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La residenza virtuale o fittizia per senza tetto e stranieri

Alla residenza sono collegati molti dei diritti riconosciuti dalla nostra Costituzione, e negare l’iscrizione anagrafica senza giusta ragione equivale a violare i principi fondamentali del nostro ordinamento.


La residenza è il luogo dove una persona ha la propria “dimora abituale” ed è il presupposto necessario per esercitare determinati diritti civili e sociali. Infatti, ad essa sono collegati l’accesso alle prestazioni di assistenza sociale e sanitaria: è ad esempio il presupposto per l’individuazione delle scuole, degli asili, della ASL o dei servizi sanitari territoriali di competenza, per la scelta del medico di base e altri servizi essenziali.

È necessario dunque considerare l’iscrizione anagrafica un diritto soggettivo e non concessorio, riconosciuto dal nostro ordinamento.

Non tutte le persone hanno però una “dimora abituale”: basti pensare alle persone senza fissa dimora. Sempre più frequentemente accade che alcune persone sono dotate di una dimora abituale che però non può essere riconosciuta come residenza anagrafica: è il caso dei migranti che vivono per brevi periodi nei centri d’accoglienza, o di coloro che vivono in strutture occupate, o ancora delle migliaia di persone che non hanno un contratto d’affitto.

La precarietà abitativa è trasversale, interessando persone di tutte le nazionalità e di diversi status sociali. Per ovviare in parte a questi problemi e per cercare di garantire pari diritti a tutte le persone, in Italia già da anni è presente la cosiddetta “residenza fittizia” (o “virtuale”). Si tratta essenzialmente di un indirizzo di residenza che non corrisponde al luogo di effettiva dimora e permette anche alle persone che vivono in situazione di precarietà abitativa di accedere ai servizi del territorio.

È pacifico che tale diritto spetti anche ai cittadini stranieri e a tal proposito si citano delle linee guida sul diritto alla residenza scaricabili dal sito del Ministero dell’Interno. Secondo tale documento, infatti, il cittadino straniero (richiedente o titolare di protezione) può richiedere la residenza fittizia e il presupposto oggettivo per l’iscrizione anagrafica è il domicilio nel territorio del comune. L’art. 2, co. 3 della legge anagrafica n. 1228/54, modificato dalla legge 94/2009, prevede, infatti, che «la persona che non ha fissa dimora si considera residente nel comune dove ha stabilito il proprio domicilio. La persona stessa, al momento della richiesta di iscrizione, è tenuta a fornire all’ufficio di anagrafe gli elementi necessari allo svolgimento degli accertamenti atti a stabilire l’effettiva sussistenza del domicilio». In tal caso, ai fini dell’iscrizione anagrafica, non è necessario indicare un preciso indirizzo utile a rintracciare la persona e non è necessario procedere agli accertamenti relativi all’abitualità del domicilio, perché esso è sostanzialmente oggetto di una libera elezione da parte della persona senza fissa dimora (Ministero dell’Interno – Direzione generale dell’ Amministrazione civile, circ. n. 1/1997). Dunque, qualora la persona viva in strada, ma abbia comunque in un determinato Comune la sede degli affari e interessi (che in questo caso si possono esaurire anche nella mera ricerca di assistenza e beni di prima necessità) potrà comunque acquisire la residenza, potendo il Comune ricorrere a un indirizzo convenzionale in una via territorialmente non esistente.

Ogni prassi discrezionale, quale la titolarità di un rapporto di lavoro, la disponibilità di una abitazione, i legami familiari, imposta da alcune amministrazioni per ottenere la residenza, è di fatto arbitraria e viola la legislazione nazionale.

È necessario tenere conto che gli Uffici Anagrafe che non riconoscono la residenza alle persone senza dimora violano diversi diritti, primo tra tutti il diritto all’assistenza sanitaria sancito dall’Articolo 32 della Costituzione Italiana. 

