Migranti, tra sbarchi selettivi e carichi residuali. La “farsa” dei porti chiusi
A quasi un mese dal suo insediamento, il governo Meloni ha di fatto ripreso la politica dei porti chiusi, violando obblighi internazionali e diritti dei migranti, a fronte di un’emergenza ancora una volta inesistente.
Déjà-vu, replay, replica. Quella che sta avvenendo in Italia in tema di immigrazione è di fatto l’ennesima “farsa” dei porti chiusi. La stessa che, nel 2019 – con l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, durante il primo governo Conte – aveva bloccato le navi delle ong preposte al salvataggio dei migranti in mare, a fronte di un’emergenza sbarchi inesistente.
A quasi un mese dal suo insediamento, sulla base di numeri di arrivi via mare costanti, il governo Meloni è riuscito nell’intento di “gridare” alla crisi migratoria, con il solo scopo di attirare l’attenzione dell’UE e degli Stati europei sulla gestione dei flussi. Ma andiamo per gradi.
I migranti bloccati al porto di Catania
A inizio novembre, due navi, la Humanity1 dell’ong SOS Humanity e la Geo Barents di Medici Senza Frontiere, con a bordo centinaia di migranti soccorsi nel Mediterraneo, sono rimaste bloccate per giorni al porto di Catania.
Il governo italiano ha preteso che a scendere fossero solo bambini, donne e soggetti fragili, non autorizzando, per entrambe le navi, lo sbarco dei maschi adulti in buona salute, costretti a rimanere a bordo.
Lo sbarco parziale o “selettivo” – come lo ha definito la stampa, per sintetizzare i discorsi dell’esecutivo di destra rispetto all’ingresso dei migranti in Italia – è dovuto essenzialmente a un decreto interministeriale, firmato venerdì 4 novembre dal nuovo ministro dell’Interno (Piantedosi), della difesa (Crosetto) e delle infrastrutture (Salvini), che vieta alle navi delle ong di «sostare nelle acque territoriali italiane, oltre il termine necessario ad assicurare le operazioni di soccorso e assistenza alle persone che versino in condizioni emergenziali e in precarie condizioni di salute segnalate dalle competenti Autorità nazionali».
Secondo il decreto del nuovo esecutivo, una “selezione” all’interno delle imbarcazioni umanitarie entrate nelle acque territoriali italiane va fatta tra migranti in cattive condizioni psicofisiche o comunque vulnerabili, come ad esempio donne e bambini, e il “carico residuale” in grado di riprendere il mare, assieme all’equipaggio, sulla medesima imbarcazione battente bandiera straniera.
“Carico residuale” è la locuzione con la quale, in conferenza stampa, il ministro Piantedosi ha definito i migranti “in buone condizioni” ancora a bordo delle navi, dimenticandosi (probabilmente) di stare parlando di persone e non di merci, e sollevando perciò non poche polemiche.
La violazione degli obblighi di diritto internazionale
La politica dei porti chiusi, ripresa di fatto dal governo Meloni, ha provocato notevoli perplessità anche da un punto di vista giuridico, dal momento che le motivazioni addotte dal nuovo Ministro dell’Interno per bloccare le navi sono apparse piuttosto fragili, con interpretazioni creative degli obblighi internazionali sul soccorso in mare e delle norme sul diritto d’asilo.
Secondo il diritto internazionale, gli Stati sono obbligati a garantire il soccorso e lo sbarco dei migranti in un luogo sicuro nel rispetto del principio di non respingimento in Paesi non sicuri (come la Libia), secondo quanto affermato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra.
La Convenzione sulla ricerca e il soccorso in mare (meglio nota come Convenzione SAR, Search and Rescue, o Convenzione di Amburgo), impone l’obbligo di soccorso a tutti gli Stati coinvolti e, dunque, anche al comandante della nave che ha effettuato il soccorso.
Francesca De Vittor, ricercatrice in Diritto internazionale all’Università Cattolica di Milano, in un intervento del 7 novembre scorso, ha sottolineato che la stessa Convenzione di Amburgo definisce il termine “soccorso” come «quell’operazione volta a trarre fuori dal mare le persone in pericolo, e quindi portarle a bordo della nave, provvedere alle loro immediate necessità e sbarcarle in un porto sicuro».
«È la stessa Convenzione – continua De Vittor – che alle sue prime norme ci dice che l’operazione di soccorso si conclude solo quando tutte le persone sono sbarcate, preoccupandosi di precisare che nessuna distinzione è possibile tra un tipo o un altro tipo di naufraghi, quando impone a tutte le parti di assicurare che sia prestata assistenza a chiunque si trovi in condizioni di pericolo in mare indipendentemente dalla nazionalità, dallo status o dalle circostanze in cui queste persone siano trovate».
In altri termini, la Convenzione esclude una distinzione tra naufraghi. A bordo, tutti i naufraghi sono ugualmente vulnerabili e devono perciò essere fatti sbarcati.
