App Immuni, una cella nell’immenso carcere del web

Ed eccoci improvvisamente in quel futuro distopico degno di un testo di Orwell o di una puntata di Black Mirror. Il Covid-19 che ormai conosciamo benissimo, ci ha letteralmente strappato via la nostra normalità, mettendo in evidenza i punti critici della società e del nostro modo di vivere la vita. Noi oggi non parleremo di tecnicismi di un’applicazione che pare voler esserci imposta, la temutissima app Immuni, ma affronteremo con Luigi Amato – docente ordinario di Estetica all’Accademia di belle arti di Palermo e cultore di Storia Moderna all’Università di Catania – un’approfondita discussione sugli aspetti filosofici e sociologici di un momento che è certamente un corto circuito del nostro tempo.

Partiamo dall’esperienza del web oggi e consigliando una lettura illuminante, Vertigine digitale di Andrew Keen. Il prof. Amato ci invita ad interrogarci sul Web 3.0 di Facebook, Twitter, Google+ e Linkedln:

«Siamo sicuri che sia il luogo della massima socialità e della condivisione totale, dove tutti possano benevolmente connettersi con tutti nel tempo e nello spazio? Non rischia di essere – se non lo è già – il luogo dell’iper-realtà, dove si perde la distinzione tra realtà e irrealtà? Per Keen la rivoluzione dei social media è di fatto la più travisata e distorta trasformazione culturale dai tempi della Rivoluzione industriale».

I social media stanno indebolendo e frammentando la nostra identità: «essi ci disorientano e ci dividono, non instaurano affatto una nuova era comunitaria e di uguaglianza fra gli esseri umani. Il tragico paradosso della nostra vita è l’incompatibilità tra il nostro profondo desiderio di appartenenza alla comunità online e di amicizia e l’altrettanto forte desiderio di libertà individuale. Mentre si prevede che verso la metà del XXI secolo quasi ogni essere umano del pianeta sarà connesso elettronicamente, questo libro vuole essere una tesi contro la condivisione, l’apertura, la trasparenza personale, il grande esibizionismo».

L’autore dunque si pone in modo molto critico di fronte al grande abbaglio di questa “finta libertà” che sembra averci donato il web, ma nonostante ciò Andrew Keen, in un recente intervento su Al Jazeera, ha riconosciuto che «stiamo sopravvivendo a questa pandemia grazie alla tecnologia». Un po’ come se questo virus stesse portando alla redenzione la grande colpa della condivisione esagerata.

Questa è la società che vive perennemente in vetrina, eppure l’idea di essere tracciata in modo anonimo obbligatoriamente la disturba. Sarebbe un gigantesco Grande Fratello orwelliano. Continua il professore: «ecco il punto. Siamo in un gigantesco carcere di 5/6 miliardi di apparecchi connessi, è la realizzazione più riuscita del carcere teorizzato e realizzato in tanti luoghi nell’800 dal filosofo inglese Bentham: il “Panopticon” o Panottico.

Il concetto alla base della progettazione è di permettere a un unico sorvegliante di osservare (opticon) tutti (pan) i soggetti reclusi in un’istituzione carceraria senza consentire a questi di capire se siano in quel momento controllati o no. Il nome si riferisce anche ad Argo Panoptes della mitologia Greca: un titano con un centinaio di occhi considerato perciò un eccellente guardiano. L’idea del Panopticon, come metafora di un potere invisibile, ha ispirato pensatori e filosofi come Michel Foucault, Noam Chomsky, Zygmunt Bauman e lo scrittore britannico George Orwell nel romanzo 1984».

A proposito di Bauman è interessante riportare una parte della conferenza tenuta il 9 ottobre 2013, presso il Teatro Dal Verme di Milano, riportata integralmente da Maria Grazia Mattei, nel libro Vita tra reale e virtuale di Bauman in cui si legge: «Zygmunt Bauman parte dalla convinzione fondamentale che le tecnologie digitali non sono responsabili del nostro disagio, sono semmai lo specchio che riflette le nostra condizione esistenziale moderna.

I pericoli non sono il portato delle tecnologie digitali in sé, bensì una conseguenza dello stile di vita moderno. Come nella sua definizione di “Modernità liquida”, i legami nella società contemporanea solo liquefatti, tendendo a disgregarsi. L’attuale liquefazione delle relazioni produce un individuo afflitto dalla solitudine, egoista ed egocentrico che vive in un tempo liquido. Da qui il disagio della postmodernità e la fuga rassicurante nell’online», quest’ultimo chiamato da Bauman “Muro di Vetro”.

