Sarah Hegazy, l’attivista egiziana suicida che insegna il perdono

 

Sarah Hegazy è diventata il simbolo della lotta per l’autodeterminazione del singolo. Incarcerata in Egitto “per un arcobaleno”, non è sopravvissuta ai ricordi.


Immaginate di andare al concerto del vostro cantante preferito, di divertirvi e sentirvi spensierati a tal punto da voler sventolare una bandiera della pace per suggellare un momento di assoluta felicità e spensieratezza. Immaginate ora di essere arrestati per questo gesto. Cosa provate? Ingiustizia? Questo è ciò che è accaduto a Sarah Hegazy, giovane attivista egiziana LGBT che è stata arrestata in Egitto nel 2017, insieme ad un suo amico Ahmed Alaa, per aver sventolato una bandiera arcobaleno ad un concerto, al Cairo, di una band libanese, Mashrou’ Leila, il cui cantante ha dichiarato apertamente di essere gay. 

L’arresto della ragazza è stato giustificato dalle forze dell’ordine egiziane poiché il gesto di Sarah è stato interpretato come atto volto a promuovere la devianza e la dissolutezza sessuale.

In Egitto, l’omosessualità non è formalmente un reato; nessuna legge lo vieta apertamente ma il governo e la società conservatrice rifiutano di riconoscere l’esistenza dell’identità sessuale del singolo. Le persone gay, bisessuali e transgender, quindi, non vengono riconosciute e identificate dal governo egiziano, che di conseguenza, non si sente legittimato a tutelare i diritti di individui che non riconosce come meritevoli di protezione.

Nei tre mesi trascorsi in una prigione maschile, Sarah è stata sottoposta a tortura e ad altri trattamenti degradanti, per i quali ha cercato di togliersi la vita durante il tempo trascorso in cella. La sofferenza causata dall’umiliazione e dagli abusi è stata così insopportabile da causarle un disturbo da stress post-traumatico. 

Sotto le pressioni internazionali, l’attivista è stata rilasciata dalle forze dell’ordine e ha trovato asilo politico in Canada. Qui, lontano da casa e dagli affetti, è stato difficile per lei farsi carico di un peso troppo grande con cui non è stato facile convivere. Il dolore al corpo e allo spirito non le hanno permesso di proseguire serenamente la propria vita. Sarah Hegazy si è suicidata in Canada lo scorso 14 giugno, chiedendo scusa con un biglietto per aver preso questa amara decisione: «Ai miei fratelli, alle mie sorelle e agli amici, ce l’ho messa tutta per sopravvivere, ma non ce la faccio più ad andare avanti, il dolore è troppo pesante. A te mondo, sei stato molto ingiusto con me, ma perdono te e tutti».

Nel 2013 Sarah era entrata a far parte del Partito delle vita e della libertà perché credeva nella promozione dell’eliminazione delle discriminazioni e nell’abbattimento delle differenze sociali e, insieme al partito, cercava di supportare una democrazia che fosse più inclusiva e partecipativa, che non escludesse nessuno ma che coinvolgesse ogni individuo indipendentemente da ogni possibile diversità politica, sociale, religiosa o sessuale. Il suo impegno e la sua dedizione nel portare avanti questa battaglia pacifica per i diritti umani e contro ogni forma di discriminazione hanno contribuito a renderla una giovane donna intrepida che non aveva paura di esprimere le proprie idee. 

Recentemente la giovane attivista aveva anche dichiarato: «In Egitto, ogni persona che non sia maschio, musulmana, sunnita, etero e un sostenitore del sistema, viene respinta, repressa, stigmatizzata, arrestata, esiliata o uccisa. La ragione è collegata al sistema patriarcale nel suo insieme».

L’attivista dal coraggio gentile, quindi, ha lasciato questa terra per trovare sollievo da un mondo troppo crudele e ingiusto che l’ha discriminata e colpevolizzata per la semplice ragione di essere sé stessa. La sua terra natia non l’ha protetta perché diversa, eppure lei ha salutato il mondo che conosceva perdonando chi non l’ha compresa e accettata.

Si capirà sempre troppo tardi, purtroppo, che le differenze di genere, di nazionalità, di religione, di orientamento sessuale e di opinione sono preziose risorse che mostrano un mondo più equo perché aperto a contemplare la diversità come una ricchezza e non come una minaccia.

Sarah non è stata debole, il suo gesto spontaneo e coraggioso – scevro da qualsiasi implicita propaganda politica – deve essere un monito affinché nonostante gli ostacoli, le diversità e le ingiustizie tutti noi dobbiamo avere ilcoraggio di alzarci e sventolare la nostra bandiera per dimostrare con orgoglio chi siamo. Oggi Sarah diventa un simbolo di lotta per l’autodeterminazione e noi, oggi e per tutti i giorni a venire, innalziamo la bandiera per Sarah, We#RaiseTheFlagForSarah, per ricordare che «In range, in grief, and exhaustion, we resist».