La Libia nei suoi rapporti con l’Italia

Di Martina Costa – Le intese bilaterali tra stati europei e stati africani sono databili già dagli anni 90, quando l’allora ministro dell’interno Napolitano, strinse rapporti prima con Tunisia e Marocco e in un secondo momento con Algeria ed Egitto.

Emblematico resta il caso della Libia, con cui l’Italia ha concluso Accordi di amicizia che, a fasi alterne, sono poi stati riconfermati negli anni. Nel 2000 veniva siglato l’Accordo per la collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico illegale di stupefacenti e sostanze psicotrope e alla immigrazione clandestina.

Fu poi nel 2008 che i rapporti si strinsero ancora di più, tramite un Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione, firmato a Bengasi dall’allora Presidente del Consiglio Berlusconi e Gheddafi, che recepiva i protocolli operativi sottoscritti l’anno precedente, per fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina. Questo trattato prevedeva il versamento di una somma di denaro molto elevata da parte dell’Italia, in cambio del controllo e della gestione delle partenze che la Libia doveva effettuare.

In questo periodo si è attivata una pratica di respingimento in mare, che ha portato alla condanna definitiva ella Corte Europea dei Diritti dell’Uomo  per i respingimenti in mare effettuati dal nostro paese nel maggio del 2009.

Inoltre è ragionevole supporre che questo tipo di accordi stipulati con governi dittatoriali, incapaci di assicurare la salvaguardia dei propri cittadini, vengono spesso utilizzati per estorcere favori. È fu così che nel 2010, durante l’anniversario per il Trattato di amicizia italo-libico, Gheddafi richiese 5 miliardi di euro l’anno per contrastare l’immigrazione clandestina, altrimenti, aveva detto, “l’Europa potrebbe diventare nera”.

Ciò che ha dato nuovamente efficacia al Trattato di amicizia del 2008, è l’accordo di cooperazione bilaterale tra Italia e Libia, firmato a Roma il 2 febbraio 2017. L’accordo era stato preceduto dai lavori della Commissione europea, a cui aveva fatto seguito il summit informale della Valletta , in cui l’Ue conferma una politica di chiusura delle frontiere.

Con il Memorandum d’intesa, l’Italia si impegna a fornire alla Libia supporto tecnico e tecnologico, oltre che economico e militare. Al fine di “chiudere il rubinetto che regola il flusso”, l’accordo prevede l’attivazione di finanziamenti europei e la formazione del personale libico.

Insomma, niente male per un paese che ad oggi non ha ancora sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Con questo accordo l’“Europa-fortezza” ha ribadito l’ennesimo piano per arginare i flussi migratori, eludendo il dovere di accogliere le persone in fuga da persecuzioni e guerre.

È evidente poi che questi accordi siano, oltre che di gestione dei flussi migratori, miranti ad accordi economici e alla sicurezza degli impianti petroliferi dell’ENI in Libia. È proprio per via dei suoi interessi che l’Italia cerca di mantenere una certa stabilità nel Paese, mantenendo una comunicazione attiva con gli principali dell’area. Da ultimo la visita del generale libico Haftar, comandante della milizia della Cirenaica e acerrimo nemico di Serraj nel controllo di Tripoli, a Roma. Gli interessi sono molteplici. Da parte sua un evidente bisogno si essere legittimato dall’Onu. Dall’altro lato, viene chiamato come interlocutore nella lotta contro il traffico di esseri umani e nella protezione degli impianti dell’ENI. Richieste ambigue, considerati i precedenti del generale, che solo ad agosto aveva minacciato di bombardare le navi italiane.

 In seguito all’attacco mediatico e politico da parte delle autorità italiane e libiche rivolto alle varie Ong che operano Ricerca e Soccorso in mare, la situazione è drasticamente mutata. Mente veniva vietato alle navi umanitarie di intervenire, gli italiani e gli europei addestravano le autorità Libiche per il pattugliamento dei confini marittimi. Il Codice imposto da Minniti è stato dunque funzionale all’allontanamento delle Ong dalle coste libiche al fine di garantire una zona SAR sotto l’esclusivo controllo delle autorità libiche.

Adesso che le coste vengono pattugliate dalla Guarda Costiera di Tripoli, sebbene le partenze siano notevolmente diminuite, le morti in mare non cessano, anzi aumentano e di queste, per giunta, non si sa nulla.

A detta di Nancy Porsia, giornalista ed esperta di Medio Oriente e Nord Africa “Quelli che oggi bloccano i migranti sono gli stessi che ieri li trafficavano e quindi il piano Minniti ha portato ad una istituzionalizzazione degli stessi trafficanti. Siamo di fronte ad una politica di cooperazione che interloquisce con trafficanti istituzionalizzati e alcuni ufficiali della Guardia costiera corrotti”.

Il lavoro d’inchiesta portato avanti dalla giornalista, mette in luce il sistema mafioso presente in Libia. Mentre anni fa, la Libia si rifiutava di operare nella guerra ai trafficanti e nella gestione dei flussi migratori, questa tendenza vediamo essere notevolmente mutata. L’Europa è riuscita a imporre quella dinamica di imprenditoria che, in assenza di uno Stato e senza governo, è stata affidata a gruppi di stampo mafioso, intenti a gestire il sistema delle milizie.

La situazione con la Libia risulta complicata, come complicata è del resto la sua condizione interna: priva di stato e di un governo, dilaniata da conflitti e da diversi gruppi armati che intendono prendere il controllo, soggiogata dalle potenze europee, protese a mantenere i loro interessi.


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