Mille nomi, mille storie: le strade di Palermo

 

I nomi di molte strade di Palermo, anche quelle con un’assegnazione “ufficiale” alternativa, continuano a portare con sé la propria storia e la propria tradizione.


«I nomi delle strade sono come titoli dei capitoli della storia di una città e vanno rispettati e salvaguardati alla stessa stregua dei monumenti storici» scriveva lo storico tedesco Ferdinand Gregorovius. Ed è esattamente così per le “vite” precedenti delle strade nel centro storico (e non solo) di Palermo, arrivate a noi con ancora addosso le proprie vicissitudini e i propri personaggi tipici. Cosa nasconde l’unica e curiosa toponomastica palermitana?

A Palermo, la vera e propria regolamentazione della nomenclatura delle strade è documentata da una ordinanza del 1802 che descrive l’utilità dei nuovi cartelli – oggi una banalità per tutti noi, seppur con qualche fastidiosa eccezione – indicanti la via: «Questi cartelli, in cui con lettere della grossezza di quattr’once di palmo napoletano il nome della strada, vico o piazza è indicato, saran messi non solo nel principio e nel fine della strada, piazza o vico, servendo come di confine, ma ben anche sull’orlo di ogni strada, che ci vada a finire, onde ogni uomo, che vi giunga da qualunque parte, sappia, alzando gli occhi, non solo la strada da cui esce ma ben anche quella ov’entra».

Anche dopo l’assegnazione di precise denominazioni delle vie, i palermitani, ribelli a un progresso che non li ha resi partecipi, hanno continuato a chiamare alcune zone come si era sempre fatto. E continuano a farlo. Basti pensare agli innumerevoli nomi “popolari” che sono stati dati in sostituzione di quelli ufficiali. La Statua è piazza Vittorio Veneto, via Roma nuova è via Marchese di Villabianca, piazza Croci semplifica la “complessità” di due piazze, rispettivamente piazza Francesco Crispi e piazza Mordini.

I teatri diventano i protagonisti e i riferimenti per eccellenza, come un tempo, per identificare la posizione di una zona della città. E così piazza Politeama è, anche in questo caso, una coppia di piazze, Ruggero Settimo e Castelnuovo; piazza Massimo, dove campeggia il Teatro Massimo, è invece piazza Giuseppe Verdi (restiamo quantomeno nel mondo dell’arte e dell’opera).

Le definizioni più affascinanti sono quelle legate ai Quattro Canti. Per tradizione per “Quattro Canti” (in riferimento ai quattro angoli) si intende l’incrocio fra via Maqueda e via Vittorio Emanuele, ma in realtà anche l’incrocio fra via Ruggero Settimo e via Mariano Stabile si chiama “Quattro Canti”. Come risolvere questa assurda omonimia toponomastica? Il primo, quello più “storico” si chiama Quattro Canti di città e l’altro, quello fuori dalle antiche mura, Quattro Canti di campagna. Eppure, in tutto questo trambusto di nomi e denominazioni curiose, le piazze hanno due nomi ufficiali: piazza Vigliena (o Villena) la prima; piazza Marchese di Regalmici, la seconda.

Strade e vicoli del centro di Palermo portano con sé lo “spirito” – se vogliamo – dei mestieri degli artigiani che fra quelle case avevano le proprie botteghe. Gli antichi esercenti operanti in mestieri, nella maggior parte dei casi, perduti o dimenticati, hanno caratterizzato quei luoghi a tal punto da contraddistinguere per sempre gli spazi. In loro onore sono dedicati moltissimi nomi di strade conosciutissime a Palermo, strade in cui ci siamo imbattuti, magari chiedendoci il perché di un nome così assurdo o lontano dal presente.

Questi luoghi carichi di storia si trovano soprattutto nei quartieri della Loggia, del Capo, della Fieravecchia, della Kalsa e dell’Albergheria e testimoniano, a distanza di secoli, la presenza di un’attiva e fiorente imprenditoria artigiana. Per lo stesso motivo per cui i palermitani chiamano molti luoghi con nomi tradizionali piuttosto che ufficiali, vi sono molte strade che, ad oggi, hanno un nome differente e che dipende totalmente dall’uso della popolazione autoctona. Non è altro che il passaggio continuo e perpetrato da generazioni dei retaggi culturali e delle storie legate ai luoghi.