L’assistenza sanitaria dovrebbe essere garantita a tutti coloro che risiedono o dimorano nel territorio della Repubblica e il requisito della residenza anagrafica è però il presupposto necessario per l’accesso e l’assegnazione di un medico di base. L’assistenza medica di base svolge una funzione “filtro” per l’assistenza farmaceutica, le prestazioni specialistiche e l’assistenza ospedaliera. Per le persone senza dimora, prive di residenza, l’assistenza medica di base non è garantita. Sono garantite solo prestazioni di pronto soccorso. Viene inoltre precluso l’accesso a CSM, SERT e consultori.

Il diritto all’assistenza sociale, sancito all’Articolo 38 della Costituzione italiana, è garantito dai Servizi Sociali che prendono in carico un assistito e ne sostengono i relativi oneri attraverso il criterio della residenza.

Anche il diritto al lavoro, all’Articolo 35 della Costituzione Italiana tiene conto della residenza, se si prende in considerazione che per poter aprire una partita IVA viene richiesto come requisito l’indicazione del Comune di residenza. Per quanto riguarda invece il lavoro subordinato, INPS e Centri per l’impiego non richiedono necessariamente una residenza poiché è sufficiente l’indicazione di un domicilio. Tuttavia la mancanza di iscrizione anagrafica crea pregiudizi nei confronti delle persone.

Per quanto riguarda il diritto alla previdenza sociale, Articolo 38 della Costituzione italiana, il requisito della residenza non è espressamente richiesto ai fini della erogazione delle prestazioni previdenziali; esso però risulta indispensabile per la concreta erogazione di alcune prestazioni tra cui la ppensione.

Risulta violato anche il diritto al voto (Articolo 48 della Costituzione italiana) poiché una persona senza residenza non può essere iscritta in nessuna lista elettorale di nessun Comune non è preservato neanche la tutela del risparmio, ai sensi dell’Articolo 47 della Costituzione Italiana, poiché senza residenza non si può richiedere il rilascio della carta di identità, documento indispensabile per l’apertura di un conto corrente. 

Infine, non è tutelato il diritto al patrocinio a spese dello Stato, all’Articolo 24 della Costituzione Italiana, poiché nonostante in questo caso non si faccia riferimento alla residenza anagrafica, in concreto però alcuni moduli per inoltrare istanza di patrocinio a spese dello Stato contengono la richiesta di indicazione della residenza. In poche parole, in assenza della residenza il diritto di difesa, riconosciuto dalla nostra Costituzione, non riceverebbe applicazione.

Alcuni Comuni come Roma, Bologna, Torino,  Padova, Milano, Venezia, Brescia hanno già attivato apposite procedure per richiedere e riconoscere la residenza virtuale. Tanti Comuni, invece, non hanno delle informazioni adeguate sul tema e non riconoscono il diritto all’iscrizione anagrafica soprattutto quando a richiederla è uno straniero.

Altra prassi diffusa è quella di ritenere la residenza virtuale una residenza di serie B. Tantissime sono infatti le Questure che rigettano la richiesta di rinnovo di permesso di soggiorno sul presupposto che la residenza virtuale non sia valida quanto la cosiddetta residenza reale. È bene specificare che nel caso degli stranieri non riconoscere la residenza fittizia o non riconoscerla quale residenza valevole quanto quella reale significa di fatto condannare gli stessi a rimanere in una situazione di precarietà e insicurezza con l’aggravante di una condizione di irregolarità amministrativa

Significa, inoltre, esporre i cittadini stranieri a provvedimenti di espulsione e, potenzialmente, condannarli a tornare in Paesi dove anche i più basilari diritti umani sono violati. Sul punto si è espresso recentemente anche il Consiglio di Stato ritenendo illegittima questa prassi e sostenendo la validità della residenza fittizia al fine del rinnovo del permesso di soggiorno.

Il diritto alla residenza non deve essere concesso ma riconosciuto sia ai cittadini italiani che agli stranieri per l’importanza che la residenza assume nell’esercizio dei diritti sociali delle persone: ogni limitazione nell’accesso a tali diritti è da ritenersi illegittima.


Immagine in copertina da Blog Sicilia in un articolo di Pietro Minardi

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Rosa Guida

Laureata in giurisprudenza e attivista per i diritti umani. Appassionata di economia, storia e arte.