Il caos calmo del Partito Democratico

Doveva essere una sorta di anteprima della resa dei conti tra le diverse anime del partito, e invece, l’Assemblea Nazionale del Partito Democratico andata in scena domenica a Roma si è rivelata un’occasione di confronto e soprattutto di analisi del voto del 4 dicembre. «Non abbiamo perso, abbiamo straperso» ha ammesso senza se e senza ma Matteo Renzi, il quale però ha ricordato come sia «stato giusto provarci». Adesso, però, è il momento di «rimettersi in cammino non come singoli ma come comunità», ha continuato nel suo discorso. «E io per primo devo assumermi la responsabilità di dire che c’è più bisogno di noi che di io» ha detto. È un Matteo Renzi contrariamente alle attese, pacato nei toni nei confronti della minoranza dem. Nessuna polemica, semmai un’apertura al dialogo verso chi è stato un vero avversario nello scontro referendario.

Non è mancato quel sussulto d’orgoglio volto a rivendicare quanto fatto nel corso dei mille giorni a Palazzo Chigi. Ma, subito dopo, Renzi ha proseguito nel suo intervento diretto alla compattezza, all’unità del partito. Egli stesso ha ammesso di aver pensato, nelle ore immediatamente successive al voto, di avviare la fase congressuale del Partito Democratico. Una decisione che sarebbe stata per certi versi naturale, ma che al contempo avrebbe dato il via allo scontro tra le fazioni. «Ma la prima regola del nuovo corso deve essere ascoltare di più, io per primo», ha ribadito Renzi. E allora nessun congresso alle porte, come invece era nelle attese e nelle indiscrezioni. Nonostante ci siano state le prime avvisaglie di candidature, come nel caso di Roberto Speranza.

Inevitabile, dall’altra parte che Renzi rivolgesse uno sguardo all’immediato futuro del paese e il pensiero corre al nodo cruciale della legge elettorale. Messa la pietra sopra all’Italicum, il segretario del Pd non ha ancora mollato l’idea del maggioritario, quale schema elettorale preferenziale. Il proporzionale, secondo Renzi e non solo, segnerebbe il ritorno definitivo alla Prima Repubblica. E allora perché non rispolverare la legge che porta il nome dell’attuale capo dello Stato, il Mattarellum? La stessa che secondo Renzi rappresenta «l’unica proposta che ha una possibilità in tempo breve, che ha visto vincere centrosinistra e centrodestra». Una proposta concreta, che nasconde chiaramente l’intento di Renzi a voler marcare la mano sul tema elezioni. Su questo punto sì che l’ex premier sembra alzare i toni del dibattito politico. Consapevole forse che altri mesi di governo nazionale non farebbero altro che aiutare i populismi e in particolare il Movimento Cinque Stelle. Il Mattarellum, inoltre, da un altro punto di vista, potrebbe essere uno strumento utile per ricompattare le correnti del partito. E, infatti, in questo senso, nei vari interventi si sono denotati segnali positivi di approvazione da parte della minoranza dem. Era stata d’altronde proprio quest’ultima, in alcuni suoi componenti, a riproporre il Mattarellum, durante le fasi aspre della campagna referendaria, in alternativa all’Italicum e in una versione corretta.

Dall’Assemblea Nazionale, quindi, il Pd non esce quantomeno ulteriormente lacerato nelle sue divisioni interne. Ne viene fuori una sorta di tregua tra le parti, la cui durata e resistenza è di difficile previsione. A sensazione, però, la resa dei conti potrebbe essere solo stata rimandata in attesa degli eventi delle prossime settimane. Il giro di boa potrebbe essere la data della sentenza della Consulta che, bocciando o meno l’Italicum, spingerebbe il partito a prendere una posizione da presentare poi al Parlamento.  Almeno che non sopraggiungano sorprese dall’esterno e dagli altri partiti, come le questioni romane del Movimento Cinque Stelle, potrebbero fungere da molla soprattutto per Renzi ad accelerare in direzione delle elezioni e di conseguenza verso le eventuali primarie del Pd.  

Mario Montalbano