Era meglio la maglia nera

Di Daniele Monteleone – Anche se non ci siamo abituati e, in generale, la memoria non è il nostro forte, ricordiamo che – con o senza riferimenti storici – la maglia verde della Nazionale italiana di calcio è la terza scelta della squadra dopo lo storico azzurro e il bianco per la seconda maglia.

Il colore di “riserva” selezionato già da una settimana per affrontare le qualificazioni e gli Europei 2020, è entrato in scena nella partita giocata sabato sera allo Stadio Olimpico contro la Grecia (peraltro vinta con annessa qualificazione agli Europei). «Rinascimento» o meno, marketing o restyling concettuale, potevano mancare i teorici dell’islamizzazione programmata e della dissacrazione del tricolore? No. E, ultim’ora, l’azzurro è il nuovo simbolo da difendere, l’ennesimo crocifisso nazionale che non va toccato.

Jorginho, autore di una delle due reti della partita contro la Grecia – Il Fatto Quotidiano

Non c’è mai limite al grottesco. Qualcuno si è ripassato i colori del “vituperato” tricolore? Verde, bianco, rosso. Teniamoli a mente allora citandone alcune rappresentazioni sportive. Il rosso è il colore dell’automobilismo (e del motociclismo) italiano. Il bianco è il colore perlopiù usato per il ciclismo e negli sport invernali. Il verde, come già detto, è il colore che è stato scelto come terzo (non primo e neanche secondo!) colore della nazionale di calcio, oltre che essere ampiamente presente nelle giovanili della stessa. Sembra semplice, normale, facciamo “accettabile”. Ma soprattutto sembra una questione che non può costituire una strumentalizzazione politica. Appunto, sembra.

«Ma solo io non capisco il senso di far giocare la Nazionale Italiana di calcio con una maglia verde e senza tricolore sullo scudetto?» si chiede Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia su Twitter. Il secondo esponente più importante dello schieramento della destra italiana partecipa così al dibattito – infiammandolo anche – intorno alla “nuova” maglia dell’Italia. E no, non è soltanto lei a non averlo capito. Infatti, sono tanti i suoi follower e altri difensori della patria (azzurra?) che hanno commentato con toni accesi l’iniziativa della Federazione italiana gioco calcio (FIGC). Federazione che s’è vista un gruppo di iscritti del partito della Meloni protestare sotto la sua sede, un mini “Thursday For Future” improvvisato lo scorso 10 ottobre, contro i cambiamenti d’abito.

Era già partito il terremoto social sulla presentazione ufficiale della maglia verde. Sì, perché a fare da modelli indossatori del nuovo prodotto c’erano una ragazza albanese, una sudamericana e tre ragazzi, uno marocchino, uno algerino e uno senegalese. Di fatto le nazionalità delle minoranze più numerose sul territorio italiano, strumenti di un chiarissimo messaggio pubblicitario di accoglienza e integrazione. L’ennesimo richiamo contro ogni razzismo che, a quanto pare, non è stato apprezzato. Così, visto il moto che si è attivato sul web, il tema della maglia verde è stato cavalcato alla vigilia del “match in verde”.

Si sa, l’indottrinamento politico può assumere diverse forme, spesso inaspettate, per poi passare da un oggetto simbolico all’altro pressoché all’infinito. Gli spaghetti, la pizza, il mandolino sono per gli stranieri; noi abbiamo erto il crocifisso, Sanremo, la Gioconda, il tortellino, la maglia della nazionale ad “auto-condanne” trincerate dietro il manifesto della cultura italiana. E lo spettacolo di patriottismo, bandierine, tricolori, scudetti al petto, mani sul cuore e inno di Mameli è servito. Non abbiamo speranze. Inoltre, quando si parla di calcio in Italia tutto può diventare ridicolo e macchiettistico. Il passo da tifosi italiani a nazionalisti è stato (troppo) breve. Esattamente come quel processo mentale di fronte all’immigrazione in cui si invoca al rischio di sostituzione etnica.

Sembra che persino il verde arabo sia stato intravisto fra i complicati significati criptati della nuova maglia italiana. E non passa inosservato anche un servizio di Rai Tre dove si coglie al balzo l’inutilissima diatriba in cui si segnala che «questo improvviso daltonismo selettivo crea controsensi» stabilendo in definitiva che «la verità è che il marketing del calcio è da tempo zeppo di terze e quarte maglie di colori improbabili e bruttezza ineguagliata». Per Bruno Vespa «non si svende la storia». Per finire, ai microfoni di Rai Radio 1, il mitico Claudio Gentile mette in campo motivazioni profonde: «Questa maglia non mi dà quella voglia, quella determinazione che serve per scendere in campo» e il quadro di orgoglio nazionale azzurrino è completo.

Senza dilungarci troppo, non ci interessa il progressismo e il rinnovamento “per forza” perché è bello e perché ci piace. Non ci interessa nemmeno sostenere la causa storica della maglia indossata già negli anni Cinquanta durante un’amichevole di cui non importa niente ad anima viva. Non vogliamo mettere in mezzo le strategie commerciali (dato che il primo mercato delle nostre maglie è quello statunitense) di maglie che non compra nessuno ma che tutti misteriosamente difendono. E non fa testo neanche l’assenza del tricolore lamentata da qualcuno dato che già per il 120esimo anniversario era stato utilizzato sulle maglie un logo in cui non figurava neanche l’ombra di una bandiera italiana. Quello che stanca è il tifo – e ancora peggio il “tifo sul tifo” – che questo Paese e alcuni suoi rappresentanti politici portano avanti impoverendo le tribune, e non quelle degli stadi, bensì quelle elettorali. Abbiamo tante “maglie nere”, dal settore economico a quello culturale; dobbiamo annerire pure quella della Nazionale? Pensate un po’, è già avvenuto.

Nazionale italiana in nero (1938) – da Il Foglio

Foto in copertina da Eurosport

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