Israele e Palestina fra pandemia, processi e annessioni: il fronte è aperto

 
 

Sono molti i fronti aperti in Israele e Palestina. In Israele è in corso lo scontro fra Netanyahu e la giustizia israeliana, di cui domenica scorsa si è combattuto il primo di una lunga serie di round. Su tutto il territorio, medici e infermieri tanto ebraici quanto arabi combattono contro il Covid-19, non di rado fianco a fianco. Nei Territori Occupati, dove ormai da 53 anni prosegue il braccio di ferro fra annessionisti, diritto internazionale e occupazione, il nuovo governo nato dall’inattesa alleanza tra Benny Gantz e Benjamin Netanyahu è determinato ad estendere la propria sovranità sulle colonie ebraiche in Cisgiordania e sulla Valle del Giordano dal prossimo 1° luglio.

«Membri della polizia e della procura si sono messi insieme ai giornalisti di sinistra per fabbricare questi ridicoli, assurdi casi contro di me»: sono queste le accuse che il premier Benjamin Netanyahu ha lanciato in televisione prima di apparire davanti ai giudici, circondato da metà dei ministri del suo partito (il Likud) con addosso mascherine.

Come si è arrivati all’udienza di domenica? Nel febbraio del 2019 il procuratore generale Avichai Mendelblit annuncia di essere intenzionato ad incriminare il premier israeliano. Dopo più di tre anni di indagini, sono tre i reati contestati a Netanyahu: frode, corruzione e violazione della fiducia. A novembre dello stesso anno Netanyahu viene formalmente accusato: la prima udienza è programmata per il 15 marzo 2020. Sarà la pandemia mondiale di Covid-19 e l’intervento dell’allora ministro della Giustizia Amir Ohana a spostare la data al 24 maggio: firmando un nuovo regolamento, il ministro espande i suoi poteri e congela tutte le questioni non urgenti delle Corte – incluso il processo a Netanyahu e agli altri imputati. Il processo, che riprenderà il 19 luglio, è destinato con grande probabilità a protrarsi a lungo. Difatti è probabile che il premier israeliano riuscirà a portare avanti il suo mandato, che dovrà cedere a Gantz a metà legislatura. Basti ricordare che l’ex-primo ministro, Ehud Olmer, anch’esso indagato su tre capi d’accusa di corruzione, ha iniziato la sua pena in prigione nel febbraio del 2016, sebbene il suo processo fosse iniziato nel settembre del 2009.

Intanto, la lotta al Covid-19 prosegue. In Israele, il conto dei casi totali sfiora i 17mila, con 281 morti. Sabato 23 maggio, le autorità di Gaza hanno annunciato la prima vittima da coronavirus, una donna di 77 anni affetta da malattia cronica. Un annuncio che suona spettrale, in una zona il cui sistema sanitario è al collasso. Al momento nella striscia si contano 55 casi, 16 dei quali guariti. In Cisgiordania lo scorso venerdì erano 547 i casi confermati, inclusi 179 a Gerusalemme Est. Allo stato attuale, tutti i palestinesi che ritornano a Gaza e in Cisgiordania sono obbligati a stare in un centro di quarantena per 14 giorni come misura precauzionale.

Ultimo, anche se non certo per importanza, è il fronte affatto nuovo che riguarda i Territori Occupati. Da quando il presidente USA Donald Trump ha esposto il proprio “Accordo del Secolo”, le parole “annessione” e “sovranità” sono all’ordine del giorno. In particolare, la discussione si è riaccesa quando Gantz e Netanyahu hanno trovato un accordo di coalizione: in base all’articolo 29 di questo accordo, in coordinazione con la Casa Bianca, il nuovo governo dovrebbe portare alla Knesset una proposta per applicare la sovranità israeliana nella Valle del Giordano e negli insediamenti in Cisgiordania.

In teoria, la maggioranza non dovrebbe avere difficoltà a far passare la proposta. In pratica, la situazione è più complessa: dentro e fuori ai confini israeliani sono molti ad opporsi. Scontata l’opposizione del leader dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmud Abbas, che annuncia di aver messo fine a “tutti gli accordi” con Israele e gli Stati Uniti. Una minaccia forse un po’ debole, considerando che non è la prima volta che viene mossa; è chiaro tuttavia che le carte in tavola potrebbero cambiare e le minacce concretizzarsi insieme all’annessione. Dalla vicina Giordania, uno degli unici due Paesi arabi ad aver firmato un trattato di pace con Israele, arriva un avvertimento. «Cosa succederebbe se l’Autorità Nazionale Palestinese collassasse?»: queste le parole del re Abdullah II a Der Spiegel. «Ci sarebbe ancora più caos ed estremismo nella regione. Se Israele annetterà davvero la Cisgiordania a luglio, ci sarà a un enorme conflitto con il Regno Hashemita di Giordania».

A occidente, l’Unione Europea, nella figura dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell, ha messo in chiaro la propria opposizione a qualsiasi azione unilaterale messa in atto in Cisgiordania: la UE userà tutte le sue “capacità diplomatiche” per accertarsi che ciò non avvenga. Persino dall’alleato oltreoceano arrivano messaggi meno entusiastici di quanto ci si aspettasse. Secondo Morgan Ortagus, portavoce capo di Mike Pompeo, l’annessione dovrebbe far «parte di dialoghi fra israeliani e palestinesi».

In Israele, nonostante la sinistra abbia raccolto un’amara sconfitta alle ultime elezioni, non mancano voci di dissenso. Fra di esse quella di Michael Sfard, avvocato israeliano esperto di diritti umani. In un’intervista rilasciata a Middle East Eye, Sfard condanna la mossa come una vera e propria iniziativa di land grabbing: «l’annessione dei territori significherà quasi sicuramente la “nazionalizzazione” della maggior parte del territorio dentro di essi. Grandi blocchi di terreno che sono di proprietà dei palestinesi che vivono fuori da questi territori verranno considerati proprietà di assenti». In base a una legge del 1950, infatti, ogni palestinese che vive in ogni parte della “Palestina Mandataria” che non è lo Stato d’Israele è un “assente” e la sua proprietà può essere confiscata.

Secondo Sfard, se ciò avvenisse avrebbe gravi conseguenze sulla popolazione palestinese; tuttavia, se il tentativo dovesse fallire ci sarebbe speranza per nuovi dialoghi. La situazione, commenta l’avvocato per i diritti umani, è delle più favorevoli per la destra israeliana: un presidente USA che la sostiene, un’Europa molto debole e la maggioranza in parlamento. «Se oggi non riusciamo ad annettere, allora probabilmente non accadrà per i prossimi cento anni» afferma. «Questo creerà una grossa rottura nel campo annessionista. Hanno aspettato 2,000 anni perché venisse il messia, si è fermato alla porta, ma non l’ha aperta ed ha proseguito».


 

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