Vite, corpi e intimità delle donne sudcoreane alla mercé del porno

Il report di Human Rights Watch denuncia i reati digitali a sfondo sessuale che colpiscono le donne sudcoreane, vittime di scatti rubati e diffusi senza consenso.


La Corea del Sud ha visto aumentare negli ultimi anni i reati digitali a sfondo sessuale, uno dei maggiori problemi del Paese asiatico. L’organizzazione non governativa Human Rights Watch (HRW) ha pubblicato lo scorso giugno un report, basato su un sondaggio e su 38 interviste, in cui vengono riportati dati e testimonianze su questi reati. Si testimonia infatti come ogni giorno vengano riprese e diffuse immagini non consensuali di diverse donne attraverso piccole telecamere, nascoste potenzialmente ovunque. 

I reati digitali a sfondo sessuale, definiti digital sex crimes, sono quei casi in cui vengono riprese delle persone senza il loro consenso, sia in momenti intimi sia in attività quotidiane. Questi crimini possono essere perpetrati da sconosciuti in bagni pubblici, camerini e stanze d’hotel; così come da conoscenti a lavoro e dai propri partner, che arrivano a minacciare le compagne con quei contenuti privati.

Infine, un terzo caso, come riporta HRW, è quello in cui alcune persone si fingono altre in rete per poterle diffamare pubblicamente, modificando e condividendo alcune delle loro foto. 

Nel primo caso, il 55 per cento dei reati di questo tipo ha luogo in metropolitana e nei bagni pubblici. A causa di questo fenomeno, ogni giorno vengono ispezionati circa 20.554 bagni pubblici in tutta la Corea del Sud, con un aumento da 50 a 8.000 operatori che vi lavorano, dati che evidenziano la gravità e la frequenza del problema.

«La gente non prende seriamente questi crimini perché non c’è contatto fisico, ma non capiscono quanto le vittime siano terrorizzate», dichiara Jieun Choi, vittima di reati a sfondo sessuale. «Ero diventata così paranoica e impaurita dei luoghi pubblici». Un’altra vittima ha definito tutto ciò un inferno: «Bagni pubblici, metro, ovunque io vada, gli uomini coreani mi stanno osservando e le mie foto stanno circolando da qualche parte». 

Un’altra testimonianza è quella di Lee Ye-Rin. Quest’ultima aveva semplicemente accettato un regalo del suo superiore, un orologio, quando scoprì che non si trattava di un semplice regalo. La donna lo aveva messo nella sua stanza, ma quando lo spostò da un’altra parte, il suo capo iniziò a farle delle domande e a chiederle se volesse davvero posizionare quell’orologio lì. A quel punto, dopo una ricerca, Lee Rin scoprì che in realtà quell’orologio nascondeva una piccola telecamera, che l’aveva ripresa 24 ore su 24 e aveva mandato in diretta tutti i video nello smartphone del suo capo. 

Un grande problema dei reati digitali è proprio la rapida circolazione delle proprie foto (del proprio corpo e della propria intimità) in rete. Come già successo in Italia, anche in Corea sono state scoperte migliaia di chat Telegram in cui diversi uomini si scambiavano foto e video delle proprie ex, fidanzate o di donne e ragazze rubate e prese senza consenso.

Nel caso coreano, le vittime venivano attirate attraverso delle pubblicità false per reclutare delle modelle. Alle candidate venivano richieste foto e video osè, e poi venivano minacciate per mandare contenuti sempre più estremi. Alcune di loro sono anche state violentate e ricattate con il rilascio in rete di quei video.

Le vittime sono state almeno 103, tra cui 26 bambine. Inoltre, si stima che i membri di tali gruppi fossero circa 260.000. Gli uomini che partecipavano a queste chat dovevano pagare per accedere a questi contenuti. Secondo quanto riportato nell’ultima ricerca, un gigabyte di foto, un video di 1 ora e mezza, nel mercato vale 5 milioni di won, ovvero circa 3.510 euro.

Nonostante in quell’occasione 124 uomini furono arrestati, non è semplice di solito ottenere giustizia per i reati digitali a sfondo sessuale. Il 46,8 per cento dei casi di reati sessuali nel 2019 fu archiviato. Nel 2020, il 79 per cento di coloro che erano stati dichiarati colpevoli per aver ripreso immagini intime senza consenso ha ricevuto una sospensione della pena o una multa, nulla di più. Dati poco incoraggianti per quelle donne che vorrebbero denunciare ma che non vengono adeguatamente supportate dal sistema.

Risulta già difficile rendersi conto di ciò che sta succedendo e ritrovarsi in seguito a dover raccontare tutto nel minimo dettaglio, in lunghi interrogatori, è umiliante e stancante.  Un’agente della polizia ha dichiarato di aver visto spesso altri agenti proiettare video incriminati in un grande schermo in ufficio commentandoli con parole degradanti nei confronti delle vittime.

Una delle principali cause del poco supporto alle vittime risiede anche nella bassa rappresentazione delle donne in tribunale. Solamente il 30 per cento dei giudici è donna, il 20 per cento giudici senior e soltanto il 4 per cento si trova a lavorare nei tribunali superiori. 

Nel 2018, moltissime donne sudcoreane si sono riversate nelle strade delle maggiori città con lo slogan “My life is not your porn” – “La mia vita non è il tuo porno”. Proprio quell’anno, una donna era stata messa in prigione dopo aver pubblicato la foto di un uomo nudo, per quegli stessi casi per cui invece gli uomini raramente finiscono in carcere.

L’articolo 14 del Sex Crimes Act, comunque, criminalizza lo scatto di foto o video di una persona che potrebbero causare «stimolo sessuale o umiliazione». Ma la causa di reati simili non risiede soltanto nella polizia e nel sistema giudiziario, ma anche nella mancanza di un’istruzione adeguata su questi argomenti, un problema culturale di sessismo e misoginia.

«L’oggettificazione delle donne ricopre un ruolo centrale nel mantenimento di questa cultura (machista). Le donne vengono oggettificate per solidificare i rapporti maschili» è ciò che ha dichiarato uno dei responsabili. In un sondaggio, su 2000 coreani, l’80 per cento aveva ammesso di essere stato violento nei confronti del proprio partner.

A causa di questi reati, molte donne si sono anche tolte la vita, vittime di colleghi che le seguivano ovunque, a casa, a lavoro o al bar per scattare foto private e pubblicarle su internet, dove è difficile rimuoverle in tempi brevi. L’umiliazione, la sofferenza e la mancanza di supporto diventano un peso troppo grande da sopportare. È arrivata adesso l’ora di prendere sul serio i reati sessuali a sfondo digitale affinché le donne coreane, e non solo, possano sentirsi al sicuro ovunque e possano vivere con dignità e sicurezza la propria vita.