8 Marzo: perché è necessario
Nel 2020 ha ancora senso la Festa della donna? Una domanda questa che si pongono in tanti (soprattutto gli uomini, chissà perché) e non da quest’anno. Sarà una decina d’anni che si susseguono sempre gli stessi discorsi che più che un pensiero articolato paiono dei veri e propri slogan, ovvero ‘la donna è uguale all’uomo’, ‘ormai le donne portano i pantaloni’, ‘abbiamo raggiunto la parità’, ‘siamo tutti uguali’, etc. etc. In questo caso, come per tanti altri, è necessario risalire alle origini di questa festività per poi giungere allo stato attuale e considerare ciò che ci interessa di più, il momento presente, e capire se per l’otto Marzo ci sarà un ipotetico futuro.
Si è sempre detto che la Festa della Donna sia stata istituita nel 1908 in memoria di moltissime operaie che morirono in un rogo di una fabbrica di New York, la Cotton. In realtà, la Giornata Internazionale della Donna è nata ufficialmente negli Stati Uniti il 28 febbraio del 1909: a istituirla fu il Partito Socialista americano in occasione di una grande manifestazione in favore del diritto delle donne al voto. Alle rivendicazioni per il suffragio universale si unirono presto altre istanze concernenti i diritti femminili.
Tra il novembre 1908 e il febbraio 1909, furono migliaia le operaie di New York che scioperarono al fine di ottenere un aumento salariale e un miglioramento delle condizioni di lavoro. Fu nel 1910 che l’VIII Congresso dell’Internazionale socialista propose per la prima volta di istituire una giornata dedicata alle donne. Il 25 marzo del 1911 nella fabbrica Triangle di New York si sviluppò un incendio e 146 lavoratori (per lo più donne immigrate) persero la vita. Ed è questo molto probabilmente l’episodio cui si riferisce la leggenda della fabbrica Cotton.
Da quel momento in avanti, le manifestazioni delle donne si moltiplicarono e non solo negli Stati Uniti. Furono molti i Paesi europei, tra cui Germania, Austria e Svizzera, che presero la decisione di istituire delle giornate dedicate alle donne. Nel 1917, quando le donne di San Pietroburgo scesero in piazza per chiedere la fine della guerra e parteciparono alla rivoluzione di febbraio, l’8 Marzo entrò per la prima volta nella storia della Festa della donna. Le delegate della Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, tenutasi a Mosca, scelsero proprio questa data quale Giornata Internazionale dell’Operaia.
In Italia la Festa della Donna iniziò a essere celebrata nel 1922 ma solo nel 1945 l’iniziativa prese forza. L’Unione Donne in Italia, proprio quell’anno, celebrò la Giornata della Donna nelle zone dell’Italia già liberate dal fascismo. È stato nell’8 marzo del 1946 che, per la prima volta, tutta l’Italia ha celebrato la ‘Festa della Donna’. Come suo simbolo è stata scelta la mimosa poiché fiorisce proprio nei primi giorni di marzo.
Parliamo dunque di una ricorrenza nata nel secolo scorso, quando ancora tornava alla mente Il secondo sesso di Simone De Beauvoir. Da poco le donne si erano ‘guadagnate’ il diritto al voto, e, principalmente e con pochissime e rare eccezioni, le donne erano mogli e madri, null’altro.
Da allora sembrerebbe che tantissima strada è stata fatta. Possiamo scegliere se essere astronaute, mamme orgogliose, single a oltranza, fisiche nucleari, avvocati, politiche, capi d’azienda o, perché no, tutte queste cose insieme. Possiamo essere tutto quello che vogliamo. Le ragazze, secondo dati Istat, ottengono voti migliori dei compagni “maschi” alle superiori. Studiano di più all’università e c’è più possibilità che si laureino in corso.
In Italia proprio nel campo della magistratura, chiuso alle donne fino al 1963, la percentuale di giudici donne supera quella di giudici uomini. Marta Cartabia è diventata proprio nel dicembre del 2019 la prima presidente donna della Corte Costituzionale.
Sanna Marin è ministro capo della Finlandia a soli 34 anni, Katerina Sakellaropoulou è stata eletta nel gennaio 2020 Presidentessa della Repubblica Greca. Greta Thunberg ha scosso i giovani di tutto il mondo con le sue rivendicazioni in tema ambientale e la sua preoccupazione per gli effetti gravissimi dei cambiamenti climatici.

