Referendum sul Jobs Act, se ammissibile sarà il panico

Di Daniele Monteleone – L’11 Gennaio 2017: è la data che sta infiammando il dibattito politico e che riguarda l’esame di ammissibilità da parte della Consulta sui tre quesiti referendari proposti dalla Cgil e sostenuti da 3 milioni di cittadini firmatari, quesiti tutti abrogativi di alcuni punti del Jobs Act. Queste richieste sono già state dichiarate conformi a legge dall’Ufficio centrale per il referendum presso la Cassazione, con un’ordinanza depositata il 9 dicembre 2016. Sarebbe dunque l’ennesimo banco di prova per il Governo – per la verità, per quello da poco caduto e raccolto dal neo presidente del Consiglio Paolo Gentiloni – che rischia di far annegare definitivamente non solo Matteo Renzi e le sue riforme, ma anche l’intero Partito Democratico.

Ci sono degli intrecci particolari legati a un ipotetico appuntamento referendario – qualora la Consulta dichiarasse ammissibili i tre quesiti – che avrebbe luogo tra la tarda primavera e l’estate dell’anno prossimo: innanzi tutto la durata del governo Gentiloni rappresenta uno snodo fondamentale per lo svolgimento di un nuovo referendum da qui a sei mesi. Uno scioglimento anticipato delle Camere farebbe inevitabilmente slittare la consultazione referendaria di un anno, proprio in conseguenza dell’inizio di una nuova campagna per le elezioni politiche che devono produrre un nuovo Parlamento. L’alternativa che fermerebbe il referendum sul Jobs Act sarebbe l’approvazione di leggi o modifiche atte ad andare incontro alle proposte abrogative della Cgil, opzione altamente improbabile se consideriamo che la maggioranza e il governo sono sostanzialmente gli stessi che hanno abbracciato questa riforma del Lavoro.

Lo spauracchio referendario sulla riforma del Governo Renzi è velatamente confermato dalle dichiarazioni – che suonano quasi superstiziose – del Ministro del Lavoro Giuliano Poletti: “Se si vota prima del referendum il problema non si pone. Ed è questo, con un governo che fa la legge elettorale e poi lascia il campo, lo scenario più probabile.” Il Ministro ha però precisato che le sue parole erano semplici constatazioni della realtà dei fatti, rifiutando ogni strumentalizzazione.

In questi giorni di lotte in Aula durante le votazioni per la fiducia al governo, Gentiloni ha fatto riferimento a un proseguimento dell’operato di Renzi, oltre all’intenzione – obbligata – di ottenere nel minor tempo possibile una nuova legge elettorale. Ma dal suo discorso si è potuto comprendere che la strada del nuovo governo, fresco di doppia fiducia, può prolungarsi fino alla naturale scadenza del mandato nel 2018. Un altro anno – e poco più – di governo a meno che non arrivi la seconda batosta, il colpo di grazia sempre per mano di una consultazione popolare (stavolta verrebbe da un abrogativo). Ma allora, serve chiarezza: un rapido arrivo alle elezioni in primavera è un vantaggio per il solo Partito Democratico a discapito degli interventi che vengono richiesti da 3 milioni di firmatari – e forse di più – o un vantaggio a priori per la possibilità di avere un Parlamento legittimato da una “buona” legge elettorale?

Sembrerebbe che tutto il Parlamento sia d’accordo nel correre al voto – fatta eccezione per le modalità in cui farlo – compresa l’opposizione che si ritiene dalla parte dei cittadini e di quei venti milioni di Italiani che hanno votato No il 4 Dicembre. Ma cosa ha risposto Susanna Camusso? Il segretario generale Cgil ha apostrofato il Ministro del Lavoro a proposito del possibile slittamento del referendum: “mi pare dotato di una palla di cristallo” e ha definito la fretta di arrivare alle elezioni come “la mancanza di coraggio ad affrontare i problemi” anche se conclude sottolineando l’importanza dell’espressione popolare sul merito delle proposte referendarie, mettendo in secondo piano la prossimità della data del voto.

Rincara la dose Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, che in un’intervista di Askanews ha dichiarato: “E’ un po’ singolare che un governo che ha appena chiesto e ottenuto la fiducia del Parlamento pensi che il suo primo problema sia chiedere la sfiducia per andare a votare. E’ un paradosso, una schizofrenia” e ha continuato ribadendo che “se la Corte Costituzionale l’11 gennaio conferma quanto ha fatto la Cgil, i cittadini italiani siano messi nelle condizioni di poter decidere e votare per cancellare leggi sbagliate”.

Allarmato è invece il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia che avverte: “Se non prendiamo posizioni su alcune cose l’ansietà del sistema Paese di giorno in giorno aumenta. Abbiamo fatto il Jobs Act adesso c’è il referendum. Se arriva il referendum cosa accade? Io imprenditore attendo e non assumo.

Oltre ogni affermazione o dissertazione sulla condotta del governo e sul diritto d’espressione dei cittadini, se la Consulta dichiarerà ammissibili i quesiti referendari, sarà stabilito che la consultazione popolare potrà avvenire tra il 15 Aprile e il 15 Giugno del 2017. A quel punto solo un suicidio dell’esecutivo, sicuramente collegato al raggiungimento di una legge elettorale applicabile senza ulteriori contestazioni, potrebbe stoppare il referendum sul Jobs Act e rinviarlo a data da destinarsi nel 2018 inoltrato. Ad oggi sembra che il Pd abbia trovato panico per i suoi denti.


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