Siti preistorici a Palermo. Addaura e Niscemi: due grotte, un grande cuore

Le grotte Addaura e Niscemi di Monte Pellegrino fanno parte dei siti palermitani iscritti ai “Luoghi del cuore” del FAI. Difendere la storia è un dovere.


Non sono molti i siti archeologici nel mondo che presentano incisioni preistoriche. Le testimonianze degli uomini primitivi, a partire dalla comparsa dell’Homo Sapiens, costituiscono l’eredità più affascinante delle origini della “narrativa” umana. A Palermo, due grotte in particolare, nel cuore di Monte Pellegrino, hanno custodito resti e raffigurazioni rupestri risalenti a circa 20 mila anni fa. La Grotta Niscemi e la Grotta dell’Addaura rappresentano un patrimonio inestimabile – altre grotte sono ad oggi patrimonio Unesco – da salvaguardare dall’incuria e dal lunghissimo sonno da cui sono uscite oltre settant’anni fa.

Per evitare che questi luoghi, messi in pericolo dall’abbandono e dal dissesto geologico di alcuni costoni della montagna, possano restare ancora nascosti e non pienamente visitabili, il comitato cittadino “Salviamo le grotte Addaura e Niscemi” ha iscritto le due grotte all’edizione 2020 de“I luoghi del cuore” promosso dal FAI (Fondo Ambiente Italiano), un contest che promuove tantissime location italiane affinché queste possano ottenere, a votazione conclusa, un finanziamento più o meno cospicuo per il recupero o la riqualificazione del luogo.

La votazione si chiuderà il 15 dicembre, ed è possibile votare più di un candidato: basta un click –qui il link per le grotte – per aiutare la propria città in questa “gara di cuore”. Sulla pagina Facebook del Museo “Antonio Salinas” (che conserva i resti trovati nelle grotte) è arrivato anche l’appello a votare della direttrice Caterina Greco, che definisce «cattedrale del paleolitico» le grotte e i graffiti di Monte Pellegrino.

Partendo dall’Addaura (il versante costiero di Monte Pellegrino) è doveroso citare l’interesse per le cavità della montagna risalente già a metà dell’Ottocento. La grande apertura che si affaccia sul mare palermitano contiene differenti cavità di cui le principali sono l’Addaura Grande, la Grotta dei Bovidi (o dell’Antro Nero) e la Grotta delle Incisioni, tutte località che hanno da tempo attratto studiosi e paleontologi da tutto il mondo.

I primi ritrovamenti paleontologici documentati (Gaetano Giorgio Gemmellaro citato in Monografia degli elefanti fossili di Sicilia, 1867) risalgono al 1866: si tratta perlopiù di ossa di animali – alcuni anche molto grandi come cervi ed elefanti – e armi in selce o in pietra. Tutti elementi che, dopo la scoperta dei graffiti avvenuta nel 1952, portarono a considerare la zona un piccolo insediamento di cacciatori paleolitici e, soprattutto, un sito di grande interesse archeologico.

Una breve ma completa introduzione alla grotta dell’Addaura l’ha realizzata il comitato cittadino in collaborazione con altre realtà cittadine, in primis il Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas” (di cui fa parte l’intervistata Costanza Polizzi), la Delegazione Fai Palermo, FAI Giovani – Palermo e Valorizziamo l’Addaura che, approfittando delle Giornate europee dell’archeologia, hanno promosso in questo weekend una campagna di informazione sui siti candidati al concorso FAI.

Come sono state scoperte le straordinarie incisioni dell’Addaura? Frutto del caso, questo è certo. L’ingresso delle profondità della grotta era coperto da un ammasso di pietrame fino agli anni Quaranta. Il passaggio celato dalle rocce disvelò il suo contenuto solo quando, a causa dell’esplosione di un arsenale posizionato all’interno della grotta, si staccarono porzioni di roccia che misero a nudo le raffigurazioni preistoriche sottostanti.

Una volta liberato il passaggio dai detriti, nel 1952, l’allora soprintendente archeologica per la Sicilia occidentale, Jole Bovio Marconi – colei che coordinò la ricostruzione postbellica del Museo Salinas – attivò una squadra di ricerca e studio per le immagini tornate alla luce dopo millenni e millenni di oscurità.

