessionato dal denaro” e pronto a “distruggere il proprio Paese” per ottenerlo.
Segue una ricostruzione del cursus honorum di Putin, dai tempi della rezidentura di Dresda, al periodo petroburghese, ai Panama Papers, dove viene fuori la firma dell’immancabile accolito italiano, tale architetto Lanfranco Cirillo – il cui nome viene amabilmente pronunciato – che sarebbe il moderno Rinaldi dietro al “Palazzo Putin”, intestato al prestanome Ponomarenko.

Insomma, una classica inchiesta alla Navalny, puntuale, di agile comprensione, scandalizzante e social. Secondo il Cremlino, pura fuffa. Con Peskov che definisce il tutto un collage per fare visualizzazioni, Maria Zakharova che accusa gli americani e una TV russa che insinua che Navalny sia un agente dei tedeschi. Dall’altra parte gli USA, che accusano la polizia di aver agito brutalmente e alcuni parlamentari europei che chiedono l’halt al Nord Stream 2.
Se si riflette sulla vicenda, ci sono un paio di osservazioni da fare. Prima di tutto, la situazione politica in Russia. Da un lato, l’idea che queste piazze siano una novità senza precedenti è falso: la Russia ha ciclicamente protestato in questi anni. L’estremo Oriente è in subbuglio dall’inizio dell’anno; coloro che si sono mobilitati in questa ondata non sono solo teenager – come si ritiene il “popolo di Navalny” sia. Non sono novità.
E qui si viene al nodo cruciale: l’agenda dei manifestanti, e del loro presunto leader. Navalny non è che un catalizzatore, coraggioso, simbolico, ma non ha un’agenda politica. Il suo ruolo è stato quello di esporre la corruzione, il sistema che attanaglia la Russia, ma non è un leader politico dotato di seguito come tale. Naturalmente, in futuro, potrebbe diventarlo; è vero che alle scorse elezioni alcuni suoi sostenitori hanno fatto il loro ingresso nella politica regionale, e a settembre ci saranno nuove elezioni.
Certo, Navalny ha ottenuto una rinnovata visibilità e prestigio, con la grave questione del novichok, con l’ennesimo arresto e con la capacità di fare proseliti che ha dimostrato. Se questo sarà sufficiente a fare di lui una figura politica istituzionale, però, è da vedere. Ma ritenere che queste manifestazioni siano un unicum è prendere una grossa cantonata: per fare un esempio, due ondate fa, si trattò di un altro video di Navalny, quella volta sull’allora premier Medvedev, nel quale, analogamente, venivano denunciate corruzione e magagne. Seguirono delle proteste, e poi tutto si calmò.
Poi, le proteste per l’innalzamento dell’età pensionabile – la pensione, tema fondamentale e ricorrente della politica russa, centrale anche nella campagna elettorale precedente al “referendum” dello scorso anno. Adesso, però, quella che è stata ventilata dagli organizzatori è l’idea di una reiterazione delle manifestazioni a oltranza, che non è certo che trovino riscontro di partecipazione nelle prossime settimane.
Questo ci porta al paragone con lo scenario bielorusso: di fronte alle ripetute manifestazioni (molto più nutrite in Bielorussia che in Russia), di fronte alla repressione violentissima che hanno incontrato, cosa ne è stato del volere popolare di cacciare Lukashenko? La situazione è rimasta sostanzialmente invariata. E delle voci indignate da parte di Europa e Stati Uniti non rimane che un’eco impotente. E si trattava “solo” di Lukashenka.
Al netto di quello che ci si aspetta sarà un nuovo e più equilibrato approccio alla Russia da parte del Presidente Biden – cominciando con il recupero del trattato New START – l’Europa con la sua dipendenza energetica dalla Russia e il possesso di Mosca della pietra filosofale Sputnik V – quando le infallibili multinazionali hanno lasciato a secco l’intero continente – sarà in grado di farsi da garante dei diritti dei manifestanti russi?
Allo stato attuale, in assenza di una precisa agenda, è difficile considerare Navalny un’alternativa a Putin. Se per i russi la misura sia da considerarsi colma, e se ciò li dovesse portare ad anelare cambiamento concreto, rispetto alla tradizionale “stabilità”, è ancora tutto da vedere.
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