Attivisti israeliani e palestinesi: l’accordo di “pace” porterà violenza senza fine

Bandiere, cartelli e striscioni che inneggiano alla pace in arabo ed ebraico: è così che il 1° febbraio più di 2 mila attivisti israeliani e palestinesi [arabi con cittadinanza israeliana, ndr] sono scesi in strada a Tel Aviv, a Dizengoff Square, per protestare fianco a fianco contro l’accordo di “pace” annunciato da Trump.

«Eravamo circa 2 mila» spiegano da Peace Now, ong organizzatrice. «L’idea era di mostrare agli israeliani e alla comunità internazionale che c’è chi in Israele che si oppone alla farsa del Piano di Trump. Un secondo messaggio è anche sottolineare che gli arabi israeliani sono una parte integrante della società israeliana che non può essere barattata in un draconiano stratagemma di scambi territoriali».

«Molti israeliani semplicemente non hanno sentito i lati negativi del Piano di Trump da un punto di vista israeliano» aggiungono «per questo era importante enfatizzare quanto controverso e immorale sia».

Foto Combatants for Peace

«Trump e Netanyahu ci hanno messo su un sentiero che conduce a un futuro di violenza senza fine, di spargimenti di sangue e di dolore» afferma Adam Keller, portavoce di Gush Shalom. «Chiediamo l’unica cosa che assicurerà una vita sicura per noi, le nostre famiglie, i nostri bambini: negoziati per mettere fine all’occupazione e avere pace fra due stati liberi e sovrani, Israele e Palestina».

«Il Piano Trump-Netanyahu è pericoloso per tutti noi, israeliani e palestinesi – per il futuro di entrambi i popoli» continua Keller. «Un accordo di pace è qualcosa su cui entrambe le parti sono d’accordo e che condividono, che porterà giustizia e risoluzione al conflitto. Il Piano Trump-Netanyahu non è niente del genere. È un’annessione unilaterale che ci viene imposta da lontano. Dà al governo di Israele la licenza di agire con infamia – con annessioni della Cisgiordania, dando retta alle pretese dei coloni più estremisti, e privando della cittadinanza israeliana centinaia di migliaia di cittadini arabi che vivono nelle regioni di Wadi Ara e del Triangolo [area in Israele adiacente alla “linea verde”]».

«Chiamare l’accordo presentato dal presidente USA Donald Trump un “Accordo di Pace” sarebbe come chiamare prestito un furto» commenta Souliman Khatib, attivista palestinese di Combatants for Peace. «Non è nient’altro che un passo disconnesso e unilaterale che non potrebbe assomigliare di meno a un piano di pace: che appartenga a palestinesi e israeliani allo stesso modo, basato sul dialogo e che ispiri speranza».

«Le conseguenze del piano potrebbero essere devastanti da entrambi i lati, portandoci a una nuova ondata di violenza e divisione. Israeliani e palestinesi dovrebbero respingere questo “accordo”, che ha a cuore solo gli interessi di Netanyahu e Trump, e lavorare assieme per un futuro condiviso e una soluzione giusta per tutte le parti. Per avere la pace, l’occupazione deve finire».

«Noi, arabi ed ebrei» dichiarano da Standing Together «chiediamo un accordo di pace, non uno che chieda l’annessione e il trasferimento di popoli e ci metta su un sentiero di anni di occupazione, conflitto e spargimento di sangue».

Intanto, il processo per corruzione di Netanyahu (incriminato ufficialmente il giorno stesso dell’annuncio di Trump) e le (ennesime) elezioni in Israele si avvicinano, senza che l'”accordo del secolo” abbia spostato la bilancia dei voti a favore di nessuno, men che meno di Netanyahu.

Anzi, sembra che in definitiva il piano abbia scontentato tutti: la sinistra vi si oppone, il centro e la destra sono divisi – il partito di Benny Gantz ha accolto con favore il contenuto, probabilmente nell’ottica di utilizzarlo come punto di partenza per nuovi negoziati favorevoli alle istanze israeliane – e la stessa destra religiosa è infuriata per il ritardo dell’annessione che sembrava dover essere immediata, ma che da Washington fanno sapere potrebbe richiedere mesi. Bisognerà vedere cosa accadrà nei prossimi giorni, se la Casa Bianca cederà o meno alle pressioni di un Netanyahu ansioso di realizzare le sue promesse prima delle elezioni del 2 marzo.  


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