Covid-19, cos’è davvero andato bene? Un bilancio di fine anno

È un fatto come il linguaggio abbia giocato e stia giocando il ruolo più importante in questa pandemia. Con la conclusione di questo 2020 è necessario riflettere su come in Italia sia stata gestita l’emergenza causata dal Covid-19, dal punto di vista della comunicazione politica e istituzionale.


La fine del 2020 è ormai alle porte e non possiamo esimerci da una riflessione su come in Italia sia stata gestita, dal punto di vista della comunicazione politica e istituzionale, l’emergenza causata dal Covid-19: siamo andati avanti a forza di paura, speranza, bollettini giornalieri sulla situazione nazionale e DPCM, ma anche cattiva informazione e panzane pazzesche.

Eppure, di recente, con un articolo online, il Financial Times ha promosso l’Italia a pieni voti per la gestione della pandemia e per la sua capacità di resilienza, elogiando in particolare sia la gestione del governo Conte sia il comportamento disciplinato degli italiani. Siamo davvero un Paese modello da cui prendere esempio? Cosa è realmente andato bene? Procediamo per gradi.

È ormai passato quasi un anno da quando, lo scorso 30 gennaio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato l’emergenza internazionale per il nuovo Coronavirus. Fino a quel momento, l’opinione pubblica aveva percepito il pericolo come un fattore del tutto estraneo alla Nazione, se non addirittura all’Europa intera. 

In realtà, proprio da quel momento in poi, nessuna nazione al mondo poteva ritenersi assolutamente esente e del tutto al sicuro in relazione a questo nuovo agente infettivo che aveva già dato gran filo da torcere a Wuhan e alla provincia cinese dell’Hubei.

Anche l‘Italia doveva dunque prepararsi al peggio e trovare le forze per affrontare un virus tanto ignoto quanto pericoloso per la salute dei cittadini e per l’economia. Ogni Stato avrebbe dovuto dotarsi di un piano strategico per la gestione del rischio e, a ben guardarsi intorno, il governo italiano si è prontamente attivato.

Subito dopo l’allerta dell’OMS, l’Italia ha dichiarato lo stato di emergenza sospendendo i voli diretti con la Cina: a testa alta, siamo stati la prima democrazia liberale a introdurre, in uno scenario di totale incertezza, restrizioni alle attività produttive e alle libertà personali.

È nel mese di febbraio che in Italia si è commesso uno tra i più gravi errori da non fare ai tempi di una comunicazione di emergenza, volta alla gestione di una crisi strutturale senza precedenti: in molti hanno sfruttato il potere dei mass media per sminuire il rischio e offrire false rassicurazioni.

“È una semplice e banale influenza” – ci dicevano, insistendo sul fatto che venissero colpiti i più deboli come gli anziani, gli immunodepressi e le persone con handicap. Questo eccesso di rassicurazioni ha portato gran parte della società a ignorare il pericolo di contagio. 

La mancanza di specifici protocolli si è avvertita anche nella risposta dei sistemi sanitari al livello territoriale: i medici di base non sono stati formati e non hanno ricevuto protezioni adeguate e spesso non si è riusciti ad arginare il problema della mancanza di posti letto e della carenza di sanitari.

Da quel momento in poi, anche la comunicazione istituzionale e governativa si è mossa sempre cercando di inseguire gli eventi ed è spesso arrivata con notevole ritardo. In realtà, soprattutto in situazioni di emergenza, il ruolo della comunicazione politico-istituzionale è di cruciale importanza.

Quella del premier Giuseppe Conte è un tipo di comunicazione che risulta essere calda, confortante e solidale: termini come “emergenza” e “insieme” sono stati ampiamente utilizzati sui social. Da un recente sondaggio Ipsos è emerso come ad un calo del gradimento per il governo abbia fatto da contraccolpo la crescita di popolarità del premier.

In particolare, mentre l’indice di gradimento del governo è arretrato di 3 punti rispetto alla fine di novembre, l’apprezzamento del premier ha fatto registrare un aumento di 2 punti, invertendo il trend negativo iniziato a ottobre.

È indubbio che l’opinione pubblica attribuisca maggiormente all’esecutivo che al premier la responsabilità delle diverse misure adottate negli ultimi due mesi per contenere il rischio di contagi.

Si tratta di misure che sono state giudicate da molti cittadini ondivaghe, troppo o troppo poco restrittive e stanno suscitando reazioni di disorientamento e insoddisfazione. Modificare questo trend è possibile soltanto ripristinando quel rapporto fiduciario con la pubblica opinione che aveva funzionato fino alla primavera scorsa.


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Eloisa Zerilli

Direttore responsabile. Determinata e temeraria fin da piccola, oggi penso di avere i piedi per terra ma, in fondo, non smetto mai di sognare e credere nei progetti concreti e ambiziosi.