Obama fra crisi economica e politica commerciale (prima parte)

La politica economica internazionale degli Stati Uniti sotto la presidenza Obama si è sviluppata  principalmente su due linee guida: il contrasto alla crisi globale e una nuova possibile definizione degli accordi commerciali.

La crisi economica mondiale

La crisi economica con i suoi effetti sui mercati globali ha rappresentato la sfida primaria per l’amministrazione Obama che, insieme alle manovre economiche interne, ha cercato di mettere in campo delle soluzioni internazionali concertate. Il motivo principale di tale iniziativa è da ricercarsi nel tentativo di mantenere alta la domanda mondiale, cercando di arginare la caduta di quella mondiale privata, attraverso l’uso sapiente della politica fiscale degli Stati. Le ragioni economiche erano evidenti fin dall’inizio: la crisi finanziaria stava contagiando l’economia reale scatenando una forte recessione che avrebbe fatto aumentare i disoccupati e rinviare gli investimenti. Solo, quindi, una serie di tagli fiscali e/o di spesa pubblica avrebbero potuto rallentare il proliferare di questi effetti negativi. Inoltre, l’efficacia di tali misure sarebbe stata maggiore se tutte le economie avanzate e in via di sviluppo avessero portato avanti simili politiche stimolando le importazioni e le esportazioni globali.

In questo scenario, l’amministrazione americana si candida così a promuovere e a guidare il coordinamento attivo tra le maggiori economie globali.

Inizialmente queste idee fanno breccia nei paesi alleati e fra le maggiori economie, come diventa evidente all’interno delle riunioni del G-20 che hanno luogo nel 2009. Anche le politiche economiche, oltre gli intenti dimostrati al G-20, sembrano coerenti e concertate: si assiste a manovre statali fatte di tagli fiscali o di maggiore spesa a livello mondiale. In sintesi vengono fatte politiche di stimolo. Naturalmente la sensibilità e la forza di queste politiche non sono uguali in tutti i paesi: alcuni mettono in campo risorse copiose – un esempio al riguardo è la manovra di stimolo varata negli Stati Uniti – altri  paesi, invece, stanziano meno con un occhio costante – a tratti estenuante – alla  stabilità dei bilanci pubblici. Inoltre, un’altra motivazione porta l’amministrazione Obama ad incentivare politiche economiche concertate ossia quella di evitare una corsa a manovre di svalutazione valutaria per sostenere il proprio export a danno dei paesi concorrenti, una situazione nella quale prevalgono politiche nazionali “egoistiche”.

Questo clima favorevole termina nel 2010 al G-20 di Toronto, quando i paesi principali dell’Unione Europea presenti sostengono che la loro futura politica economica privilegerà il consolidamento fiscale. In Europa stava cambiando tutto, la crisi finanziaria si stava trasformando nella crisi di debito sovrano con diversi paesi della periferia pronti ad implodere o già implosi. La risposta a questa crisi europea portata avanti dai paesi dell’Eurozona, Francia e Germania in primis, era fondata sulla stesura e ratifica del Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria, comunemente conosciuto come Fiscal Compact, le cui trattative cominciavano nella primavera del 2010 e la cui entrata in vigore finale arriverà nel 2013. A partire dal 2010 le ricette di politica economica fra Stati Uniti e Unione Europea si divaricano creando qualche tensione fra i paesi. In particolare l’amministrazione Obama attacca diverse volte la politica economica tedesca colpevole di non stimolare adeguatamente la domanda europea e di non ridurre l’enorme surplus di bilancia commerciale. Degne di nota sono le critiche scritte nell’ottobre 2013 sul Report al Congresso del Tesoro americano sulle politiche economiche e dei tassi di cambio. In quel documento le critiche alla politica economica tedesca sono molto forti e circostanziate:

To ease the adjustment process within the euro area, countries with large and persistent surplus need to take action to boost domestic demand growth and shrink their surpluses. Germany has maintained a large current account surplus throughout the euro area financial crisis, and in 2012, Germany’s nominal current account surplus was larger than that of China. Germany’s anemic pace of domestic demand growth and dependence on exports have hampered rebalancing at a time when many other euro-area countries have been under severe pressure to curb demand and compress imports in order to promote adjustment. The net result has been a deflationary bias for the euro area, as well as for the world economy. Stronger domestic demand growth in surplus European economies, particularly in Germany, would help to facilitate a durable rebalancing of imbalances in the euro area. The EU’s annual Macroeconomic Imbalances Procedure, developed as part of the EU’s increased focus on surveillance, should help signal building external and internal imbalances; however, the procedure remains somewhat asymmetric and does not give sufficient attention to countries with large and sustained external surpluses like Germany.

L’amministrazione Obama accusa chiaramente la Germania di creare una situazione di ristagno di domanda nell’Unione e nel mondo, oltre che provocare una forte spinta deflazionista sia a livello europeo che mondiale. Nello stesso documento si sottolinea altresì come paesi, quali la Cina, in campo economico abbiano mostrato una maggiore collaborazione e politiche economiche maggiormente adeguate alla persistente situazione di crisi economica internazionale.

Francesco Paolo Marco Leti – Luciana Lotta