Eppure… Eppure, secondo i dati diffusi il 20 novembre 2019 dal rapporto “Femminicidio e violenza di genere in Italia” di EURES, la violenza di genere non cala. Sono stati 142, nel 2018, i femminicidi: 78 per mano di partner o ex partner. L’85% dei femminicidi avviene in famiglia e nel 28% dei casi noti le donne uccise avevano subito precedenti maltrattamenti.
«Quando parliamo di femminicidio quindi non stiamo semplicemente indicando che è morta una donna, ma che quella donna è morta per mano di un uomo in un contesto sociale che permette e avalla la violenza degli uomini contro le donne»: questa la definizione che dava del femminicidio Diana Russell (scrittrice e attivista) già nel 1992. Nel mese di marzo 2019, proprio quando cade la ricorrenza della Festa della donna, in media ogni 15 minuti è stata registrata una vittima di violenza di genere di sesso femminile.
In Italia la violenza contro le donne è sia una conseguenza che una causa di persistenti disparità di genere negli ambiti relativi a lavoro, salute, denaro, potere, istruzione e gestione del tempo. La differenza tra il trattamento economico di un uomo e una donna sul lavoro continua a essere, ancora nel 2020, troppo rilevante. Secondo il Gender Gap Report 2019 realizzato dall’Osservatorio JobPricing, dal 2016 al 2018, la differenza retributiva è diminuita del 2,7% ma resta comunque ampio il gap che è di 2.700 euro lordi: il 10% in più a favore degli uomini.
Questi valori, secondo Eurostat, ci posizionano al 17° posto su 24 paesi per ampiezza del Gender Pay Gap nel settore privato. Dai dati Istat emerge che dal 2008 al 2018 la percentuale di dirigenti donna è passata dal 27% al 32%, quella dei quadri dal 41% al 45%. La situazione peggiora, però, se si considerano solamente i dipendenti di aziende private: la percentuale di dirigenti donne è del 15%, quella dei quadri il 29%.
Una donna continua comunque a guadagnare meno di un collega maschio sia a parità di ruolo professionale che a parità di settore d’impiego: da un’analisi statistica condotta sul database di JobPricing, nel 77% dei casi gli uomini hanno retribuzioni superiori alle donne e questa situazione è estesa a tutti i settori professionali.
Il tasso di occupazione è del 53% per le donne e del 73% per gli uomini. Circa il 26% delle donne lavora nell’istruzione, nella sanità e nel lavoro sociale, rispetto al 7% degli uomini. Solo il 6% delle donne lavora nelle professioni STEM rispetto al 31% degli uomini. Le donne continuano a guadagnare il 18% in meno rispetto agli uomini. Nelle coppie con bambini, poi, le donne guadagnano il 30% in meno rispetto agli uomini.
Quindi sì, è vero, noi donne abbiamo fatto tanta strada ma ce n’è ancora così tanta da percorrere. Quindi sì, c’è ancora bisogno dell’8 marzo. Perché non sono solo le donne, al ritorno da lavoro, ad essere tenute a mettere in ordine la casa. Sarebbe giusto che anche gli uomini contribuissero: dovrebbe essere la normalità. Non abbiamo alcun bisogno che qualcuno ci apra la portiera, sappiamo benissimo farlo da sole, ma sarebbe gentile e galante che un uomo lo facesse per noi.
Sarebbe e dovrebbe essere normale uscire di casa, che sia in jeans o in minigonna, in sneakers o tacchi alti, e non sentire più fischi o parole volgari, non essere avvicinate da improbabili sconosciuti, non essere palpeggiate in metropolitana e non avere più paura quando si percorre una strada buia di notte. Sarebbe necessario che non si chiedesse mai e poi mai a una donna che ha subito violenze cosa indossasse quel giorno.
Sarebbe sciocco dover ripetere ancora e ancora che una donna non va toccata neanche con un fiore. Agli uomini che si fregiano di essere femministi e proprio per questo rifiutano di celebrare la Festa della donna chiederei di guardarsi attorno e, con onestà intellettuale, rivalutare le loro considerazioni sulla parità di genere. Non c’è ancora. Sono stati fatti sì dei passi avanti ma ancora non c’è.
E per le bambine di oggi, per le figlie che nasceranno, per le donne del futuro ci auguriamo che, quando verranno al mondo, si sentiranno pari agli uomini. Né superiori, né inferiori: semplicemente uguali. Alle donne magari un po’ deluse dalla noncuranza del proprio uomo che, sbandierando chissà quali principi, rifiuta loro una mimosa auguriamo il coraggio di mettere il rossetto, scendere le scale di casa e andare dal fioraio più vicino e comprarsele da sole. Perché non abbiamo bisogno che gli altri ci festeggino: dobbiamo e possiamo festeggiarci da sole.
Annarita Caramico