Quale futuro per il capitalismo?

Premessa generale: chi scrive non ha alcuna pretesa di risoluzione del dibattito riguardo al futuro del capitalismo, ma piuttosto quella di reintrodurre il dibattito a partire da alcune domande e tesi già ampiamente argomentate.


Il covid-19 ha messo in crisi il capitalismo mondiale. Cosa sta emergendo da questa crisi? Ma soprattutto, cosa è veramente il capitalismo? Leggere il capitalismo come semplice “mezzo economico” è pura follia. Il sistema capitalistico è un sistema sociale di produzione, in forma di sé, è tutta la nostra vita: non è un mezzo, è piuttosto una «Weltanschauung», una visione del mondo (welt in tedesco vuol dire ‘mondo’, Anschauung invece ‘concezione, visione’), come direbbero i filosofi. Una visione del mondo che è diventata globale nel corso del Novecento.

Non si tratta però di un salto. La globalizzazione non è questo, il capitalismo nasce globale, come idea regolativa, fin dalle sue prime espressioni: il capitalismo pensa di sé in termini globali. Anche su questo bisogna leggere i classici, da Ricardo a Marx, i quali affermano che il capitalismo è un sistema sociale mondiale di produzione e che questo suo essere globale è il suo essere. Dunque è impronta di sé la nostra visione della cosa, della natura come utilitas, fin dall’inizio di questo sistema di produzione, che è un sistema con una visione del mondo. La cosa per noi è utilitas: basti pensare all’affermazione di Keynes, quando diceva che «noi spegneremmo anche il sole e la luna se ci aspettassimo da loro dei “dividendi”».

Il capitalismo è anche una visione del rapporto tra le persone, tutta improntata alla logica del contratto. Il capitalismo è un nesso, una rete di contratti: i rapporti tra le persone sono regolati da contratti, la riduzione del diritto pubblico a diritto privato che è la tendenza degli ultimi anni, quella di tentare di derubricare ogni forma di relazione alla forma del contratto, cioè al diritto privato.

Dunque il capitalismo non è un mezzo, ma una colossale visione del mondo, improntata ad un’idea di progresso infinito. Si può parlare di limiti dello sviluppo del capitalismo? Secondo Max Weber no, il capitalismo si fonda sul “cervello sociale”: se finisce lo sfruttamento della legna, il capitalismo sfrutterà il petrolio, e quando finirà il petrolio ci sarà l’atomica, etc.

Detta in termini nietzchiani, il capitalismo è «energia straordinaria» che punta tutto sulla potenza della mente; per dirla invece con Spinoza, è actio mentis: si fonda sulla potenza della mente che è capace di superare ogni ostacolo naturale. Noi lavoriamo per superare ogni condizionatezza e il Capitale va pensato come un Dio-Natura di spinoziana memoria. L’azione della sua mente si fermerà quando non troverà nessuna condizione fuori di sé, quando sarà incondizionato.

Questa è pura filosofia, prima ancora che economia. Dunque per comprendere la natura del capitalismo non bisogna partire dal suo meccanismo economico, come misura del lavoro, ma dai suoi presupposti filosofici, come sostanza del (di ogni) valore. Regolare eticamente un sistema di questo tipo sembra alquanto impossibile, vista la sua natura autofondatrice.

Come rilevato da Karl Marx quando spiegava la crisi da sovrapproduzione, il capitalismo è un sistema di contraddizioni, che va avanti attraverso crisi. Non è un’autostrada lineare, è piuttosto una mancanza di strada che viene via via superata, con il salto tecnologico, la riorganizzazione dei fattori, etc. E il capitalismo è costantemente crisi per una ragione semplicissima che Marx aveva spiegato benissimo: il capitalismo è contraddizione e crisi perché i soggetti sono diversi, perché non c’è una “mano invisibile”.

È una straordinaria potenza che si esprime con soggettività diverse, che nessuna mano invisibile può mettere insieme: c’è un soggetto che deve mettere i soldi all’inizio, che a volte è in accordo con l’altro che deve investire e produrre (e quindi creare merci) e a volte no: nulla di certo, a priori. Anche qui, c’è bisogno di contratti e mediazioni, quindi è tutto nell’ambito del “probabile”.

Successivamente, ci sono i soggetti che investono, ma la merce è tale quando viene usata; prima non è nulla, dunque ci vogliono altri soggetti, ovvero i consumatori. Dunque il produttore non produce merci ma consumi, per essere garantito che quella merce sia effettivamente tale. Il produttore deve entrare nella testa dei consumatori: non si tratta di “tecnica”, ma pura intelligenza, actio mentis, che deve formare la mente dell’altro (il consumatore).

In questo meccanismo non c’è nessuna armonia prestabilita: c’è denaro, c’è chi produce, c’è chi tenta di produrre anche il consumo, c’è il consumatore, e se questi soggetti non si combinano c’è la crisi, che è endemica e fisiologica. Si va avanti attraverso le crisi, che sono produttive. Come spiegato da Schumpeter sarà proprio il successo del capitalismo a renderne inevitabile il declino.

Con il processo di “distruzione creatrice” che la caratterizza, l’economia borghese sostituisce i vecchi modi di produrre e pensare, promuovendo lo sviluppo, ma distrugge la stabilità temporanea. Questo capitalismo dunque ha bisogno di regole, di stato, e lo dimostra la crisi attuale data dal covid-19: lo stato deve tentare di governare questi meccanismi di crisi, o rischia di precipitarci.

La funzione dello stato è anticiclica, come spiegato da Keynes. Questa funzione, come rilevato dagli analisti successivi, si è ridotta nel tempo, perché il rischio è che poi lo stato si incarni in eserciti di burocrati e amministrazioni: da qui il dibattito con Von Hayek. Ma questa funzione anticiclica dello stato, seppur leggera, con buona probabilità ci sarà sempre, tanto che Marx auspicava il suo superamento come condizione necessaria per la nascita di una futura società comunista.

Per cui c’è spazio per un nuovo comunismo, come auspicato da Slavoj Zizek? Al momento è pura fantascienza, perché il realismo filosofico-politico ci mostra che in tempi di crisi, per evitare il collasso, dovrà intervenire qualcosa di esterno ai soggetti che hanno prodotto la crisi, cioè la politica.

Com’è superabile un sistema totalizzante di questo tipo? Come spiegato da David Harvey, il neoliberismo è in crisi, e potrebbe essere sostituito da un nuovo sistema economico. Ripensarne uno di alternativo è però veramente difficile, vista la situazione geopolitica globale. La società chiede istanza di socialismo, che per instaurarsi avrebbe bisogno di una rivoluzione: ecco perché negli ultimi tempi si è riscoperto il pensiero marxiano, attraverso autori come Costanzo Preve.

Ma il dibattito ancora fatica a farsi strada; probabilmente ci vorranno anni, o un collasso totale del sistema. Pensiamo alle nuove sfide che il futuro ci prospetta, attraverso il rapporto tra capitalismo e ambiente. Il problema delle risorse disponibili è davvero cruciale per il futuro, bisogna interrogarsi per capire se lo sviluppo economico è compatibile con l’ambiente. Alla luce di tutto ciò, è necessario un dibattito globale. Il futuro del capitalismo è tutt’altro che certo e un dibattito sul ripensamento del sistema è un atto di responsabilità.


 

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