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I Bicentennials: i giovani peruviani lottano per la libertà

Il 2020 sarà anche ricordato per essere un anno di incredibile attivismo: il Perù dei giovani è sceso in piazza animato da un forte bisogno di giustizia.


Il 2020 verrà sicuramente ricordato per la pandemia, ma anche per le innumerevoli proteste per i diritti umani e civili che lo hanno segnato. Una delle proteste più significative è quella che ha portato per le strade i giovani in Perù, i cosiddetti Bicentennials. Nel 1992, l’allora presidente Alberto Fujimori instaurò un governo autoritario che contribuì a lanciare gli anni del terrorismo.

Il Perù conta già una storia travagliata, soprattutto negli ultimi 30 anni. Nel 2016 fu eletto Kuczynski, che per uno scandalo di corruzione, dovette dimettersi; al suo posto subentrò Martin Vizcarra al governo fino a circa un mese fa.

Il Perù è una repubblica presidenziale, con il potere esecutivo affidato al presidente della repubblica e quello legislativo al Congresso Nazionale. Difficile governare però se il presidente appartiene a una corrente opposta alla maggioranza. Questo è quanto successo a Vizcarra, il quale, a inizio novembre, si è dovuto dimettere per le pressioni del governo. A lui succede Manuel Merino, che però viene sostituito, sempre per proteste, da un terzo presidente, Francisco Sagasti.

Attraverso i social media, la notizia delle proteste giovanili e della crisi attuale nel Paese ha fatto il giro del mondo, nonostante pochi giornali e media internazionali se ne siano occupati. 

Per questa ragione, abbiamo deciso di intervistare Gabriela Merino, presidente dell’associazione AIESEC in Perù, che gestisce circa 700 giovani membri e che ha partecipato alle ultime marce di protesta a Lima. 

Gabriela Merino, presidente di AIESEC in Perù

Sappiamo che le proteste sono scoppiate dopo che il presidente Vizcarra si è dimesso, ma quali sono state le vere ragioni per cui i giovani sono scesi in piazza?

«Kuczynski era stato eletto quattro anni fa, ma dopo due anni fu sostituito da Vizcarra. Quest’ultimo provò a portare dei reali cambiamenti, ma non aveva la maggioranza in parlamento. Inoltre, quando salì al potere Merino provò anche a sciogliere “Sunedu”, l’organismo che regola le Università in Perù. Molti politici nemmeno hanno studiato e hanno pagato per essere eletti. Pensano solo ai loro interessi. Si tratta di tutto il sistema, non Vizcarra, non il presidente, tutto. Questo è stato il motivo per cui abbiamo iniziato a protestare.»

Tu sei stata parte attiva di queste proteste, partecipando alle marce e informando i giovani. Com’era la situazione e com’è stato vivere queste marce in prima persona?

«Noi siamo i figli di quelle persone che hanno combattuto 20 anni fa. È come un ciclo. Venti anni fa successe allo stesso modo: colpo di stato, nuovo congresso e governo di transizione. Davvero la stessa cosa e proprio nelle stesse date. Adesso noi però possiamo usare la nostra voce per farci sentire. La tv non stava parlando di niente e ciò causava la nostra frustrazione. Tutto è stato fatto in modo pacifico. Il primo giorno ci riunimmo solo tramite i social, a causa della pandemia. Ma poi capimmo che dovevamo riversarci sulle strade, diffondere il messaggio. È stato un segnale importante per far sentire la nostra voce.»

Gli scontri con la polizia sono un problema dilagante in Perù. Nel 2014, è stata approvata una legge che garantisce l’immunità legale alla polizia. Cos’è successo realmente durante quelle marce con le forze della polizia?

«Bryan Pintado, 22 anni, e Intelo Sotedo, 24, sono stati uccisi dalla polizia. Erano discendenti degli indigeni dell’Amazzonia, provenienti dalla giungla. Non è un caso, c’è molto razzismo in Perù. Lima è una città composta dal 22 per cento di indigeni di altre città. I ragazzi che sono morti ora rappresentano il simbolo della rivoluzione. Non ci sarà più la stessa percezione della polizia. Non capisco che ruolo di protezione svolga la polizia. La gente stava protestando pacificamente. Ero lì, sono stata testimone di quegli abusi. Ma poi una volta tornata a casa la televisione non stava mostrando la violenza dei poliziotti. Un giorno, durante le marce, stavamo cantando e ballando e di colpo alcuni elicotteri hanno invaso il cielo e hanno iniziato a lanciare bombe lacrimogene su di noi. Ma la tv non ha mostrato nulla e nemmeno il governo ne ha parlato. Hanno solo dato l’ordine all’esercito e alla polizia di andare nelle strade a controllare la gente.»

Si è anche parlato di molti casi di desaparecidos, ma le notizie a riguardo sono scarse. Com’è la situazione adesso?

«Nella polizia c’è un dipartimento denominato TERA, in cui i poliziotti si infiltrano fra civili per provocare sommosse e fare sparire dei ragazzi. Molti sono scomparsi, tre giorni fa, due di questi ragazzi sono tornati in libertà. I poliziotti hanno usato molta violenza contro di loro. La televisione non fa i nomi di chi è scomparso, ma noi sui social stiamo dando notizie più precise. Un altro ragazzo ha raccontato che ha dovuto camminare due giorni per tornare a casa. I desaparecidos adesso sono 41, più di 100 persone sono rimaste ferite. Perfino un bambino è stato ucciso perché la polizia ha lanciato una bomba sulla folla. È semplice sostituire un presidente con un altro, ma complicato processare chi compie certi abusi. Si dice che stiano indagando, ma staremo a vedere.»

Cartello usato durante le proteste

Il 40 per cento della popolazione che ha diritto di voto è composta da giovani dai 20 ai 34 anni. Questo movimento di giovani si definisce “bicentennials”, poiché nel 2021 si celebrerà il 200esimo anniversario dell’indipendenza del Perù. Quali sono le riforme che chiedete?

«Chiediamo tanto. Prima di tutto in termini di istruzione. Inoltre, per quanto riguarda la politica, il sistema dovrebbe essere riformato. Anche l’immunità parlamentare deve cambiare. Inoltre, vi è ancora il concetto di machismo e tanti casi di violenza sulle donne. Ma è più semplice che un comune cittadino diventi presidente, piuttosto che un ragazzo venga processato per abusi sessuali. Vogliamo riforme sanitarie, non tutti hanno un’assicurazione sanitaria. Vi sono anche pochissime opportunità di lavoro e il lavoro è sempre precario.»

Che cosa ti rende fiera di essere una giovane peruviana?

«Mi rende fiera sapere di vivere in un momento in cui possiamo far sentire le nostre idee. Abbiamo voci, opinioni, social media e possiamo dire la nostra. Mi rende fiera anche far parte di AIESEC, la voce di 700 peruviani. Mi rende umile e fiera perché so che faccio parte di una generazione che può cambiare tutto. Come ha detto qualcuno, bisogna disattivare le bombe, non costruirle.»


Foto in copertina di Johnattan Rupire

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