Attraverso questo muro di vetro arriviamo alla questione della controversa app Immuni, soffermandoci sulla problematica di una possibile obbligatorietà. La parola “obbligatorio” sembra essere diventata un tabù, prendiamo ad esempio Singapore, modello di civiltà e rigore. È stata presentata una app molto simile e – stranamente – non obbligatoria. Risultato: si stima che il 20% dei cittadini di Singapore l’abbia scaricata; gli effettivi utilizzatori potrebbero essere anche di meno.

Fino alla fine di aprile Singapore era un importante focolaio del virus con crescita esponenziale e un sistema di contact tracing zoppo. È quello che potrebbe accadere in Italia: in questo caso potremmo essere di fronte ad un’imposizione necessaria per la salvaguardia della popolazione? Dove comincia e dove finisce la questione etica per un governo, nell’imporre qualcosa?

«Premesso che dunque nel mondo di oggi siamo tutti assolutamente controllati anche grazie ai nostri comportamenti volontari, non mi formalizzerei per l’uso di una app adoperata per combattere il virus. Se mai si potrebbe disquisire sull’effettiva utilità. Ma si sa “zucchero non guasta bevanda”. Non farebbe male comunque un passaggio legislativo evitando così che una decisione dalle proporzioni rilevanti da un punto di vista etico-giuridico venga imposta con una semplice ordinanza di un qualunque ente, sia pur titolato, senza il coinvolgimento del Parlamento.

Considerata l’urgenza, andrebbe bene anche un decreto legge, a patto che preventivamente il governo coinvolga subito nella delicata questione il Parlamento, visto che stiamo parlando delle libertà di tutti i cittadini. Nel caso delle applicazioni per contrastare il contagio, il monitoraggio sarebbe ovviamente più capillare e invasivo, quindi il rischio di una ulteriore sorveglianza di massa esiste e occorrerà prevedere formalmente alcune cautele. Anche se naturalmente il controllo di massa delle nostre informazioni già esiste abbondantemente con il nostro fattivo aiuto quotidiano».

È possibile che l’unica libertà che pensa di poter gestire l’essere umano è la decisione su chi può controllare la sua vita e i suoi dati sensibili tra un’ampia scelta di “autorizzo” che compaiono su di un infinità di applicazioni, siti e via discorrendo. Forse l’idea che qualcosa ci venga imposto, soprattutto un controllo “totale”, ci spaventa, e poco importa se si dovesse trattare di un rafforzamento della tutela del diritto alla salute. Forse siamo scottati o danneggiati dalla confusione mediatica, soffriamo di un’ interferenza maturata in anni di internet?

«Sarebbe già tanto! Se non recuperiamo i filtri culturali siamo già un mondo di schiavi felici del capitalismo che ci offre diritti alla movida e ai selfie obbligandoci a mostrare felicità e idiozia, e obbligandoci a indignarci a comando per i nuovi feticci dei presunti diritti civili. In realtà in molti è passata l’idea che questo è il migliore dei mondi possibili e non valga la pena cambiare nulla. Come eventuale sfogo per gli evidenti problemi sono per anni bastati i social. Certo i disastri economici e poi il virus stanno accelerando i processi di cambiamento. Ma senza nuove e robuste idee rimarranno il deserto e le rovine».

Sull’app Immuni si assicura che non verranno registrati né i dati anagrafici né il numero di telefono. Inoltre l’app non accede alla rubrica telefonica e non avvisa chi è a rischio con un sms. L’indicazione del Ministero della Salute è chiara: i dati trattati dal sistema vanno «resi sufficientemente anonimi da impedire l’identificazione dell’interessato».

A fronte di queste informazioni, sembrerebbe che Immuni possa essere imposta come obbligo, ma indorando la pillola con le rassicurazioni del caso. Sicuramente, imporre qualcosa che la gente è abituata ad accettare diventa la grande contraddizione. Solo noi possiamo star lì a vendere i nostri dati sensibili alle grandi multinazionali, ma guai se il governo ci impone qualcosa o ci traccia su una mappa. Cosa sta succedendo?

