La Futilità che guida il popolo

Di Alessia Bonura – Attraverso l’immagine, sin dalle origini di essa, l’uomo – a partire dal primitivo sino a giungere all’artista dall’animo tormentato – ha voluto raccontare (e racconta) episodi di vita personale, di biblica o di storica memoria, oppure episodi legati o semplicemente ispirati alla politica e ai suoi regimi da cui, il più delle volte, dipendono le sorti di una nazione intera.

Quale miglior mezzo, dunque se non l’immagine così silenziosa ma “ingombrante”, taciturna presenza che svela, molto spesso, le verità e  le scomodità nascoste o omesse? Artisti, con la A maiuscola ne hanno fatto uso con le più lodevoli e rivoluzionarie delle intenzioni. E sono arrivati a noi, loro e le loro opere, le loro esperienze vissute e “narrate” grazie alle quali siamo, anche ad anni di distanza, partecipi e quasi protagonisti di quel che è stato,  per mezzo di uno sguardo soffermo su quelle immagini, rese eterne da colpi di pennello ma soprattutto dal desiderio della loro stessa esistenza rivelatrice.

Tra questi artisti (tanti, tantissimi) mi sovviene il romantico – artisticamente parlando, s’intende! – francese Eugène Delacroix che realizzò La Libertà che guida il popolo il celebre dipinto su tela custodito a oggi nel Museo del Louvre a Parigi. Definita per le sue caratteristiche un “quadro-manifesto” l’opera è, infatti, ispirata alla rivoluzione popolare, durata tre giorni, contro la politica di Carlo X, che ebbe luogo a Parigi nel Luglio del 1830 e che i francesi denominarono Trois Glorieuses.

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«La Liberté guidant le peuple»

In pieno stile romantico – intuibile tra l’altro dal medesimo aggettivo attribuito al “padre” della tela – ovvero corrente entro cui si fa particolarmente forte il concetto di Nazione intesa come insieme di lingua, cultura e tradizione popolare,  la tela ha chiaramente uno sfondo politico in cui viene esposta l’ideologia liberale dei romantici, fondamento dell’odierna Unione Europea.

L’opera è densamente popolata da uomini impavidi e battaglieri che avanzano e altri caduti, realizzati in chiave realistica quasi da rendere tangibile il pericolo e la lotta, elementi fortemente stigmatizzati nel romantico capolavoro. Tra i combattenti, tra l’altro, sembra essere presente lo stesso artista il quale si rappresentò in eleganti abiti borghesi, con tanto di cilindro e fucile alla mano.

Sicuramente, però, la figura che più risalta all’occhio è quella della Francia, che al contempo rappresenta altresì la Libertà, nelle vesti di una donna avvolta in abiti contemporanei a eccezione del seno semiscoperto. Monumentale e patriottica presenza, con il vessillo francese ben stretto nella mano destra e una baionetta nell’altra, la donna (libertà) guida il popolo – come, appunto, suggerisce il titolo dell’opera – esortandolo a seguirla e suggerendo così anche una sua diretta partecipazione alla battaglia in questione.

Delacroix ha ricollocato su tela tutte le sfaccettature di una Nazione, senza distinzioni di sorta: bambini, ragazzi, intellettuali, borghesi e popolani uniti nelle loro differenze per uno scopo comune, o, per meglio dire, un bene comune ovvero il rovesciamento di un regno e l’instaurazione di una monarchia costituzionale. In soldoni ha rappresentato l’unità di un popolo, coeso nelle idee e negli intenti, l’unità di un popolo stanco deciso a cambiare le sue sorti, a rivoluzionarle a costo della vita stessa. Dopo tutto è dalle necessità che nascono le idee ed è proprio dalle idee che si mette in moto un processo di evoluzione e, soprattutto, di rivoluzione ossia quella voglia di cambiamento necessaria per “andare avanti”.

La forza delle idee e la voglia di ribellione che stava alla base di queste erano, allora, un “fuoco comune” che ardeva negli animi, pronto a divampare in un incendio, qualora ve ne fosse stato bisogno.

Tornando per un attimo alla questio iniziale, l’immagine, oltre a essere, come già asserito, una sorta di racconto anacronistico, è anche spunto di riflessione. Personalmente, molto spesso, mi sono posta criticamente dinanzi a una tela, perlopiù di stampo ottocentesco, cercando di evidenziare analogie e differenze con il mondo contemporaneo o con circostanze ad esso inerenti.

Devo ammettere che La Libertà che guida il popolo racconta qualcosa che, purtroppo, è difficilmente riscontrabile oggigiorno: la condivisione di un obiettivo comune se non quando la presenza dello stesso e soprattutto l’idea di Nazione nella sua coesione.

