E allora il PCI?

Di Francesco Puleo – La risoluzione del Parlamento europeo intitolata “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa” e approvata a larghissima maggioranza da un fronte che va dai sovranisti ai socialisti (dalla Lega al PD) ha suscitato un dibattito politico che in Italia ha coinvolto l’ANPI, diversi membri della sinistra radicale e del Partito Democratico e non pochi storici di professione.

La decisione del Parlamento europeo rappresenta il punto di arrivo di un percorso iniziato diversi anni fa con l’istituzione della “Giornata europea per il ricordo delle vittime del nazismo e dello stalinismo” nel 2008 e proseguita con la relazione del 2010 della Commissione europea dal titolo “La memoria dei crimini connessi dai regimi totalitari in Europa”. Se dunque la strada era già stata almeno in parte tracciata, si tratta comunque del primo pronunciamento ufficiale da parte del Parlamento europeo.

Numerosi i punti della risoluzione oggetto di polemiche. Primo tra tutti, il punto B in cui si legge che «ottanta anni fa, il 23 agosto 1939, l’Unione Sovietica comunista e la Germania nazista firmarono il trattato di non aggressione, noto come patto Molotov-Ribbentrop, e i suoi protocolli segreti, dividendo l’Europa e i territori di Stati indipendenti tra i due regimi totalitari e raggruppandoli in sfere di interesse, il che ha spianato la strada allo scoppio della Seconda guerra mondiale».

Chi non ha studiato la storia dal sussidiario sa bene che ad avere spianato la strada allo scoppio della Seconda guerra mondiale non è stato di certo il trattato di non aggressione tra URSS e Germania nazista. In quel momento, la notizia del patto è arrivata come un fulmine a ciel sereno e ha provocato uno shock nell’opinione pubblica internazionale. Tuttavia, per quanto inatteso e spregiudicato, non è meno incomprensibile dell’atteggiamento avuto dalle democrazie europee nei confronti di Hitler.

La celebre vignetta satirica del 1939 sull’accordo tra Hitler e Stalin

Sin dal suo insediamento, il Führer aveva espresso chiaramente l’intenzione di cambiare gli equilibri (o gli squilibri) imposti dalla Pace di Versailles, seguita alla sconfitta tedesca nella Prima Guerra Mondiale. L’annessione dell’Austria nel marzo 1938 e quella del territorio dei Sudeti (la minoranza tedesca in Cecoslovacchia) erano state accolte senza troppe rimostranze da parte di Inghilterra e Francia, convinte che dopo l’umiliazione subita dalla Germania le rivendicazioni territoriali di Hitler fossero tutto sommato legittime.

La politica dell’appeasement non fu abbandonata nei fatti nemmeno dopo l’annessione della Cecoslovacchia nel marzo del 1939. In tutto questo, l’Unione Sovietica era sempre stata tenuta ai margini del consesso internazionale delle grandi potenze, persino dopo la proposta di un’alleanza militare con i paesi democratici nell’agosto del 1939.

Il patto Molotov-Ribbentrop arriva una settimana dopo il rifiuto da parte di Inghilterra e Francia della proposta sovietica, esattamente il 23 agosto 1939. Tra le altre cose, in quel momento l’URSS è impegnata in un altro conflitto a est in Mongolia, contro il Giappone, alleato di Italia e Germania. Non è dunque un giudizio di parte quello secondo cui il patto di non aggressione con i nazisti rappresentasse l’unica possibilità per l’Unione Sovietica di garantire provvisoriamente la propria sicurezza da un’aggressione militare che, a una settimana dall’invasione preannunciata della Polonia, era considerata inevitabile.

Il testo della risoluzione del Parlamento europeo prosegue elencando altri fatti storici che tutti conosciamo: al punto C si fa riferimento alla spartizione della Polonia tra nazisti e sovietici e alla successiva annessione da parte dell’URSS di Finlandia, repubbliche baltiche e parte della Romania. Tutto vero. Peccato che non sia dedicata nemmeno una riga a quello che succede dopo il 1941, in seguito all’attacco tedesco alla Russia: la battaglia di Stalingrado, la resistenza dell’Armata Rossa, l’accordo con le potenze alleate contro il nazifascismo. E ancora, il fatto che fu proprio l’Armata Rossa a liberare Auschwitz e che, in tutta Europa, i partiti comunisti svolsero un ruolo fondamentale sia durante la resistenza antifascista sia dopo la guerra.

La Conferenza di Yalta tra Churchill, Roosevelt e Stalin

Per quanto sia innegabile che «per mezzo secolo altri paesi europei sono rimasti assoggettati a dittature, alcuni dei quali direttamente occupati dall’Unione sovietica o soggetti alla sua influenza» (punto D), è altrettanto indubbio che la storia del comunismo non sia solo quella dell’Unione Sovietica e delle democrazie popolari dell’Europa orientale. Nella risoluzione, la parola comunismo è costantemente associata a “dittatura”, “stalinismo” e “totalitarismo”. Difficile negare che il regime sovietico sia stato una dittatura, al netto invece delle ragionevoli obiezioni sull”utilità della categoria di “totalitarismo” nell’analisi storica e politica.

Ma pensiamo all’Europa occidentale e all’Italia in particolare. Qui, tuttora, la parola comunismo è associata anche a quello che è stato il più grande partito comunista di tutto l’Occidente, a ideologie e a persone che fanno parte a pieno titolo della storia di questo paese. Giusto per citarne alcune: Enrico Berlinguer, Peppino Impastato, Pio La Torre.

Evidentemente, o a Bruxelles non se li ricordano più oppure ritengono che le loro idee vadano completamente rimosse. Basti leggere i punti 17 e 18 della risoluzione: il Parlamento europeo «osserva la permanenza, negli spazi pubblici di alcuni Stati membri, di monumenti e luoghi commemorativi (parchi, piazze, strade, ecc.) che esaltano regimi totalitari (…) esprime inquietudine per l’uso continuato di simboli di regimi totalitari nella sfera pubblica e a fini commerciali e ricorda che alcuni paesi europei hanno vietato l’uso di simboli sia nazisti che comunisti». In altre parole, falce e martello e svastica sono la stessa cosa.

Siamo di fatto di fronte a un esercizio di revisionismo storico, perlopiù grossolano ma solo apparentemente fuori contesto. Basta guardare al punto 16 della risoluzione per comprendere il senso dell’operazione: il Parlamento «è profondamente preoccupato per gli sforzi dell’attuale leadership russa volti a distorcere i fatti storici e a insabbiare i crimini commessi dal regime totalitario sovietico; considera tali sforzi una componente pericolosa della guerra di informazione condotta contro l’Europa democratica allo scopo di dividere l’Europa e invita pertanto la Commissione a contrastare risolutamente tali sforzi».

Evidentemente, pur di placare le tensioni con il gruppo di Visegrad, composto da paesi visceralmente anticomunisti e anti-russi come Polonia e Ungheria, l’Unione Europea è disposta a sacrificare la verità storica sull’altare degli interessi geopolitici.