Il Genio che protegge e divora

Di Sofia Calderone – Non è solo Santa Rosalia a proteggere Palermo e i suoi abitanti. Ebbene, la Città non si affida soltanto ad una figura religiosa, ma anche ad un personaggio mitico ed esotico: il Genio di Palermo, espressione della spiritualità popolare.

Probabilmente risalente all’epoca pre-romana, il Genio viene raffigurato come un grande saggio con una folta barba, seduto in trono e incoronato. Spesso è accompagnato da un serpente nell’atto di morderlo o di succhiargli il petto, talvolta, invece, è sormontato da un’aquila oppure è accompagnato da un cane. Sono tante e diverse le sue raffigurazioni, così come sono parecchie le zone della città in cui egli è presente, per poter proteggere i palermitani;  tra le più conosciute vi sono dieci rappresentazioni monumentali, di cui sette sono sculture, due sono affreschi e un’altra è un mosaico posto dentro la Cappella Palatina.

La più nota statua del Genio è quella del Palazzo Pretorio, dove il personaggio mitico sorge da una conca sul cui bordo è scritto, in latino, “Panormus conca aurea suos devorat alienos nutrit”, vale a dire, “Palermo conca d’oro divora i suoi e nutre gli stranieri”.

Intuitivamente si può tentare di comprendere il senso storico di questa frase, gettando lo sguardo sul passato della città, vissuta e ricostruita – nel tempo – da tante mani, tutte provenienti da luoghi e origini diverse. Secondo alcuni studiosi, il significato racchiuso nel motto del Genio farebbe supporre la sua discendenza da Kronos, divinità del tempo e dell’agricoltura, divoratore dei propri figli e simbolo di pienezza e abbondanza.

Inoltre, il serpente nutrito dal Genio, mitologicamente simboleggia il rinnovamento e le trasformazioni, dovute anche e soprattutto alle relazioni con gli stranieri che, nel corso della storia della città, furono sia conquistatori che ospiti, intenti al commercio, ai traffici e al rimescolamenti di etnie (come insegna anche il mito della testa del Moro, altro simbolo della Città). Ed è proprio questo punto, quello delle trasformazioni della città legate alle relazioni con gli stranieri, che fa riflettere sulla contemporaneità dei cambiamenti che interessano la città di Palermo e, in particolare, il suo centro storico.

È curioso notare quanto sia contemporaneo il concetto di “suos devorat alienos nutrit” che pare cucito addosso ad una Palermo che si sta trasformando sempre più “a misura di turista”. Ed è così che una domanda che percuote la riflessioni attorno al futuro trasformista della città, cerca di giungere all’orecchio del nostro Genio: «fino a che punti, tu, nostro “protettore”, ti spingerai  a nutrire gli stranieri e a divorare i tuoi?».

Nell’ultimo anno stanno nascendo diverse riflessioni su questo tema. Già in molte città europee sono nati movimenti e proposte contro il turismo di massa che minaccia i diritti, oltre che le tasche, dei residenti. Anche a Palermo non mancano le iniziative di “attacco alla turistificazione”, che si vedono sui muri in giro per la città; alcune anonime, altre firmate. Si tratta perlopiù di poster affissi per le strade del centro storico, contenenti immagini o scritte che invitano alla riflessione sul tema della turistificazione, intesa come movimento di persone e non più di merci, che generano profitto.

In Vucciria, ad esempio, sono apparse delle grafiche provocatorie, ritraenti il noto quadro di Renato GuttusoVucciria”, rivisitato in chiave ironica. Genialmente, e probabilmente non a caso, queste stampe sono firmate “suos devorat”, come se chiedessero spiegazioni al loro protettore, quel Genio di Palermo. Al Festival Ciciri di questo weekend, sono apparsi dei totem contenenti vignette parodiche sulla giornata tipica di un turista di nome Turi.

