Elezioni in Spagna: sinistra al governo

Di Antinea Pasta – Ci sono volute le ennesime elezioni, l’ascesa della destra ultranazionalista e la Catalogna nuovamente in agitazione per far decidere alla sinistra spagnola che forse era giunto il momento di trovare un accordo. In Italia lo sappiamo bene: il peggior nemico della sinistra spesso è se stessa.

Tutto il mondo è paese e così lo stallo creatosi dopo il risultato delle elezioni di domenica scorsa ha incoraggiato i Socialisti di Pedro Sanchez e Podemos guidato da Pablo Iglesias a raggiungere un accordo per la formazione di un governo di stampo progressista. “Abbiamo raggiunto un preaccordo per formare un governo di coalizione progressista che combini l’esperienza del Psoe e il coraggio di Unidas Podemos”, ha dichiarato Iglesias nel corso di una conferenza congiunta con il nuovo alleato.

“È un accordo per quattro anni, di legislatura. Sarà basato sulla coesione e la lealtà e aperto al resto delle forze politiche per costruire una maggioranza parlamentare”, ha aggiunto Sanchez.

Ma facciamo un passo indietro, perché l’accordo trovato in fretta e furia in poco meno di due giorni non era riuscito a decollare solo pochi mesi fa e le conseguenze oggi sono evidenti.

Intanto vale la pena ricordare che è la seconda volta che quest’anno gli spagnoli si recano alle urne e la quarta volta in quattro anni. Dopo le elezioni dell’aprile scorso il PSOE, il partito del premier uscente di Sanchez si riconferma la prima forza con il 28,3% dei voti, non sufficienti però a formare una maggioranza.

Pedro Sanchez e Pablo Iglesias (Ansa)

L’alleanza con i partiti di sinistra, la più naturale dopo lo spostamento su posizioni nazionaliste del partito conservatore PP e di Ciudadanos, non era però la strada più semplice dal momento che proprio gli attriti tra Podemos e il PSOE avevano fatto naufragare le trattative per la formazione del governo nei mesi scorsi e portato a nuove elezioni.  I due partiti oggi hanno 155 deputati, cifra lontana dalla maggioranza assoluta fissata a 176.  Esclusi i Popolari e la forza di destra Vox, resta la possibile alleanza con alcune delle forze autonomiste basche e catalane.

Ma al di là della necessità di trovare la quadratura del cerchio per uscire dall’empasse, le elezioni hanno decretato l’ascesa dell’ultradestra di Vox di Santiago Abascal, che è riuscita a raddoppiare il numero di seggi rispetto ad aprile diventando il terzo partito a livello nazionale dopo il PSOE e il Partito Popolare e può contare su 52 seggi nel Parlamento di Madrid. Si tratta del primo partito di estrema destra ad entrarvi dopo la fine della dittatura di Francisco Franco. Vox, che sembra aver eroso i voti di Ciudadanos – il partito di centro che ha subito un brusco crollo di 9 punti percentuali arrestandosi al 6,7% – si candida a diventare il principale interlocutore a destra del Partito Popolare. Qualche mese fa Vox si è costituito parte civile nel processo ai dirigenti catalani che tentarono pacificamente la strada indipendentista attraverso il Referendum.

E proprio la questione catalana rappresenta una spiegazione all’exploit del partito di Abascal. La sentenza di condanna per i leader indipendentisti dello scorso ottobre ha riacceso le proteste in Catalogna, facendo tornare le istanze indipendentiste al centro del dibattito della campagna elettorale nazionale e collocando Vox su posizioni fortemente intransigenti riguardo all’indipendenza catalana. Insomma a nazionalismo regionale si contrappone il nazionalismo spagnolo in maniera sempre più decisa.

Sanchez ha di fronte a sé una sfida difficile: tenere insieme una coalizione che già agli esordi non sembra molto stabile, formare un governo capace di sostenere la crescita economica, la gestione dei flussi migratori, le richieste indipendentiste e come se non bastasse porre un argine all’avanzata dell’ultradestra. Già perché come in tutti i paesi europei, i sovranisti hanno un sempre più forte consenso popolare.