26 settembre 1980: l’Oktoberfest si tinge di sangue

Monaco. 26 settembre 1980, 22.19. Una bomba esplode di fronte l’entrata dell’Oktoberfest. 13 morti, 211 feriti e i resti di un ordigno rudimentale: è il più grave attentato del dopoguerra in terra tedesca, per la cui paternità bisognerà attendere la sentenza del processo due anni più tardi.

A piazzare la granata è stato Gundolf Köhler, studente in Geologia. Identificato solo attraverso il passaporto che portava con sé, al momento del suo ritrovamento è irriconoscibile: troppo gravi le ferite dell’uomo, orribilmente sfigurato al volto e privo di entrambe le braccia. Gli sono bastati 1,39 kilogrammi di TNT, nascosti all’interno di un cestino per l’immondizia, per seminare morte alla 146° rassegna del festival. Come i moderni attentatori dell’ISIS, Gundolf in più ha riposto la bomba all’interno di un cilindro di metallo, riempito di viti e chiodi per rendere ancora più devastante lo scoppio.

“Wehrsportgruppe Hoffmann”. Subito dopo l’attentato apparve chiara, in mezz’Europa, la matrice della strage. In Italia, due giorni dopo, L’Unità titola «La strage fascista a Monaco: 12 morti, molti feriti gravi»; Il Messaggero, sempre il 28 settembre, si domanda «Strage nazista?». Anche in Inghilterra, sulle pagine dell’autorevole The Times, si segue l’estrema destra: «La polizia tedesca arresta sei neo-nazisti dopo la morte del complice nell’esplosione di Monaco di Baviera». Una prima conferma arrivò dallo studio del passato di Köhler: il ragazzo era infatti appartenente al gruppo neonazista “Wehrsportgruppe Hoffmann”, letteralmente “Gruppo sportivo militare Hoffmann”, fondato nel 1973 da Karl-Heinz Hoffmann e sciolto dal governo tedesco nel 1980.

da Spiegel Online

La teoria dell’autore unico. Il 23 novembre 1982 l’inchiesta della Procura federale e della polizia bavarese giunse alle sue conclusioni: Gundolf Köhler? Un lupo solitario. “Perché lo ha fatto?” Risentimento personale verso lo Stato. Dalla sentenza dell’alta Corte uscì così il ritratto di uno studente depresso con una vita segnata da delusioni e relazioni fallimentari; un suicida. Né più né meno. A dispetto di un’inchiesta del Der Spiegel, datata 6 ottobre 1980” e intitolata “W il fascismo. L’internazionale di estrema destra e neo nazista nei paesi europei”, che descriveva la rinascita e i collegamenti tra le destre di tutto il continente, per i giudici tedeschi non vi fu alcun nesso politico. Il caso poteva dirsi chiuso.

Agosto-ottobre 1980: l’Europa in fiamme. Tra l’agosto e l’ottobre del 1980 Italia, Francia e Germania vennero scosse da tre diversi attentati. La prima a essere colpita fu Bologna con i suoi 85 morti. Poi Monaco con l’attentato all’Oktoberfest e infine Parigi, con l’attacco alla sinagoga ebraica di Rue Copernic. Tutte e tre le stragi avevano tratti comuni: la matrice di estrema destra, i poco sofisticati mezzi per compierle, una complicata vita giudiziaria e i mandanti\esecutori che rimarranno impuniti o avvolti da un alone di mistero.

Come accade per il processo sulla strage di Bologna, anche per quello tedesco è stata chiesta più volte la riapertura. La prima volta nel 1984, poi nel 2005 e nel 2009. Nonostante le reiterate richieste, i giudici non hanno però notato nessun elemento a favore di un ribaltamento della teoria dell’autore unico. Nessun collegamento con il terrorismo nero né con l’estrema destra europea.

Monumento l’attentato dell’Oktoberfest (1980)

I dubbi: dalla Stasi alla Palestina. I processi dovrebbero sgombrare il campo da dubbi ma così non è, dati i tanti interrogativi rimasti ancora oggi senza risposta.

Primo dubbio: la potente STASI, l’intelligence dell’ex Repubblica Democratica Tedesca, sapeva qualcosa dell’attentato? Rispondere positivamente o negativamente è impossibile. Quello che si sa per certo – o quanto meno si deduce dai documenti ritrovati all’indomani della caduta del muro di Berlino – è che gli 007 della Germania Est avevano in piena Guerra Fredda più di 80 agenti infiltrati ad Occidente, reclutati per la maggior parte tra i neonazisti.

Secondo dubbio: cosa ci faceva Hoffman nei campi dell’Olp – Organizzazione per la Liberazione della Palestina – a Beirut sin dal giugno 1980? Abu Ayad, nome di battaglia di Salah Khalaf, numero due dell’Olp di allora, intercettato dal Der Spiegel, in un’intervista del luglio del 1981 ammise di aver ospitato Karl-Heinz Hoffmann e il suo gruppo. Il perché? «Hoffmann ci ha raccontato di non essere affatto neofascista e che il suo gruppo […] era più che altro un’associazione sportiva, una specie di gruppo di scout. […] è un tipo intelligente. Ci ha ingannati».


Foto in copertina da Spiegel Online

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