Tantissimi sono gli esempi che rendono perfettamente l’idea di un centro produttivo nel cuore della Palermo storica, attraversata, nel corso dei secoli, da commercianti da tutta l’Italia ma soprattutto “divisa” fra mestieri e antiche arti.

La strada degli “Acquavitari”, nei pressi di via Sant’Agostino, vedeva la presenza di venditori di acquavite, ghiaccio e anice, un’attività tanto importante da avere anche una piccola Chiesa, la “Madonna delle Grazie”. Non era insolito che le comunità di commercianti o importanti famiglie stabilite a Palermo facessero costruire chiese alla ricerca del favore del Signore (si pensi a San Giorgio dei Genovesi, San Ranieri e Santi Quaranta Martiri Pisani, San Giovanni dei Napoletani, San Carlo Borromeo dei Milanesi, e molte altre che non indicano precisamente il nome della comunità benefattrice).

Le strade degli “Argentieri”, “Orafi” e “Ambrai”, si dividevano in quella che, una volta, erano note come via dell’Argenteria vecchia, via dell’Argenteria nuova e via dell’Ambra. La strada dei “Barbieri” è oggi la via dei Cassari, ma denominata già nel XV secolo “ruga barberiorum”.

La strada dei “Biscottai” è invece ancora oggi presente con il medesimo nome nel quartiere dell’Albergheria, e il suo nome deriva direttamente dai forni specializzati nella produzione di diversi tipi di biscotti che avevano sede lì. Stessa sorte per la strada dei “Bottai”, una viache ospitava le botteghe di alcuni costruttori di botti, barili e recipienti di legno.

La celeberrima via dei “Candelai”, che prende il nome dalle botteghe dei fabbricanti di candele. Curioso come ancora oggi, in questa via, siano presenti molte botteghe che costruiscono e vendono lampadari e articoli usati o d’antiquariato. La strada dei “Carrettieri” è invece oggetto di una doppia interpretazione: una fa riferimento alla presenza di costruttori di carri; un’altra, invece, propende per il fatto che vi abitavano i conduttori di carretti. La strada dei “Chiavettieri”, lungo un lato, ospitava un tempo i fabbricanti di chiavi, chiavistelli e serrature. Oggi è una delle strade più frequentate da turisti e cittadini, oltre che uno dei vicoli più affollati della movida palermitana.

La strada dei “Maccheronai”, quella che collega piazza Caracciolo a piazza San Domenico, nel cuore del mercato della Vucciria, ha ospitato fino alla fine del 1800 i pastai e i loro pastifici. Al posto loro oggi esiste una grande quantità di botteghe di alimentari. La strada dei “Materassai”, nella metà del Settecento, vedeva un fiorente mercato di artigianato, con i lavoratori impegnati a confezionare materassi. Quella che un tempo si chiamava via degli Spadari da allora prese il nome di via dei Materassai.

Moltissime altre località nascoste nel centro storico palermitano celano la storia di “prodotti” specifici che si potevano trovare in quella strada. Dal vicolo della neve dove la neve raccolta d’inverno veniva conservata e rivenduta d’estate, al vicolo dei Pieduzzi, dove vi abitavano alcuni venditori di piedi di capretto e agnello bolliti.

Non dimentichiamo la Strada dei “Pignatari”, oggi via Porto Salvo, dove nel ‘600 lavoravano i fabbricanti di pentole dette, in dialetto, “pignate”; e ancora la strada degli “Schioppettieri” ancora oggi esistente tra la via Discesa dei giudici e corso Vittorio Emanuele, e che ospitò alcuni fabbricanti di armi da fuoco; via Scopari, conosciuta ancora così, e una volta luogo di fabbricazione di scope. C’è poi la vetreria, via delle sedie volanti, la piazzetta dello zucchero e la selleria. E ne stiamo tralasciando a decine sparse per il grande centro di Palermo.

È anche così che si conosce l’anima del Capoluogo siciliano, le sue tradizioni, il suo passato così caotico, affollato, indelebile nell’identità dei luoghi vissuti dai suoi protagonisti, ieri come oggi: non i viceré, i grandi regnanti o le famiglie prestigiose, ma i suoi appassionati artigiani, ancora lì, indaffarati nelle proprie botteghe.

(letture consigliate: La città nascosta. I segreti di Palermo tra luoghi e memoria, Lino Buscemi, Navarra Editore; I Beati Paoli, Luigi Natoli; Guida ai piaceri e mestieri di Palermo, Pietro Zullino).

Foto in copertina di Ester Di Bona


2 commenti

I commenti sono chiusi