Rifacendomi in particolar modo al nostro Belpaese credo che la nozione di popolo, dunque di collettività, di moltitudine possa prestarsi a delle vere e proprie contraddizioni. 

Mi spiego meglio: siamo un popolo quando sentiamo di condividere disagi comuni, invalidanti. Siamo un popolo quando si leva al cielo la medesima lamentela. Non siamo un popolo quando abbiamo la possibilità di scelta, avendo la fortuna del libero arbitrio. Non siamo un popolo quando non facciamo valere i nostri diritti, per i quali i nostri avi hanno combattuto e sudato e che sicuramente adesso si rivolteranno nella tomba per il cattivo uso – quando per il “non uso” – che ne stiamo facendo. Siamo un popolo unito nella vergogna, ma non siamo un popolo quando ribellarci alle situazioni scomode sarebbe l’unico modo per far sentire la nostra voce. La nostra esistenza. Ma forse non esistiamo. Esistiamo nel termine ma non nella concretezza di esso: in realtà siamo una polifonica lagnanza senza il coraggio di rimboccarsi le maniche per dare una smossa alla situazione di stasi/anarchia politica che ci sta inglobando e a cui stiamo assistendo passivamente e soprattutto volontariamente perché non vogliamo essere il mezzo del cambiamento. Vogliamo che il cambiamento si abbatta su di noi come la cosiddetta manna dal cielo che mai ci investirà, è risaputo. Il popolo, forse, non esiste più. O perlomeno esiste e lotta anche, ma per le battaglie “sbagliate”.

In Italia troviamo il popolo unito più che mai, nella sua vastità e dissomiglianza – dal giovanissimo, all’anziano dal ricco al meno abbiente – saldo nelle sue intenzioni e carico di risolutezza non dinanzi Palazzo Montecitorio ma in fila, al cospetto di quello che è il regno delle futilità quale un Apple Store, pronto a impossessarsi dell’iPhone di ultima tendenza. E non importa se costa un occhio della testa, non importa se lo finirà di pagare dopo 5 anni – tempo necessario per far uscire altri 5 modelli del medesimo marchio, tanto da far divenire quello acquistato ormai inevitabilmente “vintage” – in comode rate. I beni e le esigenze primarie passano in secondo piano pur di possedere quell’oggetto, status symbol di una società che ormai ha completamente perso la rotta e con essa le sue priorità.

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Risalgono al novembre scorso le “tristi” immagini e i relativi video che ritraggono parte del nostro popolo in fila, scalpitante pronto alla rissa – che non si sono fatti assolutamente mancare – pur di raggiungere l’oggetto del desiderio tanto agognato. Eccole le stesse identiche persone che il più delle volte si sono lamentate di un’Italia che dimentica i suoi figli, accodate anche per 48 ore in attesa dell’apertura dei cancelli di un effimero paradiso, accampandovisi addirittura con sacchi a pelo e letti “di fortuna”. Distesi, all’interno di un centro commerciale al solo fine di possedere un oggetto, agguerriti al solo fine di possedere un oggetto, determinati al solo fine di possedere un oggetto.

È dinanzi a ciò che la critica emerge. È dinanzi a ciò che si fa strada nella mia mente La Libertà che guida il popolo. Penso a questa donna, la Francia e al contempo la Libertà orgogliosa del suo popolo, penso a lei così nazionalistica e imponente. Penso ai disagi e alle idee che hanno dato vita a una rivolta. Penso a un popolo che esiste, attivo, che tiene al suo presente ma soprattutto al suo futuro.

E poi penso a oggi, alla realtà perlopiù triste che ci circonda e quella monumentale donna che sprezzante tiene il simbolo tricolore che la rappresenta soddisfatta del popolo che lotta per lei e con lei, sparisce in dissolvenza. Non è difficile immaginare una rivisitazione del capolavoro in chiave contemporanea:  al posto della bandiera la donna d’oggi, sicuramente dallo sguardo sornione, potrebbe stringere l’iPhone di nuova generazione in una mano e nell’altra qualsivoglia prodotto tecnologico che faccia scattare nella mente dell’ “uomo medio” il mantra lo voglio, lo desidero, deve essere mio. Ai suoi piedi, beoti disposti a tutto, anche a cadere sotto il caos che la bramosia crea.

È il quadro di oggi. Un quadro non dipinto ma che ha i colori e le sfumature della realtà. Non è più la Libertà che guida il popolo, ma la FutilitàAlla fine, anche a secoli di distanza la locuzione del poeta Giovenale sembra essere sempre più attuale: Il popolo due sole cose ansiosamente desidera: panem et circensens. Il resto,concretamente, è “fuffa”.