L’America che sfida Trump

Le primarie del Partito Democratico che eleggeranno lo sfidante di Donald Trump alle prossime presidenziali di quest’anno entrano nel vivo. Dopo le elezioni in Iowa, ieri è stato il turno del New Hampshire e a scrutini quasi ultimati il risultato sembra chiaro: la vittoria va a Bernie Sanders, senatore socialista del Vermont, che con circa il 26% dei voti ha battuto quello che al momento sembra il suo principale competitor, Pete Buttigieg, ex sindaco di South Bend (Indiana) e più giovane candidato alle primarie, che in New Hampshire si aggira intorno al 24%.

Un’elezione, quella del New Hampshire, che a differenza dell’Iowa è filata liscia. In Iowa infatti i risultati sono stati contestati e ufficializzati con notevole ritardo: il sistema dei caucus, già di per sé molto complesso, è stato reso ancora più complicato dall’introduzione di un sistema informatico per il conteggio dei voti. L’applicazione non ha funzionato come avrebbe dovuto, lasciando adito a sospetti circa la sua affidabilità e provocando un ritardo di diversi giorni.

Solo lunedì sono stati ufficializzati i risultati, con la vittoria a metà di Pete Buttigieg: mentre in termini assoluti il numero maggiore di voti è andato infatti a Bernie Sanders, Buttigieg ha conquistato un numero più alto di delegati (14, contro i 12 di Sanders), in virtù del sistema di ripartizione dei voti all’interno dei vari distretti.

Di segno uguale e contrario lo scenario del New Hampshire, con la vittoria di misura di Bernie Sanders, ben al di sotto delle aspettative. Basti pensare che quattro anni fa, quando Sanders si presentava per la prima volta come avversario della futura candidata Hillary Clinton, la vittoria era stata ben più consistente, con più del 60% dei voti e un margine del 22% rispetto alla Clinton.

Bernie Sanders

Rispetto a quattro anni fa, il quadro appare comunque radicalmente cambiato. Prima di tutto per la variabile Donald Trump, sulla cui affermazione nessuno dei commentatori e degli analisti più avveduti aveva scommesso e che adesso si presenta come unico candidato del Partito Repubblicano, dopo quattro anni di presidenza a dir poco turbolenti.

Trump ha infatti polarizzato il sistema politico americano, spostando a destra il suo partito e, dall’altro lato, aprendo uno spazio nuovo ai candidati più radicali all’interno del Partito Democratico. Nelle elezioni di midterm del 2018 si sono infatti imposte figure di rottura come Alexandria Ocasio Cortez e Ilhan Omar, che proprio insieme a Bernie Sanders hanno contribuito a spostare l’agenda politica del Partito molto più a sinistra di quanto non fosse mai stata in passato.

Una svolta che ha raccolto consensi all’interno dell’elettorato più giovane e liberal, come dimostrano i dati su questi primi due turni delle primarie: nonostante la sua veneranda età di 78 anni, Bernie Sanders fa breccia tra i millennials. Buttigieg sembra invece conquistare consensi al centro, a scapito di candidati come Joe Biden, il quale sembra decisamente in affanno: sia in Iowa che in New Hampshire, i risultati dell’ex vice di Obama sono talmente deludenti che lo stesso Biden ha annullato gli eventi di chiusura della campagna elettorale.

Un altro candidato in difficoltà è Elizabeth Warren, professoressa di legge ad Harvard ed esponente della sinistra del Partito democratico, in prima linea nella lotta contro le elite finanziarie di Wall Street dopo la crisi del 2008. Il suo profilo non ha attirato finora gli stessi consensi di Sanders e Buttigieg e il motivo sembra evidente: il primo sembra imporsi su di lei all’interno dell’elettorato più radicale, il secondo in quello più moderato.

Pete Buttigieg

La sfida resta comunque aperta, sia perché siamo ancora all’inizio sia perché a breve scenderà in campo Michael Bloomberg, l’ex sindaco di New York che punta a scompaginare il quadro spostando la piattaforma politica al centro. Bloomberg è uno degli uomini più ricchi del mondo, molto più ricco di Donald Trump, e ha già iniziato a spendere enormi quantità di denaro nella campagna elettorale: nel solo mese di gennaio, le sue spese in spot televisivi e sul web hanno superato i 300 milioni di dollari, più di quanto abbia speso finora qualsiasi altro candidato democratico. E le previsioni sulle spese per la campagna elettorale suggeriscono che questo sia solo l’inizio.

I numeri sui finanziamenti ci dicono anche altro, soprattutto sull’elettorato che sostiene i diversi candidati democratici. Mentre infatti il più moderato Buttigieg ha raccolto circa 76 milioni di dollari dai giganti del tech (Microsoft, Google, Amazon), Sanders è il candidato che ha ottenuto più donazioni da parte della working class. Inoltre, in base ai sondaggi Sanders sta facendo breccia tra i neri e i latinos, rispetto ai quali Buttigieg sembra invece in difficoltà.

La crescita dei consensi di Sanders, sia nella fascia più giovane che in quella più povera e meno istruita, è dovuta a un fatto molto semplice: il suo discorso politico sembra intercettare sia i desideri di una generazione (quella dei millennials) sempre più critica nei confronti del capitalismo americano sia i bisogni di una working class sempre più insicura e impoverita, la stessa che in parte non ha votato la Clinton alle ultime elezioni e in parte minore è passata da Obama a Trump.

E da questo punto di vista il suo programma elettorale lascia ben poco spazio ad ambiguità: sanità pubblica e universale, istruzione universitaria gratuita e cancellazione del debito studentesco, Green New Deal per affrontare il cambiamento climatico, investimenti nell’edilizia popolare e nell’istruzione, salario minimo di 15 dollari l’ora, leggi a favore dei sindacati e contro il gender-gap retributivo, smantellamento dei centri di detenzione privata, politica estera non-interventista.

Una piattaforma politica radicale, che suscita più di un malumore nell’establishment americano ma che si è imposto sull’agenda politica del paese e del partito. Basti pensare che nel suo discorso sullo stato dell’Unione, Donald Trump ha fatto riferimento al “tentativo socialista” di distruggere la sanità americana, ma anche al fatto che il programma dei candidati democratici più moderati è molto più a sinistra di quello di Obama del 2008.

Come detto poc’anzi, la partita resta tuttavia apertissima. Anzitutto per la scarsa rappresentatività, sia a livello politico che a livello sociale e demografico, di due stati come Iowa e New Hampshire: entrambi a stragrande maggioranza bianca, con un’economia piuttosto florida trainata in buona parte dal settore dei servizi. L’importanza politica dell’Iowa è data piuttosto dal fatto che storicamente i caucus in Iowa hanno sempre visto vincere il futuro candidato democratico alle presidenziali, con l’unica eccezione del 1992.

Il prossimo appuntamento è quello del 22 febbraio in Nevada e del 29 febbraio in South Carolina ma per capire veramente qualcosa di queste elezioni primarie e fare previsioni sulle presidenziali di novembre occorre aspettare il 3 marzo, giorno del cosiddetto Super Tuesday: in quel giorno infatti ben 14 stati voteranno per le primarie e quella sarà l’occasione per testare con mano il peso della variabile Bloomberg. Non resta che aspettare.


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