La Corte Suprema blocca il sogno americano di Trump

 

A mettersi di traverso al sogno del “Make America Great Again” di Trump è proprio un giudice repubblicano (ma “troppo progressista”) della Corte Suprema.


La prima campagna elettorale di Donald Trump del 2016 si è fondata sulla promozione di politiche conservatrici anti-migranti e contro le minoranze. A cinque mesi dalle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, il presidente ormai a fine mandato sta assistendo allo sgretolamento del suo “sogno conservatore”. L’ultima pronuncia della Corte Suprema degli Stati Uniti, infatti, ha bloccato il suo tentativo si abrogare il programma DACA relativo alla protezione dei cosiddetti “dreamers”, cavallo di battaglia del suo programma elettorale del 2016.

Il Deferred Action for Childhood Arrivals (DACA) è un programma rivolto ai migranti non regolari presenti nel territorio americano per garantire loro il diritto temporaneo di vivere, studiare e lavorare legalmente negli Stati Uniti. Questo programma, varato durante l’amministrazione Obama nel 2012, dà la possibilità di rinviare l’espulsione di due anni (con possibilità di rinnovo) potendo così ottenere servizi base come il permesso di lavoro, la patente o la possibilità di continuare gli studi.

Il DACA ha riscosso molto successo in quanto ha dato la possibilità a circa 700 mila immigrati di lavorare legalmente. Inoltre ha avuto un impatto positivo sia a livello economico che sociale: infatti, dalla sua istituzione, si è registrata una riduzione delle famiglie irregolari in stato di povertà e un aumento della forza lavoro regolare; ciò ha portato di conseguenza a un miglioramento delle condizioni economiche e sanitarie dei dreamers. Le ricerche svolte, allo stesso tempo, non hanno portato alla luce effetti negativi della regolarizzazione degli immigrati nei confronti dei lavoratori nazionali. Questo enorme successo ha portato l’allora presidente Obama a promuovere un ampliamento del programma, ampliamento successivamente bloccato.

Con l’avvento dell’amministrazione Trump, il DACA ha subito vari attacchi dalla propaganda conservatrice: nel settembre del 2017 il presidente Trump ha annunciato la sua immediata abrogazione sostenendo che i dreamers “non sono altro che immigrati irregolari”. Tuttavia, lo smantellamento del programma è stato ostacolato da diversi ricorsi presentati in tutto il Paese che hanno portato a distanza di due anni dall’annuncio di Trump, infine, al pronunciamento della Corte Suprema.

Il 18 giugno, la Corte Suprema si è espressa a favore del mantenimento del programma con 5 voti a favore e 4 contro. Voto decisivo è stato quello del Presidente della Corte, John Roberts, di nomina conservatrice, che ha votato in linea con i liberali. Non è la prima volta che il giudice Roberts si schiera con i liberali, deludendo le aspettative del presidente Trump.

Inoltre il 15 giugno la Corte Suprema si era espressa su un’altra questione delicata, relativa alle discriminazioni subite dalla comunità LGBT nei luoghi di lavoro riferendosi in particolare ai licenziamenti discriminatori in base all’orientamento sessuale: in quel caso la Corte si è pronunciata a favore della protezione dei lavoratori LGBT (con 6 voti a favore e 3 voti contro) affermando che «un datore di lavoro che licenzia una persona perché omosessuale o transgender, discrimina una persona in base al sesso» violando il Titolo VII della legge del 1964 sui diritti civili.

Barack Obama festeggia la decisione della Corte Suprema relativa al DACA twittando «possiamo sembrare diversi e venire da qualunque posto ma ciò che ci rende americani sono i nostri comuni ideali» invitando gli americani a votare Joe Biden per difendere quegli ideali democratici che hanno portato all’istituzione del programma di protezione per i dreamers.

Dall’altra parte, sempre su Twitter, Donald Trump attacca i giudici affermando «Queste decisioni orribili e politicamente motivate che escono dalla Corte Suprema sono colpi di fucile in faccia a persone che sono orgogliose di chiamarsi repubblicani o conservatori» dando una nuova piega alla campagna elettorale, adesso incentrata sul bisogno di una riforma giudiziaria e sulla stesura di una nuova lista di giudici entro settembre 2020.

I repubblicani e i conservatori si stanno mostrando indignati e preoccupati in vista delle prossime pronunce della Corte che riguarderanno rispettivamente le armi e l’aborto. Entro la fine di giugno, infatti, la Corte dovrà valutare una legge approvata in Louisiana nel 2014, che stabilisce l’abilitazione di un solo medico a praticare aborti in tutto lo Stato, rendendo l’interruzione di gravidanza praticamente impossibile, in contrasto con la sentenza Roe vs. Wade che nel 1973 introdusse la possibilità di abortire negli Stati Uniti.

Nel 2016, la Corte Suprema si era già espressa su una legge anti-aborto approvata in Texas quasi identica alla legge della Louisiana attualmente in fase di revisione: quella volta la Corte si pronunciò contraria alla legge affermando che uno Stato non può applicare restrizioni ai servizi sull’interruzione di gravidanza, ma il giudice Roberts dissentì dalla maggioranza (5 voti su 3) per motivi tecnici.

Se nel 2016 il voto del giudice Roberts non ribaltò la decisione della Corte, oggi, sia i repubblicani che i democratici hanno gli occhi puntati su di lui proprio per i suoi schieramenti “troppo progressisti” per i conservatori che hanno giocato un ruolo chiave nelle ultime decisioni, che influenzano la campagna elettorale e il sogno conservatore di Trump.