Ponte sullo Stretto di Messina, la promessa è un debito

La promessa elettorale per eccellenza, la realizzazione del Ponte sullo Stretto tra Sicilia e Calabria, è da sempre un suicidio economico, ed è già un debito per le tasche dei contribuenti. Come ha intenzione di portarla avanti il governo Meloni?


È la promessa politica di tutte le promesse: il Ponte sullo Stretto di Messina non ha solamente attraversato epoche, ma anche governi e leader molto diversi tra loro. Ogni volta è stata discussa la fattibilità e le relative condizioni economiche di realizzazione, con tutte le polemiche del caso. È una questione così antica che già nel 251 a.C. se ne trova traccia nelle cronache di Plinio Il Vecchio, il quale racconta come il console romano Lucio Cecilio Metello volle realizzare un ponte fatto di barche e botti tra la Sicilia e la Calabria per il trasporto degli elefanti sottratti ai cartaginesi.

Mentre alla fine dell’Ottocento in Francia si discuteva un attraversamento della Manica, in Italia vennero analizzate due proposte per un Ponte sullo Stretto, tra il 1870 e il 1883. Un evento, però, ha spazzato via ogni discussione: il terremoto di magnitudo 7,1 del 1908 che distrusse quasi completamente la città di Messina e uccise circa 80 mila persone. Viene considerato il più distruttivo e potente d’Europa nella storia recente. Ed è dopo questo evento che, per circa mezzo secolo, divenne quasi tabù parlare del Ponte.

Anche se si trova qualche cenno dell’epoca di Mussolini – persino il regime fascista non volle rischiare tanto con il Ponte sullo Stretto – un primo rilancio dell’idea arriva nel 1969. In quegli anni si prova questa operazione utile a «collegare la Sicilia all’Europa», come se ogni altra isola del Mediterraneo fosse irrimediabilmente perduta senza la possibilità di muoversi in continuità col cemento continentale. 

Nel 1981 il governo Democristiano di Arnaldo Forlani approva la soluzione del ponte sospeso a unica campata. Sembra tutto pronto, Bettino Craxi annuncia qualche anno dopo con proclami trionfali: «Alla fine dell’88 ci sarà l’apertura dei cantieri. Entro il 1998 avremo il ponte». L’opera mirabolante arriva a ispirare anche la Disney, con cui nel 1982 esce “Zio Paperone e il Ponte di Messina”.

Lo scoppio di Tangentopoli blocca tutto. Da Prodi a Rutelli e, quindi, Berlusconi, tutti gli schieramenti sostengono il ponte, anche se con diverso entusiasmo. C’è chi ne fa un modo per spezzare “l’isolamento del Mezzogiorno” – e torniamo agli anni Sessanta – e chi lo rende il caposaldo di una campagna elettorale al Sud. Nel 2004 il ministro Lunardi del governo Berlusconi afferma: «Lo possiamo dire con commozione, orgoglio e certezza: il ponte sarà realizzato». Il successivo governo di centrosinistra, nel 2006, bloccherà il Ponte sullo Stretto: Prodi ha cambiato idea. Inoltre il suo ministro dei Trasporti, Bianchi, afferma senza troppi fronzoli: «Il Ponte sullo Stretto è inutile e dannoso».

Tra i governi di Mario Monti, Paolo Gentiloni ed Enrico Letta ci si muoverà per sopprimere i finanziamenti pubblici destinati all’opera e nel 2013 la Stretto di Messina Spa, la società pubblica creata appositamente nel 1981, viene messa in liquidazione, senza riuscirci davvero. Il progetto, intanto, decade e lo Stato italiano deve pagare anche una penale di 300 milioni di euro alla Impregilo, la società che aveva vinto l’appalto diversi anni prima e che ultimamente ha chiesto altri 500 milioni di euro di penali.

Dopo il pallido tentativo del governo Renzi, come se non bastassero i debiti pubblici già accumulati, anche il Governo Draghi stanzia 50 milioni di euro per uno studio di fattibilità tecnico. E poi? Poi arriva Matteo Salvini. 

È il decreto legge n. 35/2023 dell’attuale governo Meloni che porta con sé le “disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria”. «È una decisione storica, definitiva, attesa da più di 50 anni» afferma il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e vice premier, nonché erede di quella Lega Nord antimeridionale che nel collegare la Sicilia con un ponte avrebbe visto solo uno spreco di denaro pubblico e un’operazione inefficiente.