«Tecnicamente siamo già tutti tracciati. In linea di principio, personalmente, non avrei nulla da ridire. Quando penso al Sistema sanitario nazionale, dove i problemi sono largamente documentati anche in questa tragica fase con inchieste della magistratura e dei media, penso che una riflessione si debba fare sulle carenze strutturali, o come medici e infermieri siano stati mandati in prima linea senza protezioni o come la gente si sia infettata nelle strutture sanitarie o di assistenza per anziani a quanto pare in tutta Europa.

Insomma, prima di parlare di alta tecnologia che, secondo me, può aiutare, parliamo di investimenti su strutture e supporti per il personale che spesso ha pagato con la vita per il suo prezioso lavoro. E cerchiamo di evidenziare le responsabilità di chi ha fatto tagli alla Sanità».

La stragrande maggioranza della popolazione che si crea un proprio pensiero seguendo fake news e fonti non accertate, come potrebbe affrontare lucidamente una decisione come questa? Facendo leva su basi anche discutibili si desidera essere liberi di decidere a chi vendersi, senza magari riconoscere i benefici sanitari di un controllo capillare sul contagio. Si può lasciare “libere” in una decisione così delicata delle persone anche non preparate?

«Bisogna capire cosa intendiamo per “fake news”. Nel mondo di oggi l’informazione mainstream ci bombarda non solo con le veline del pensiero unico, esempio emblematico la guerra in Siria con falsità dimostrate più volte e con vari capovolgimenti della realtà, ma anche con errori da scuola elementare come continuare a parlare di Unione Sovietica, soggetto geopolitico che non esiste più da molti anni. Il tentativo di istituire Ministeri della Verità serve nella storia al regime di turno per propagandare dogmi. Spesso è inutile, specie adesso che l’idea totalitaria del globalismo si sta squagliando. Sono i momenti più pericolosi. Quando i regimi di tutti i tipi sono alla frutta i colpi di coda sono imprevedibili.

Sul calo generale dei filtri culturali, anch’esso merito delle verità infallibili dell’Occidente liberal, cosa dire? Hanno distrutto i sistemi scolastici, tagliato le radici, alimentato la spazzatura mediatica ed ora tutto questo gli si ritorce contro. Non ci mancheranno. E se quello che verrà dopo sarà peggio sarà in parte anche colpa di tutti quanti noi.

Per quanto mi riguarda sarò sempre ferocemente contrario a qualcosa di costituzionalmente molto pericoloso come la recente gravissima istituzione di commissioni ministeriali che si occupano di fake news e di hate speech, perché è un’insidia grave il fatto che entrino per via amministrativa istituti censori che incidono sulla libertà di parola, animati da individui presi da personali furori che dovrebbero stare fuori dalle stanze decisionali della Repubblica. Nella sacra crociata contro le fake news il sistema è impegnato in una bonifica di tutte quelle opinioni alternative alla verità prefabbricata e funzionale.

Tuttavia, più cresceranno il controllo e la censura, più autorevoli diventeranno le fake news, perché nessuna verità si può imporre per decreto e l’essere umano, di fronte alle verità imposte dall’alto, è naturalmente portato a fuggirle. Le nostre società dovrebbero quindi ricostruire un rapporto fiduciario tra il cittadino e la scienza e le informazioni ufficiali».

Traiamo delle conclusioni. «Nella speranza che si riesca a trovare una via d’uscita anche con una nuova idea di società possiamo fare qualche riflessione senza pretese di organicità. La tecnologia è entrata e non da oggi, ma in questo periodo definitivamente, nel nostro corpo come e forse più di un virus. Non potevamo e volevamo opporci perché tra la tutela della riservatezza e la salute non si poteva che optare per la seconda. La salute è, del resto, uno dei pochi dogmi sopravvissuti nella nostra cultura, perché abbiamo smesso di cercare di capire in profondità cosa sia la malattia e persino cosa sia la morte.

La filosofia, impoverita dall’arrivo delle religioni monoteiste, ha perso la sua battaglia contro la scienza, come se le due potessero dividersi davvero. La parola scienza ha la sua origine etimologica in “scire ens”: conoscere ciò che è, l’ente. Ma l’ente, il reale che attiene alla dimensione dell’essere, del metafisico, oggi è oggetto della sola indagine filosofica, mentre la scienza ha scelto di indagare solo l’aspetto fisico, quindi fenomenologico, della realtà. Tuttavia è nell’invisibile della nostra mente che prendono avvio molti processi fondamentali per la vita: sono le nostre immagini o idee a disegnare la nostra storia. L’invisibile è causa del visibile, da sempre».


 

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