Il calcio italiano in default da Coronavirus

Il calcio è fra i settori che rischia di andare in default se non si trova una soluzione in tempi relativamente brevi.


Il calcio italiano rimane nel tunnel della crisi dopo le illusioni di tornare a popolare gli stadi che si sono manifestate nel periodo tra settembre e novembre. A dimostrazione di ciò, il termine del 16 novembre 2020 per il pagamento degli emolumenti dovuti ai tesserati, ai lavoratori dipendenti e ai collaboratori addetti al settore sportivo delle società professionistiche, è stato prorogato al 1° dicembre 2020. Questa proposta, fatta dal presidente della Federcalcio Gabriele Gravina al Consiglio, è stata approvata a maggioranza, con il voto contrario dei rappresentanti degli atleti e degli allenatori. La decisione di allungare i tempi per il pagamento degli stipendi sottolinea come ci sia un’evidente mancanza di liquidità, che deriva dalle misure restrittive causate dalla pandemia che non hanno lasciato indenne il mondo del calcio. Ormai, infatti, la mancanza di liquidità è arrivata a livelli tossici, come una montagna da scalare senza però avere i mezzi per farlo, e la serie A denuncia una perdita, dal lockdown in poi, di circa 600 milioni di euro. 

Il presidente della Lega di Serie A, Paolo Dal Pino, ha lanciato l’allarme: «Siamo vicini al collasso, temo che l’economia del Paese pagherà a caro prezzo le misure restrittive poste in essere». Anche l’amministratore delegato dell’Inter, Giuseppe Marotta, si è espresso con termini molto preoccupanti: «Il calcio rischia il default, abbiamo bisogno di aiuto». Parole che destano molta preoccupazione, visto che entro il 1° dicembre andranno saldati circa 300 milioni di stipendi, che in serie A hanno sfondato la cifra astronomica di 1,3 miliardi l’anno. Si passa dai 31 milioni di Cristiano Ronaldo ai  40 mila euro di Martin Palumbo, diciottenne centrocampista napoletano-norvegese dell’Udinese.

La maggiore perdita economica (circa 360 milioni) è legata agli stadi chiusi e, poiché la recrudescenza del virus allontana di mesi la sola prospettiva di una riapertura, si può facilmente ipotizzare che la perdita sarà ancora più significativa. Infatti, non è solo un problema di ricavi in generale: mancando il botteghino (circa il 65% degli incassi), manca anche quel flusso di denaro che garantisce il pagamento degli stipendi con regolarità e l’assolvimento di tutte le incombenze fiscali e previdenziali. Inoltre, non bisogna dimenticare i diritti tv, anche se scontano i problemi dei broadcaster, le mancate partnership (stimate in 260 milioni di euro), e i mancati incassi da sponsorizzazione (circa il 35%) che completano il quadro. 

Da marzo, sono di fatto crollate le voci che, in questa fase, in particolare durante il periodo estivo, consentono normalmente di avere riserve di cassa a cui attingere per i pagamenti, ossia gli abbonamenti allo stadio, i biglietti delle partite, e anche una rata dei diritti tv, visto che Sky non ha mai versato l’ultima della stagione scorsa. In una circostanza come questa, quindi, non deve sorprendere che il calcio si muova come la cultura, il turismo e la ristorazione. Non bisogna dimenticare, infatti, che il pallone è prima di tutto un’industria anch’essa duramente colpita dalla pandemia e che, a fronte di una prospettiva ancora non chiara, sta facendo i conti con una crisi di liquidità impossibile da sostenere se non facendo ricorso a interventi e ad aiuti mirati dello Stato. 

Per questo, una delle soluzioni proposte – e che si sta già mettendo in pratica – è proprio quella della linea Dal Pino, cioè l’ingresso dei fondi d’investimento e l’offerta di Cvc, Advent e Fsi, per rilevare una quota dei diritti tv della Newco (acquistandone di fatto il 10%, pari a 1,6 miliardi) e realizzare, così, una media company con la Serie A. A votare a favore sono stati 15 presidenti, mentre altri cinque (Lazio, Udinese, Atalanta, Verona e Napoli) si sono astenuti. La soluzione, che per molti club rappresenterebbe la salvezza, è quella di “regalarsi” un anticipo sotto forma di paracadute preventivo per la retrocessione: l’anomalia è che dovrebbero chiederlo tutte e 20 le società, dallo Spezia alla Juventus. In più, l’idea è di spalmare il resto della cifra come dividendi per i prossimi nove anni, in modo da distribuirli anche alle varie società che dalla Serie B saliranno in Serie A. 

Una questione, però, rimane irrisolta e cioè quella dei Dilettanti che, dopo la chiusura di tutti i campionati dilettantistici, esclusa la Serie D, hanno accusato (senza nominarla) la Federcalcio di pensare solo al calcio di vertice. Il numero uno della Federcalcio Gabriele Gravina ha però risposto, dicendo che: «Da quando questo maledetto virus ha iniziato a condizionare le nostre vite, nonostante sia spesso mancato il supporto di altri protagonisti, ho manifestato particolare attenzione per il mondo dilettantistico. I contributi diretti arrivati alle società della LND sono stati stanziati proprio dalla Figc durante il lockdown in primavera e, anche grazie al nostro lavoro con le istituzioni, la dimensione del calcio di base è in cima alle attenzioni del Ministero per lo Sport e dell’intero Esecutivo. Ma senza le adeguate tutele e gli immediati provvedimenti per il calcio di vertice, è tutto il calcio a non avere futuro». 

Bisogna, in conclusione, fare una precisazione. Il mondo del calcio è stato colpito non solo in Italia ma anche in altre zone d’Europa, come la Spagna, in cui la Liga ha mandato un messaggio ai club di prima e seconda divisione. In particolare, è stato chiesto di ridurre di quasi 500 milioni complessivamente gli stipendi dei giocatori e di tutti gli altri dipendenti, nell’ambito del sistema di salary cap, in voga da diversi anni. A essere colpiti dai nuovi tetti, soprattutto il Barcellona (-50% circa) e il Real (-30%). Una minore spesa a cui i club dovranno adattarsi rapidamente, perché è riferita alla stagione appena cominciata e – come ha detto il capo della Liga, Javier Tebas – ha lo scopo di salvare il calcio spagnolo dagli effetti della pandemia sulle casse dei club. La pandemia, – lo abbiamo ormai intuito – non conosce differenze di settore economico, di Stati e di persone, e può essere combattuta solo facendo sforzi comuni e condivisi, per reggere l’impatto dei suoi effetti, in attesa di ripartire e ritornare ad esultare per un gol abbracciandosi fra tifosi.