Di questo ennesimo Ponte sullo Stretto sponsorizzato da Matteo Salvini – anche lui, storicamente ha cambiato idea – si sa che “ripartirà” dal progetto del 2011. Un ponte a campata unica, dalla lunghezza complessiva di 3.666 metri, composto da sei corsie stradali e due binari ferroviari. Non si sa quasi niente delle coperture economiche. La palla passerebbe dunque al Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, lo stesso che accoglieva con favore investimenti esteri, anche e soprattutto quelli abbondanti cinesi. Ma la Cina, nelle parole di Salvini, «non entrerà nei lavori per il Ponte». 

Il tratto sospeso del Ponte, per come previsto nel progetto, è circa il doppio del ponte giapponese di Akashi Kaikyo, tra i più lunghi al mondo – il più lungo del mondo è il ponte dei Dardanelli, inaugurato lo scorso anno – inoltre, il rischio sismico tra Sicilia e Calabria e “l’allargamento” dello Stretto di qualche millimetro ogni anno non rassicurano affatto sulla stabilità della struttura. 

ponte sullo stretto render

Nel 2021, però, era stato depositato un progetto per un ponte a tre campate, dato che «rispetto al ponte a campata unica, potrebbe avere una maggiore estensione complessiva e mantenere al tempo stesso la lunghezza della campata massima simile a quelle già realizzate altrove. E quindi di usufruire di esperienze consolidate, anche dal punto di vista di tempi e costi di realizzazione». Eppure si è scelto il progetto considerato dal governo Berlusconi.

Quali costi si conoscono? Mentre il governo accelera sull’iter con il dl ponte, il Documento di Economia e Finanza per il 2023, afferma che «il costo dell’opera oggetto di concessione risulta di 13,5 miliardi di euro. Le opere complementari e di ottimizzazione alle connessioni ferroviarie, lato Sicilia e lato Calabria si stima avranno un costo di 1,1 miliardi di euro. Le opere di ottimizzazione e complementari alle connessioni stradali, invece, di minor impatto economico, verranno meglio definite e dettagliate nell’ambito dei prossimi contratti di programma con ANAS». 

Ma soprattutto, il Documento mette nero su bianco che «ad oggi non esistono coperture finanziarie disponibili a legislazione vigente; pertanto, queste dovranno essere individuate in sede di definizione del disegno di legge di bilancio». Quali saranno le fonti di finanziamento previste? Ovvero, da dove bisognerà togliere miliardi per farli convergere nella realizzazione del Ponte, l’azzardo elettorale di Salvini e del governo Meloni? Le risorse saranno reperite «dalle Regioni [Sicilia e Calabria in particolare], in particolare, sui Fondi per lo Sviluppo e la Coesione in sede di definizione della legge di bilancio 2024, della copertura finanziaria pluriennale a carico del bilancio dello Stato; i finanziamenti contratti sul mercato nazionale e internazionale». Altre ipotesi per i finanziamenti considerano «le interlocuzioni con finanziatori istituzionali quali la Banca europea degli investimenti e Cassa depositi e prestiti; il programma Connecting Europe Facility – CEF».

Un altro interrogativo che coinvolge un paradosso sul “ponte dell’unione nazionale”: con l’autonomia differenziata che vuole portare avanti il governo Meloni e la portata nazionale del progetto del Ponte sullo Stretto, come contribuiranno le altre Regioni italiane? Su Il Sole 24 ore si legge che «A rimescolare le carte, certificando le incertezze sui numeri, è arrivato anche il dossier della Camera dei deputati – il numero 64 del 9 maggio – sulla verifica delle quantificazioni. Nelle 11 pagine della relazione, i funzionari di Montecitorio sollevano perplessità non solo sull’assenza di coperture ma proprio sulla mancata indicazione dell’ammontare delle risorse per la costruzione dell’opera». 

In conclusione, l’unico fondo che si intravede nell’affare del Ponte dello Stretto sembra quello raschiato per recuperare gli ultimi spiccioli che servirebbero a costruire questa gigantesca bandiera elettorale tra Scilla e Cariddi.


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