Due voci, un cuore. Sean Connery e Gigi Proietti, due draghi estinti

 

Nel giro di pochi giorni il mondo dello spettacolo è stato colpito da due lutti: sabato scorso la morte di Sean Connery, e appena due giorni dopo quella dell’attore italiano Gigi Proietti.


A volte le coincidenze della vita sono strane. D’altra parte, se così non fosse, non avrebbero questo nome: è singolare come delle persone così diverse e distanti tra loro possano legarsi indissolubilmente per via di eventi che li coinvolgono in lassi di tempo così brevi. È curioso e inspiegabile, ma affascinante al tempo stesso.

Tutti (o quasi) conoscono il film “Dragonheart” del 1996, storia fantasy di draghi e cavalieri, ma pochi si saranno soffermati sulla voce del drago protagonista della pellicola, accanto a Dennis Quaid. Ecco, quel drago che nel film prende il nome di Draco, nella versione originale aveva la voce di Sean Connery, mentre in quella italiana fu Gigi Proietti a doppiarlo. E qui quell’amara coincidenza: nel giro di pochi giorni, infatti, Draco ha perso la sua voce, anzi le sue voci, sia quella di Sean, sia quella di Gigi.

Sabato scorso si è spento nel sonno all’età di novant’anni l’attore scozzese, affetto da demenza senile ormai da anni; appena 48 ore dopo, lunedì 2 novembre, ci ha lasciati Gigi Proietti, per un attacco cardiaco, proprio nel giorno in cui avrebbe compiuto ottant’anni. Impossibile mettere a confronto queste due personalità, che hanno, ciascuna a loro modo, segnato indelebilmente il pubblico (internazionale e non) che li ha tanto apprezzati, per i motivi più disparati.

Sean Connery è stato un vero e proprio mostro sacro del cinema: arrivato al successo nei primi anni sessanta interpretando l’agente segreto “James Bond” (portato sugli schermi da lui per la prima volta), l’attore scozzese ricoprirà negli anni ruoli che lo renderanno una leggenda. L’intelligente e arguto monaco Guglielmo da Baskerville ne Il nome della rosa, tratto dal capolavoro di Umberto Eco, il papà di Indiana Jones ne Indiana Jones e l’ultima crociata, Re Artù ne Il primo cavaliere, sono soltanto alcune delle interpretazioni che lo hanno consacrato come uno degli attori più brillanti del panorama hollywoodiano. Anche il geniale Alfred Hitchcock noterà il suo talento già dai primi anni di attività e lo vorrà nel 1964 in una delle sue pellicole, Marnie, accanto a Tippi Hedren.

Attore dal fascino senza tempo, Connery si è distinto non solo per la sua bellezza ma anche per la sua estrema bravura, che lo porterà a vincere l’Oscar come miglior attore non protagonista nel 1988 per Gli intoccabili, tre Golden Globe (di cui uno sempre per Gli intoccabili) e due premi BAFTA (uno per Il nome della rosa).

Il ritiro dalle scene nei primi anni Duemila non gli ha impedito di affermare l’orgoglio per le sue origini scozzesi: Connery è stato, infatti, un fervido sostenitore dell’indipendenza della Scozia durante il referendum del 2014 (celebri anche le sue uscite pubbliche in kilt).

E l’amore per la propria terra d’origine lega l’attore hollywoodiano al secondo personaggio di cui parleremo, un personaggio che il pubblico italiano sente senza dubbio più vicino, più “familiare”, che ci ha lasciato appena due giorni dopo: Gigi Proietti. Il pubblico inizia ad amarlo nel 1976 con l’interpretazione di Mandrake nel film cult Febbre da cavallo, anche se la popolarità arriverà all’apice circa venti anni dopo con la serie Il maresciallo Rocca; tanta televisione, tanti i programmi da lui condotti, da ultimo Cavalli di battaglia su Rai Uno nel 2017, che gli hanno permesso di entrare nelle case degli italiani con originalità e uno stile inconfondibile. 

Ma il vero amore di Gigi resterà sempre il teatro, dove si dedicherà prevalentemente alla regia: già nel 1978 assume la direzione del Teatro Brancaccio di Roma, creando un suo laboratorio di esercitazioni sceniche in cui si formeranno artisti quali Enrico Brignano, Flavio Insinna e Giorgio Tirabassi, giusto per citarne alcuni. 

Il 2003 è un anno chiave per la sua attività: nasce da una sua idea il Silvano Toti Globe Theatre, teatro di Roma ideologicamente ispirato al Globe Theatre londinese, quello dove vennero recitate le opere di William Shakespeare nel periodo elisabettiano.

Altra parte importante della sua carriera fu il doppiaggio: proprio quel timbro così caldo e profondo lo ha reso inconfondibile all’orecchio del suo pubblico. Oltre a dare la voce ad attori del calibro di Sylvester Stallone (nel primo Rocky), Robert De Niro, Anthony Hopkins, Ian McKellen (in Lo hobbit), nonché alla serie di documentari di Ulisse – Il piacere della scoperta nel 2018, il suo doppiaggio più famoso resterà senza dubbio quello del Genio nel film d’animazione Aladdin della Disney. Del resto, come potrebbe immaginarsi una voce migliore per questo personaggio (doppiato nell’originale da Robin Williams, scomparso nel 2014) così divertente, ironico, originale: tutti aggettivi che hanno rappresentato l’intera carriera di Gigi.

Artista eclettico, istrionico, espressivo e comunicativo, lascia un vuoto incolmabile nel panorama dello spettacolo italiano, che di certo non era pronto a una tale perdita, in un anno già così difficile e pesante. Proprio ieri i funerali nella sua amata Roma, un corteo ordinato che lo ha seguito dalla clinica Villa Margherita dove si è spento, passando per il Campidoglio, il suo Globe Theatre (che prenderà il suo nome), fino alla Chiesa degli artisti a Piazza del Popolo. Diversi gli artisti e allievi che hanno voluto omaggiarlo con dei messaggi commoventi e toccanti, tra cui Edoardo Leo, Paola Cortellesi, Enrico Brignano, Marisa Laurito.

Ironia della sorte: Gigi, che ha vissuto per il palcoscenico e vi ha dedicato la sua vita intera, se n’è andato in un momento in cui proprio i suoi amati teatri sono chiusi, quei teatri che lui riusciva a riempire di risate e applausi. Questa volta, però, il pubblico piange.


 

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