«Le città turistificate non sono città come Palermo»: sono queste le parole di Gloria Calderone, dottoressa in Architettura ed esperta del fenomeno della “touristification” la cui tesi sulla “gentrificazione” e “turistificazione” nel centro storico di Palermo è stata pubblicata dall’Università di Firenze. «Questo è importante: non pensiamo che Palermo sia già una città turistificata, alla pari di Venezia, Parigi o New York.

Non abbiamo i numeri tali, in termini di flussi turistici, per poter affermare che lo sia. Tuttavia, sta compiendo i primi passi verso il  processo di turistificazione». E cosa comporta in termini di effetti sulla cittadinanza ivi residente? «Sicuramente un aumento del fenomeno della “hotellizzazione della casa”, che si verifica allorquando l’immobile perde la sua funzione di “casa” intesa come focolaio familiare, per prendere la forma di un alloggio temporaneo, una casa-vacanza. Inoltre,  il  processo di turistificazione si lega alla privatizzazione,  alla commercializzazione e al controllo dello spazio pubblico. Il punto è: tu vivi lo spazio pubblico solo se consumi».

Non vivi più lo spazio pubblico perché rappresenta la tua agorà, alla quale attribuisci diversi ricordi legati a momenti di vita quotidiana, vissuti in quella piazza. Pian piano, la piazza di quartiere si trasforma in un luogo “riqualificato e pedonale”, in cui i turisti si fermano per scattare alcune foto, azione che, a lungo andare, non la renderà più fruibile come prima. Allo stesso modo, nei luoghi in cui i turisti transitano o sostano, i prezzi aumentano a dismisura: dai panifici alle birrerie, dagli affitti alle compravendite immobiliari, dalle pizzerie alle caffetterie, dalle patate al pane, dal pomodoro all’acqua.

Dove si muovono i turisti, tutto aumenta di prezzo. E questo non è un tipo di economia “controllata” e basato sul rispetto del budget di un residente, abituato a un costo della vita decisamente più basso. A ciò si aggiunge il proliferare di servizi commerciali per il turista, tutti legati sempre al consumo: caffè, bar, ristoranti. È inutile negare che il centro storico stia vivendo una fase di avvio verso la turistification: da via Maqueda a Corso Vittorio Emanuele, i commercianti ormai richiedono ciò che porta loro profitto: la pedonalizzazione del suolo pubblico. Non più macchine, né cassonetti, ma tavolini e ombrelloni.

Si cura costantemente l’immagine della città e qui l’amministrazione comunale gioca un ruolo cruciale nell’innescare un processo di “turistification”: si diffonde un’immagine di Palermo «come città multietnica e ospitale  – che lo è sempre stata, attenzione, come insegna il Genio di Palermo – ma che, al netto di quel che accade nel Mar Mediterraneo, è un concetto identitario fortemente accentuato e sul quale si può speculare».

«Poi vi è la modellazione di un’immagine del centro storico, diretta sempre a pubblici specifici, come fulcro di fermenti culturali. Il centro storico è diventato di moda e molte famiglie giovani borghesi e giovani dal profilo culturale elevato, tendono a trasferirvi negli immobili lì presenti. Nelle zone della Kalsa, in alcuni strati del Castello a mare, di via Maqueda, di Corso Vittorio Emanuele e di Ballarò, gli immobili ristrutturati acquisiscono più valore. Di conseguenza aumentano gli sfratti: si manda via la gente in affitto per vendere l’immobile o a famiglie benestanti che molto spesso entrano nel circuito di Airbnb, oppure a imprenditori che vi apriranno un B&B».

Appare assai spietata, tanto quanto attuale, la profezia del Genio di Palermo, divoratore dei suoi. Non resta che fare pressione sull’amministrazione comunale, affinché si faccia carico del problema, regolamentando tale processo per non ledere il diritto alla casa dei propri cittadini che non intendano essere sfrattati dal quartiere in cui sono nati, né essere costretti ad abbandonare il loro spazio vitale per il carovita.


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