Non più visitabili, le pareti della Grotta Addaura ospitano incisioni perfettamente leggibili poiché ottimamente esposte alla luce naturale. Ricordando come le incisioni palermitane siano una delle prime importanti “raccolte” scoperte in Europa, va detto che durante gli anni Sessanta fu eseguito un faticoso lavoro di pulizia e lucidatura, oltre che la costruzione di una primordiale struttura sospesa per l’osservazione e lo studio dei graffiti (che si trovano fra 1,50 e 3,90 metri di altezza dal piano di calpestio).

Una cinquantina di figure in una scena “enigmatica” – visto l’ampio dibattito sul significato delle azioni ritratte interpretate come momento ludico o come rito funebre – non lasciano dubbi sull’identità biologica dei soggetti: una ventina di uomini, solo una donna, una ventina di figure zoomorfe tra cui una cavalla con un puledro, cervi, alci e buoi.

Cosa rende davvero unica la grotta nel panorama della preistoria paleolitica? Le figure umane sono tantissime, superano tutte le altre negli altri casi di studio, e sono ritratte con un realismo impressionante. Tantissimi gli interrogativi su questo “cerchio danzante” o, addirittura, sacrificio umano; altrettanti gli interrogativi sulla riapertura di questa meraviglia così carica di fascino e capace di stuzzicare fantasiose suggestioni.

L’altra grotta, la Grotta Niscemi (chiamata anche “del Ferraro”), che si affaccia sul parco della Favorita, fu scoperta nel 1932 ed esplorata nelle sue profondità (che raggiungono i 200 metri di sviluppo) l’anno successivo da “esploratori”, Mac Donnell e Kirner. Riuscendo ad accedere alla camera più profonda attraverso passaggi davvero angusti e impervi, scoprirono un teschio preistorico circondato da ossa di animali, vasi ed altri reperti oggetto, negli anni successivi, di studi approfonditi, nonostante parte del materiale sia andato perduto.

Come viene definito da Rosario La Duca in Palermo ieri e oggi (1995, Sigma Edizioni), «il giallo della preistoria» nella grotta esclude che si tratti di una tomba, data l’impossibilità di un agevole trasporto del defunto fra i cunicoli della grotta. Stesso motivo vale per l’ipotesi abitazione: quei resti umani non potevano appartenere a qualcuno che abitava l’antro roccioso.

Inoltre, non si trattava di un esploratore preistorico rimasto bloccato lì dentro a causa di una qualche frana (gli studi hanno suggerito non ci sia stata ostruzione improvvisa all’interno dei passaggi). Che si sia trattato di una detenzione forzata? O di un nascondiglio dalla persecuzione di altri componenti della tribù? Non resta che lavorare di fantasia su questo individuo primitivo apparentemente attrezzato al limite della sopravvivenza nelle profondità di Monte Pellegrino.

I reperti ossei animali, risalenti a circa 15 mila anni fa, appartengono tutti alla estinta fauna quaternaria. Tra le specie più abbondanti riconosciute nel mucchio d’ossa vi sono il cervo (Cervus elaphus), l’asino delle steppe europeo (Equus hydruntinus) e l’uro (Bos primigenius). Sono ben 268 le conchiglie di molluschi marini: i risultati delle analisi sulle stagioni di raccolta dimostrano che le conchiglie furono raccolte in periodi dell’anno in cui le temperature dell’acqua del mare hanno valori medi e bassi, ovvero probabilmente in autunno, inverno e primavera.

È ipotizzabile quindi che i cacciatori della Grotta Niscemi si dirigessero verso siti collinari e montani dell’entroterra palermitano in estate, mentre è possibile che emigrassero verso ripari vicini al mare durante le stagioni più fredde.

Anche questa grotta non è visitabile da molto tempo, così come i suoi graffiti raffiguranti cavalli e buoi in “movimento”, disegnati con tratto certo e quasi abituato alla stilizzazione di figure zoomorfe. È dunque necessario che questi luoghi tornino davvero fra i “luoghi del cuore” di Palermo, per la loro importanza archeologica e per la loro unicità, un’attrattiva da sfruttare per riconsegnare spazi di cultura alla città ma anche per accendere i riflettori sulla cura dei fronti rocciosi, bisognosi di decisi interventi di messa in sicurezza. Non resta che votare per ridare speranza alle grotte.


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