Piantedosi ha giustificato l’emissione del decreto contro la Humanity1 sulla base dell’articolo 1 comma 2 del decreto legge 130/2020, il cui testo convertito in legge prevede che «il Ministro dell’interno può limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale, […] fermo restando quanto previsto dall’articolo 83 del codice della navigazione, (per il quale, il governo può vietare o limitare il transito o la sosta di navi private, ndr) per motivi di ordine e sicurezza pubblica».
E qui, la domanda diventa anche un’altra: possono davvero poche decine di persone, in condizioni di estrema vulnerabilità, mettere a rischio la sicurezza e l’ordine pubblico di un Paese da 60 milioni di abitanti, come l’Italia?
Le condizioni dei migranti a bordo delle navi
Le condizioni igieniche e sanitarie a bordo della Sulla Humanity1 e sulla Geo Barents di Medici Senza Frontiere, nei giorni precedenti allo sbarco, avvenuto poi l’8 novembre, si sono rivelate estreme, o comunque decisamente complicate.
Sulla Humanity1 erano rimasti 35 dei 179 migranti soccorsi in mare, dopo che 144 erano stati fatti scendere dalla commissione medica dell’Usmaf (Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera), perché ritenuti “fragili”. Sulla nave Geo Barents di Medici senza frontiere, invece, erano rimasti 215 naufraghi, dopo lo sbarco di 357 persone, tra bambini, donne incinte e famiglie con minorenni.
I naufraghi costretti a restare a bordo avevano iniziato a non mangiare e a saltare i pasti. Tre di loro, si sono addirittura buttati in mare per raggiungere la terraferma. Ad un tale livello di sofferenza umana, alta è la possibilità di suicidio, azioni violente, gesti di autolesionismo. E infatti, ad esito di ulteriori verifiche, l’autorità sanitaria italiana ha rilevato la gravità dello stato psicologico di tutti i migranti a bordo, e i rischi di un peggioramento delle loro condizioni. Da qui, la decisione di farli scendere tutti.
Lo sbarco immediato dei migranti bloccati a Catania era stato invocato dall’ONU e dall’UE. La Commissione UE aveva ricordato al governo italiano l’«obbligo morale e legale per gli Stati membri di salvare persone in mare». L’OIM e l’UNHCR avevano chiesto agli “Stati della regione” di proteggere le vite delle persone, offrendo un porto sicuro
Il caso politico con la Francia
Negli stessi giorni, altre navi di ong con a bordo centinaia di migranti sono rimaste a largo delle acque italiane.
La Ocean Viking di Sos Méditerranée, ferma per più di tre settimane in mare con a bordo 230 persone, è stata inviata in Francia, senza che il governo italiano avesse verificato l’effettiva disponibilità di Parigi a far sbarcare e accogliere i migranti.
Il governo francese ha lasciato sbarcare, in via eccezionale, tutti i migranti a Tolone ma, sottolineando l’assenza di obblighi di legge in capo alla Francia, ha attaccato l’Italia per il comportamento “inaccettabile”.
I comunicati con cui la nuova Presidenza del Consiglio ha, praticamente, esultato per l’invio della nave in Francia, senza accertarsi sui tempi diplomatici corretti, ha innescato una crisi diplomatica tra Parigi e Roma, che si è tradotta in una serie di accuse reciproche, distendendosi solo a seguito dell’intervento del Quirinale.
Il chiarimento tra Sergio Mattarella ed Emmanuel Macron, però, pare essere servito solamente a ricucire i rapporti tra i due Paesi, perché di stallo o addirittura di passi indietro si potrebbe parlare, dopo lo scontro tra Italia e Francia, rispetto alle trattative degli Stati Europei sul nuovo Patto UE sulla migrazione e l’asilo, e dunque sulle soluzioni legislative alla “questione migratoria”.
La “farsa” dei porti chiusi
Sebbene, con la politica dei porti chiusi, continui a richiedere che anche il resto d’Europa faccia il suo dovere, e che non venga lasciata sola a gestire il flusso dei migranti, nel bilancio europeo dei richiedenti asilo che arrivano in Europa, in realtà, l’Italia non è il Paese più cercato, né quello più accogliente. Francia, Germania, Belgio, e anche i Paesi Bassi, fanno come o anche più dell’Italia.
Non solo, il numero dei migranti che arriva via mare è davvero esiguo rispetto al totale dei richiedenti asilo che giungono in territorio italiano lungo le rotte terrestri.
Come in passato, quindi, il governo Meloni sta provando a far leva su un’emergenza che non c’è, pur di spingere l’Europa a trovare delle soluzioni rispetto alla gestione dei flussi migratori. Soluzioni che senza dubbio vanno trovate, ma non certo a discapito dei diritti umani e sulla pelle dei migranti.
Immagine in copertina di Mstyslav Chernov/Unframe