Basta col razzismo negli stadi!

Di Daniele Compagno – La notte dello scorso Santo Stefano a San Siro con i buu razzisti verso il giocatore del Napoli Koulibaly e la successiva chiusura dello stadio per due giornate, hanno convinto la Figc a riscrivere le norme sulla discriminazione nel corso delle partite.

Uno snellimento delle procedure per evitare il ripetersi delle polemiche di Inter-Napoli, con l’accusa al direttore di gara di non aver avuto polso e sensibilità per sospendere la gara in presenza di un comportamento chiaramente discriminatorio. Le nuove norme prevedono un’accelerazione della procedura di interruzione e sospensione delle partite e un chiarimento definitivo delle responsabilità tra arbitro, ispettori della Figc e responsabile dell’ordine pubblico, con quest’ultimo delegato pronto a decidere se e come una partita può riprendere: nessun altro può sostituirsi a lui in questa funzione, in nessuno dei passaggi della procedura anti-discriminazione della Figc. L’arbitro viene sgravato dalla responsabilità di essere colui che rileva la presenza di comportamenti discriminatori. Ha la facoltà di segnalarli nel caso se ne accorgesse in prima persona.

Purtroppo però nell’ultimo trentennio il fenomeno del razzismo negli stadi ha continuato ad allargarsi, anche per via di una legislazione eccessivamente morbida, con gli stessi giudici sportivi che ogni volta tendono a minimizzare l’accaduto. Basti pensare che – poche settimane fa – nonostante i diversi video di testimonianza, dopo due settimane di indagine si è stabilito che a Cagliari «i versi nei confronti di Romelu Lukaku (giocatore dell’Inter) da parte di singoli spettatori non sono stati intesi come discriminatori». Stesso discorso per i fatti di Verona, in pratica un semaforo verde per chi volesse ripetersi nelle giornate di campionato a venire.

Non bisogna dimenticare nemmeno le responsabilità delle società, dei media e delle istituzioni, troppe volte complici con le tifoserie. Si pensi alla reazione fin troppo morbida della Lazio l’anno scorso, quando si diffondeva la foto di Anna Frank con la maglia della Roma, o quando dei volantini chiedevano alle donne, in quanto donne, di non occupare le prime file della curva.

da La Repubblica

Ovviamente il razzismo dei tifosi italiani non è stato utilizzato solo per intralciare i propri giocatori ma anche e soprattutto per offendere gli avversari, e questo è ciò che ha permesso alla grande maggioranza dei tifosi di propagarlo come un elemento “normale” della logica da stadio. Difficile infatti dimenticarsi, ad esempio, del caso di André Kpolo Zoro, difensore ivoriano che durante un Messina-Inter del 2005 decide di rispondere con un gesto tanto giusto quanto eclatante ai continui insulti razzisti provenienti dai tifosi ospiti. E cioè prendendo la palla in mano, fermando il gioco ed incamminarsi fuori dal campo. Una reazione simile l’ha avuta Kevin-Prince Boateng durante un Pro Patria-Milan del 2013. Beccato costantemente da cori razzisti durante la prima mezzora di gara, prende la palla e la calcia verso la curva dei tifosi di casa. Poi si toglie la maglia e se ne va, la partita viene interrotta e non riprende più.

La lista di questi episodi e di questa brutta storia diventa sempre più lunga, fino ad arrivare a episodi di razzismo negli stadi anche nella storia più recente: gli ululati e i versi da scimmia a Sulley Muntari durante un Cagliari-Pescara del 2017; gli insulti razzisti al difensore senegalese, Kalidou Koulibaly, durante la partita con l’Inter dello scorso dicembre; quelli al giovane italiano della Juventus, Moise Kean durante Juve-Cagliari; quelli di questo inizio di stagione appunto, nei confronti di Romelu Lukaku (sempre in Sardegna) o a Frank Kessié calciatore del Milan, durante Verona-Milan. Ultimissimo il fattaccio accaduto al difensore brasiliano della Roma, Juan Jesus, offeso su Instagram per il colore della sua pelle. Immediata qui però la presa di posizione della società giallorossa, che ha segnalato l’accaduto alla Polizia e ha annunciato il daspo nei confronti della persona responsabile. Il diretto responsabile sarà infatti allontanato a vita dalle partite della Roma.

C’è ancora tanta strada da fare a livello culturale e legislativo e per questo non bisogna dimenticare il contesto in cui questi insulti avvengono. Mentre la giustizia sportiva non fa il suo corso e gli stadi continuano a essere un palcoscenico per il razzismo, la buona notizia è che gli stessi giocatori che lo subiscono ogni domenica, stanno iniziando a farsi sentire affinché si venga a capo del problema – anche attraverso campagne antirazziste promosse dalla Uefa. Ovviamente non basta e il lavoro da fare è ancora molto, ma sicuramente è una buona base dalla quale partire.



Foto in copertina da Vísir